
Ricordo bene una mattina di maggio del 2016: avevo vent’anni, ero in biblioteca comunale e stavo preparando un esame di letteratura latina. Guccini ha scritto che a vent’anni “tutto è ancora intero”; non ho trovato, ad oggi, una definizione più ficcante per descrivere quella sensazione di possibilità che si prova intorno ai vent’anni. Quella mattina, Simone stava studiando vicino a me e mi disse di ascoltare, subito, la nuova canzone di Calcutta, “Oroscopo”. Ricordo che guardammo il video dal suo computer: era senza senso, così come la canzone, uno stornello spensierato. Quell’estate – l’estate dei vent’anni – tutti ascoltavamo quella canzone e, proprio quell’anno, Calcutta portò l’indie da ascolto di nicchia a musica pop; le radio nazionalpopolari cominciarono a passare i suoi pezzi e quelli dei Thegiornalisti. Tutto l’indie che avevamo ascoltato negli anni delle superiori era diventato mainstream.
Qualche settimana fa è uscito il nuovo, attesissimo, disco di Calcutta. Questa volta l’ho ascoltato, da solo, andando al lavoro. Una canzone mi ha colpito: “Tutti”. Nel finale Calcutta grida: “che sembriamo tutti falliti, che sembriamo tutti esauriti, che sembriamo tutti impauriti”. Il fatto che Calcutta canti cose tristi non stupisce; è il cantante triste per eccellenza, si pensi a “Cosa mi manchi a fare”. Questa volta, però, non mi pare faccia riferimento ad una particolare situazione sentimentale: a chi si riferisce? Alla sua (nostra) generazione? In “Oroscopo” Calcutta cantava che “non è Rio de Janeiro, ma c’è un clima fantastico”, oggi – invece – si dichiara esaurito, perso.
Per tutta la mattina, al lavoro, mi è risuonato in mente quel verso; ho pensato – poi – che quella sensazione di smarrimento ben si abbina ad un passo del romanzo Spatriati di Marco Desiati (Einaudi, 2021) che, tempo fa, mi ero annotato.
Claudia, una dei due protagonisti, fugge dalla provincia pugliese a Berlino dove – così pare – sta avendo una carriera felice, di successo. Le cose, in realtà, vanno diversamente:
[Lui ndr] tagliò definitivamente i rapporti con Etta [la madre di Claudia ndr], anche se lei non faceva che vantarsi – «mia figlia è manager» – con le altre madri di figlie emigrati, tutti cervelli in fuga, geni incompresi, dirigenti, capitani, professori universitari, ricercatori, scrittori, artisti, piloti di Formula 1, ma il più delle volte disperati come gli altri [1].
Anche lei è “disperata, come gli altri”. La fuga dal paese ha nascosto i suoi malesseri solo apparentemente, pure lei è come tutti: impaurita e disorientata.

La letteratura e le canzoni sono il modo più trasparente (quindi spietato) per descrivere i tempi che cambiano e le generazioni che li attraversano. La lettura dei romanzi del dopoguerra e l’ascolto delle canzoni spensierate degli anni Sessanta, ad esempio, dicono molto di quel periodo. Personalmente, ho capito gli anni Ottanta leggendo certi romanzi, più di quanto non mi siano stati d’aiuto saggi e documentari. Claudio Giunta, proprio sugli anni Ottanta, ha scritto che:
per capirci qualcosa, direi che è meglio leggere il primo romanzo del decennio Altri libertini di Tondelli [1980], storia di una generazione di disperati in fuga; oppure l’ultimo romanzo del decennio, La grande sera di Pontiggia [1989], storia di un uomo solo, disperato per la noia, in fuga[2].
Tondelli e Pontiggia come confini letterari per comprendere un’epoca. Per capire qualcosa del tempo che stiamo vivendo, della generazione che siamo, quali libri si leggeranno in futuro? Quali sono i nostri confini? È difficile capire – oggi – quali libri del presente rimarranno, ma può essere un buon esercizio rintracciare nella letteratura contemporanea i tratti che caratterizzano la nostra generazione.
A questo proposito la canzone di Calcutta e Spatriati non sono un unicum, molti personaggi letterari sono “impauriti”. È il caso di Gugliemo Sputacchiera, protagonista del bellissimo romanzo d’esordio (su Echo raffiche ne ha scritto Stefano Gatti) di Alberto Ravasio (classe 1990), che – rassegnato – afferma:
Capisco la sua disperazione generazionale, che è anche la mia. Da bambini ci hanno ingrassati di desideri. E quando poi siamo cresciuti, c’hanno detto che erano finiti i soldi[3].
C'era chi studiava, chi aveva già un lavoraccio, chi invece non faceva nulla, [...]. Gero li chiamava gli ignavi, e non che lui si escludesse da questo insieme: vivevano di niente, diretti da nessuna parte, rosicchiavano la realtà giorno per giorno. Tutti avevano qualcosa che non andava. Tutti soffrivano di ansie, paure e angosce, nascoste sottopelle, dove se ne intravedono i contorni, e loro le coprivano con il cappotto. Andavano dallo psicologo, facevano corsi di yoga meditativo, bevevano. [...] Era un annaspare sul posto. Gero non sapeva dire se gli ignavi fossero esistiti anche in altre generazioni; forse non in quel modo, non perduti fino a questo punto[5].
Zannoni parla di un “annaspare sul posto”; come se non ci fosse alcun miglioramento possibile.
Ecco quindi che la canzone “Tutti” mi pare che abbia dei corrispettivi letterari: Desiati, Ravasio, Zannoni descrivono situazioni simili in cui l’angoscia è sentimento diffuso e collettivo, non un sentire personale di un solo personaggio. Sono letture e ascolti spietati: dicono molto di quello che siamo e del tempo in cui viviamo.

Quando – il giorno dell’uscita del nuovo disco di Calcutta – ho ascoltato “Tutti” ho pensato a quanto è cambiato rispetto a quando ascoltavo “Oroscopo”, in biblioteca, sette anni fa. Nel pomeriggio mi sono messo a lavorare al computer e su Spotify, nella sezione dedicata agli ascolti degli amici, ho visto che anche Simone (vive all’estero) stava ascoltando – in quel momento – “Tutti”. Buffo no? Guccini ha scritto che “a vent’anni è tutto è ancora intero” per, poi, aggiungere: “a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età”. Certamente sette anni fa eravamo più stupidi (come è più stupida “Oroscopo” di “Tutti”), ma forse è proprio quella sensazione di interezza, di possibilità che – ora – ci manca di più.
[1] Mario Desiati, Spatriati, Einaudi, 2021, p. 112.
[2] Claudio Giunta, Una sterminata domenica. Saggi sul paese che amo, Il Mulino, Bologna, 2013, p. 270.
[3] Alberto Ravasio, La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera, Quodlibet, 2022, p. 128.
[4] Alberto Ravasio, La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera, Quodlibet, 2022, p. 83.
[5] Bernardo Zannoni, 25, Sellerio, 2023, pp. 46-47.