
Nel capolavoro cinematografico The Truman Show (1998), un giornalista chiede a Christof, il misterioso regista-demiurgo che si cela dietro le quinte dello show, come sia possibile che Truman non sia mai riuscito a scoprire la vera natura del mondo in cui ha vissuto fino a quel momento. La risposta di Christof è il nostro punto di partenza:
Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta, è molto semplice.
Non c’è dubbio che questo atteggiamento sia piuttosto comune a tutti noi. C’è qualcuno tuttavia che, contrariamente al buon senso e all’empirismo spiccio, si ritrova a pensare in modo innaturale e a respingere l’apparente evidenza dell’assioma di Christof: stiamo parlando del filosofo.
Il mese scorso (se ti sei perso l’articolo clicca qui), ci siamo confrontati con due paradossi della conoscenza, arrivando alla conclusione che ne sappiamo inesorabilmente meno di quanto potremmo pensare. Ma se ci spingessimo oltre, ipotizzando – per assurdo – che tutte, ma proprio tutte le nostre conoscenze siano false? Che ci troviamo a vivere, come Truman, in un mondo artificiale e che i nostri sensi siano costantemente sollecitati da nient’altro che stimoli illusori?
Questa particolarmente insidiosa forma di scetticismo, secondo la quale il nostro credere ciecamente all’esistenza di un mondo esterno sarebbe totalmente ingiustificato, trova la sua prima formulazione nelle celebri Meditazioni metafisiche (1641) di Cartesio:
Supporrò dunque che vi sia non un Dio ottimo, fonte di verità, ma un certo genio maligno, per di più sommamente potente e astuto, che abbia posto tutto il suo zelo ad ingannarmi: penserò che il cielo, l’aria, la terra, i colori, le figure, i suoni, e tutte le cose esterne non siano altro che inganni dei sogni, con cui egli ha teso insidie alla mia credulità: considererò di essere senza mani, senza occhi, senza carne, senza sangue, senza alcun senso, e di ritenere erroneamente di avere tutte queste cose.
All’inizio degli anni ’80, il filosofo e matematico statunitense Hilary Putnam riprende l’argomento scettico e lo rielabora nella forma di un esperimento mentale ancora più radicale.
Che cos’è un esperimento mentale?
Per quanto i filosofi non utilizzino laboratori, nel corso delle loro indagini si affidano spesso a particolari tipi di ragionamenti, generalmente noti come esperimenti mentali, la cui funzione, come per ogni esperimento che si rispetti, è quella di mettere alla prova la correttezza di una certa teoria o tesi. Come funziona? Si tratta di immaginare uno scenario possibile e di confrontare il nostro giudizio su tale caso con ciò che la teoria di cui ci stiamo occupando sarebbe tenuta ad affermare di esso.
Bene, ora possiamo tornare a Putnam e al suo esperimento.
Per chi di noi è confinato in zona rossa è una delle tante giornate di lockdown trascorse a casa. Che sia studio o smartworking, a metà pomeriggio decidi di prenderti una meritata pausa. Accendi la macchinetta del caffè, infili una di quelle cialde profumate, e aspetti che il liquido scuro e denso finisca di versarsi nella tazzina. Lo sorseggi standotene comodo sul divano, magari avvolto in un plaid perché improvvisamente hai sentito freddo, mentre scrolli il feed di uno dei tanti social. Il tuo sguardo cade su Echo Raffiche: è uscito un nuovo articolo della tua rubrica filosofica preferita che straparla di cervelli in una vasca. Sai già che, una volta leggiucchiato l’articolo, cincischierai ancora per un po’ prima di rimetterti al lavoro. Poi ti aspetta la cena e magari Netflix sotto il piumino prima di andare a dormire e aspettare che, come in un vecchio nastro già visto e rivisto, ricominci una nuova giornata di lockdown. Zero sorprese, giusto?
Tuttavia c’è qualcosa che non sai, una consapevolezza che una volta guadagnata potrebbe cambiare la tua vita per sempre.
Ecco la verità: sei la vittima ignara di un costosissimo esperimento partorito dal delirio di onnipotenza di un’equipe di scienziati folli. Subito dopo che sei nato, il tuo cervello è stato espiantato e immerso in una soluzione chimica che gli consente di rimanere in vita. Le estremità dei nervi recisi sono state collegate a dei cavi attaccati a una super AI e tramite essi il tuo cervello è costantemente bersagliato da impulsi elettrici che creano in te quell’illusione permanente di trovarti là fuori, nel mondo reale. Ma, come si chiede Neo nel film fantascientifico di culto The Matrix (1999), cosa vuol dire reale? Gli risponde Morfeus:
Dammi una definizione di “reale”. Se ti riferisci a quello che percepiamo, che possiamo odorare, toccare o vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello.
Ora che abbiamo bene in mente lo scenario, è arrivato il fatidico momento di porci la seguente domanda: è possibile sapere che questa storia è falsa? In altri termini, possiamo sapere di non essere dei cervelli in una vasca? C’è un argomento che può far crollare l’ipotesi scettica estrema, per cui non ci sarebbe consentito di sapere se il mondo che percepiamo come esterno lo sia effettivamente?
Ad oggi, la risposta è negativa.
Per quanto ridicolo possa sembrarci, non è affatto possibile sapere se là fuori ci sia davvero un mondo esterno, a meno che tu voglia provare a convincerci del contrario…