dettaglio di persona in costume che fuma.

Gender data gap ed essenzialismo, cosa evitare per far fronte comune

Il mondo si pensa a misura d’uomo. La visione binaria per cui maschile è norma e femminile è alternativa è rischiosa tanto a livello personale, quanto a livello politico.

A Karlskoga, cittadina svedese a ovest di Stoccolma, dal 2011 la neve è diventata una questione di genere. Come da manuale, il sistema di sgombero della neve avveniva partendo dalle strade principali, per procedere con quelle residenziali e finire con marciapiedi e piste ciclabili, in ordine di priorità. Il ragionamento alla base è, apparentemente, privo di intoppi: sgomberare le strade principali permette a tutti di soddisfare i propri bisogni di mobilità.

Questo sistema sembrava utile e funzionante fino a che, quasi per provocazione, si è deciso di investigarne l’efficacia per uomini e donne, ovvero basandosi su dati distinti per genere. Ci si è accorti allora che all’interno del contesto urbano donne e uomini tendono a muoversi in modo diverso, con diverse esigenze di mobilità. Se per gli uomini è pratica comune spostarsi dalla periferia al centro e viceversa due volte al giorno – per raggiungere luogo di lavoro e abitazione – le donne tendono a compiere percorsi più brevi, più concentrati in zone residenziali, e più intervallati da pause. Inoltre, si spostano più frequentemente a piedi o con mezzi pubblici e tendono a percorrere percorsi meno lineari. 

Di fatto, il sistema di sgombero della neve venne considerato inefficiente in quanto involontariamente discriminante verso chi si occupa del lavoro di cura non retribuito, ad esempio nel portare i bambini a scuola, i parenti anziani a fare delle visite di routine, o nell’occuparsi della spesa. Per contingenza storica e sociale, questo ruolo è ricoperto principalmente da donne.

ragazze che passeggiano dopo scuola, anni Settanta.
Prince Street Girls. New York City, USA. 1976.
Susan Meiselas | Magnum Photos.

Caroline Criado Perez, in Invisibili, parte dal caso di Karlskoga e prosegue nell’analisi di sistemi tecnologici, medici e politici che potrebbero migliorare se solo non si considerasse la popolazione maschile come beneficiaria di default: dalla diagnosi delle patologie cardiache – ritenute a lungo ed erroneamente più frequenti negli individui di sesso maschile e, di conseguenza meno diagnosticate nel resto della popolazione – alla misura degli smartphone, in media troppo grandi per le mani delle donne. Si tratta di questioni con diversi livelli di complessità e implicazioni (vita-morte nel primo caso, semplice comodità nel secondo), ma accomunate da un unico problema di fondo: la mancanza di dati di genere, ovvero dal gender data gap.

Il gender data gap è, al contempo, causa ed effetto del fatto che si tende a pensare al femminile come altro e al maschile come standard. Qualcosa già evidente a Simone de Beouvoir e, soltanto oggi, quasi come fosse una teoria scientifica, supportato da analisi statistiche. Nonostante Invisibili non si proponga come testo programmatico o canonicamente politico, Criado Perez a più riprese suggerisce che la soluzione da prendere consiste nell’includere più donne nei processi decisionali, così che non se ne dimentichi la prospettiva, o almeno che ci si basi su dati differenziati per genere.

Questo invito può essere reinterpretato alla luce di una lettura molto diversa, l’antisistematico e stimolante Ripartire dal Desiderio, di Elisa Cuter. Seguendo il ragionamento di Cuter, le donne non andrebbero ascoltate in quanto donne, ma in quanto voci che, fino al recente passato, si è finiti per ignorare. Questo non semplicemente per essere inclusivi ma per rendere un servizio utile alla comunità. Ad esempio, l’aggiornamento del sistema di Karlskoga, che ha portato a liberare i marciapiedi e le piste ciclabili dalla neve, ha anche ridotto la spesa pubblica, prima impiegata negli interventi medici relativi alle cadute di pedoni e ciclisti. 

Occuparsi delle differenze di genere deve quindi essere mezzo e non fine del cambiamento. Il fronte neoliberale del femminismo contemporaneo, spesso incarnato da imprese di pink o rainbow washing, invertendo il rapporto tra fine e mezzo, veicola un messaggio semplice e solo superficialmente innovativo. Il fulcro si può riassumere in «essere donna è figo e va celebrato in quanto tale», di fatto reiterando quell’idea di femminile come altro.

Secondo Cuter, questo tipo di essenzialismo non fa altro che supportare lo status quo. In parole povere, se alle differenze di genere attribuiamo carattere essenziale – ovvero radicato nell’essenza maschile o femminile – allora, senza accorgercene, limitiamo il potenziale politico della nostra frustrazione, percependo una differenza che non apprezziamo come qualcosa a cui è difficile opporsi. 

L’analisi delle differenze di genere non è rilevante di per sé, ma in quanto spinta proattiva e distruttiva, che miri a creare un fronte comune di opposizione. Non secondariamente, questo tipo di atteggiamento permette di evitare la reiterazione di un limitante binarismo di genere. Pensare alle distinzioni di genere come qualcosa di contingentemente, e non ontologicamente, vero permette di mantenere una tensione critica nei confronti del sistema sociale che abitiamo e che spesso ci sta stretto.

Non dovremmo accontentarci del fatto che su Instagram ci sia ora concesso di mostrare peli o cellulite. Dovremmo invece pretendere di capire perché e in che modo, qualcosa che nelle ondate precedenti di femminismo era simbolo politico e critico sia stato appiattito e svuotato di significato, inglobato dal sistema pubblicitario e di consumo.

ragazze che giocano dopo scuola, anni Settanta.
Prince Street Girls. New York City, USA. 1976.
Susan Meiselas | Magnum Photos.

Altro difetto di alcuni femminismi contemporanei sta, per Cuter, nel farsi come nemico il patriarcato come qualcosa di scisso e indipendente dal capitalismo. Nel momento in cui capiamo che il patriarcato potrebbe essere stato in origine prodotto utile al capitalismo (per dirne una, attribuendo alle donne la responsabilità del lavoro di cura non pagato) e che non è intrinseco alla natura dell’uomo, capiamo come un sistema economico e politico è tanto più potente quanto più riesce ad adattarsi, plasticamente, agli sviluppi sociali e a privarli di ogni potenziale di cambiamento.

Cuter infatti ci suggerisce che il femminismo alla Freeda si può interpretare come espressione di un capitalismo che si fa femminile (che prende cioè gli attributi classicamente associati alle donne), inglobando ogni corrente potenzialmente contraria e disturbante per il sistema. Resistere è rifiutare comode rassicurazioni d’inclusività. Un movimento d’opposizione, per essere efficace, deve mantenere una tensione dialettica rispetto al soggetto di critica.

Immagine di copertina: Shortie on the Bally, Barton, Vermont, 1974. Susan Miselas | Magnum Photos.

condividi: