
Dorota Dakowska è una ricercatrice e professoressa polacca, attualmente impegnata presso il Dipartimento di Scienze politiche Science Po Aix, in Francia. La sua area di expertise comprende la trasformazione dell’educazione superiore, le organizzazioni politiche, la politica internazionale e gli studi di democratizzazione comparata. Il 6 Aprile, Echo Raffiche ha avuto la possibilità di incontrarla e intervistarla. Insieme, abbiamo deciso di non concentrare la nostra attenzione sugli eventi di guerra – che già polarizzano la nostra attenzione – quanto sugli effetti ‘collaterali’ che essa ha prodotto in Europa. Più precisamente, abbiamo discusso del ruolo della Polonia nella gestione dei rifugiati ucraini, della relazione tra Polonia e Unione Europea, e delle contraddizioni illustrate dalla messa in atto della solidarietà.
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Echo Raffiche: Lo scorso anno, l’Unione Europea ha aperto una procedura di violazione ai danni della Polonia, per quel che concerne lo stato di diritto. Questo ha portato a un aumento delle tensioni tra i due livelli, quello nazionale e quello europeo. In quale misura questo conflitto potrebbe cambiare le relazioni presenti e future tra Varsavia e Bruxelles, alla luca del ruolo cruciale che la Polonia sta avendo in questa crisi?
Dorota Dakowska: La Polonia è, ancora ad oggi, in contrasto con l’Unione Europea nella misura in cui si parla di stato di diritto. Il governo polacco si aspettava che l’attuale situazione e il suo supporto alla società e ai rifugiati ucraini avrebbero potuto cambiare questo stato di cose. Per esempio, in una recente legge polacca sui rifugiati dall’Ucraina, c’è stato un tentativo di introdurre una serie di regole che garantissero l’impunità al governo contro potenziali violazioni dello stato di diritto. Anche se questa proposta alla fine non è passata, ad oggi (il 6 di aprile, ndr), la Commissione Europea sostiene che il rubinetto monetario verso la Polonia non possa essere riaperto fino a quando le necessarie riforme del sistema giudiziario saranno introdotte.
Il secondo aspetto è, naturalmente, che la situazione geopolitica è cambiata. Abbiamo già assistito a dimostrazioni di solidarietà tra l’UE e il governo polacco in ottobre-novembre, quando era esplosa la crisi umanitaria al confine tra Polonia e Bielorussia. Oggi, di fronte all’invasione Russa dell’Ucraina, l’UE ed i leader nazionali hanno raggiunto posizioni di accordo, cosa che non deve essere data per scontata nella misura in cui parliamo di sanzioni. Questo, senza dubbio, modifica la posizione della Polonia nell’Unione Europea, in quanto ha accettato di aprire il proprio confine.
Va da sé, ci deve essere più sostegno da parte dell’UE, cosa che fino ad oggi è mancata, ma spero che si crei maggiore coordinazione internazionale per aiutare anche gli altri stati europei ai confini, come la Romania, così come gli stati non-membri, come la Moldavia. Proprio quest’ultima, in termini relativi, è lo stato che ha accolto il maggior numero di rifugiati nel proprio territorio; ed è bene ricordare che, in confronto ad altri stati, la Moldavia è uno stato povero.

Credits: ANSA
E.R.: Per quel che riguarda la gestione polacca dei rifugiati, possiamo forse parlare di double standards nella misura in cui milioni di rifugiati ucraini sono stati accolti, quando, ancora oggi, qualche centinaio di persone è in stallo al confine con la Bielorussia?
D.D.: Questa è un’esperienza veramente amara per le Organizzazioni Non Governative (ONG) in Polonia, che sono state fortemente impegnate nell’aiutare i rifugiati provenienti dal Medio Oriente (principalmente da Iraq, Kurdistan, Siria, Afghanistan, Yemen e altri stati africani). Queste ONG cercavano di salvare persone in condizioni veramente difficili. Oggi, come molti cittadini polacchi, supportano e accolgono i rifugiati dall’Ucraina. Ma, appunto, è un’esperienza amara per loro vedere quanto ospitale la Polonia si è dimostrata nei confronti dei rifugiati provenienti dall’Ucraina, rispetto a quanto estremamente difficile è stato accogliere quelle poche migliaia di rifugiati al confine Bielorusso, anch’essi scappati dalle conseguenze degli attacchi di Putin sulla Siria di alcuni anni fa.
La tensione al confine Polonia-Bielorussia era iniziata nell’agosto 2021, quando un gruppo di afghani è stato bloccato nella terra di nessuno tra i due stati in condizioni terribili, dato che nessuno aveva il permesso di lasciare loro del cibo, dell’acqua potabile, delle tende o dei rifugi (per gli interessati, ne abbiamo parlato approfonditamente qui). Ciò che il governo polacco fece in quella circostanza fu militarizzare il proprio confine, creando una sorta di zona rossa lunga 3 chilometri, all’interno della quale nessuna ONG, né giornalista, né dottore potesse accedere. Non è stato un approccio particolarmente umanitario e non è stato nemmeno un approccio legale, dato che era in contrasto con la Convenzione di Ginevra. Ciò che venne considerato come illegale furono i cosiddetti pushbacks, i respingimenti di queste persone che erano riuscite a attraversare la frontiera e che si trovavano nella foresta di Białowieża (la foresta al confine tra Polonia e Bielorussia, ndr). E la cosa peggiore è che questo accade ancora: alcune famiglie sono ancora lì – quantificare è difficile, forse una o due centinaia – e cercano ancora di passare il confine. Le poche ONG e dottori che cercano di aiutarli agiscono in condizioni veramente difficili. Il paradosso è che aiutare i rifugiati al confine bielorusso è criminalizzato, mentre aiutare i rifugiati qualche centinaio di chilometri più a sud, al confine con l’Ucraina, è glorificato.
Quindi sì, ci sono double standards, ma la Polonia non è l’unica a praticarli (abbiamo già parlato dell’ipocrisia europea qui). Il governo polacco ha ricevuto molto supporto anche dal Parlamento europeo, non solo dall’estrema destra, ma anche dal Partito Popolare Europeo (European People’s Party, ndr), il partito democristiano dominante di centro-destra, così come da altri partiti.
E.R.: Per la prima volta a partire dalla sua creazione nel 1995, la Direttiva di Protezione Temporanea è stata innescata dalla Commissione Europea. Concepita come misura straordinaria da applicarsi nel corso di ingovernabili flussi umanitari, lo strumento garantisce una protezione temporanea ed automatica a tutti i rifugiati provenienti da una specifica area geografica. La direttiva, creata in seguito alle guerre jugoslave, non è mai stata innescata fino ad ora. Possiamo considerare la sua attivazione come una svolta nella politica migratoria Europea?
D.D.: Sono sempre cauta nell’usare un termine come “svolta”, ma, certamente, questa è un’opportunità. Dal 2001, la direttiva era considerata morta e “congelata”. Questa guerra in Europa si è rivelata l’occasione per “resuscitarla”. Probabilmente, è stata considerata un’ottima occasione per avere un sistema flessibile che offra garanzie minime ai rifugiati; ma, allo stesso tempo, è temporanea, quindi la protezione è concepita per 6 mesi, forse un anno, con la speranza che nel frattempo la guerra termini.
Ora, la vera questione è chi sarà toccato da questa protezione temporanea. Può essere veramente una chance se considerata come una cornice di funzionamento generale e applicata ad altre persone in esilio, ma allo stesso tempo sappiamo che gli stati dell’UE sono molto cauti quando si parla di migrazione. Vedo che sono molto prudenti anche riguardo agli attuali migranti dall’Ucraina. Mi trovo in Francia adesso, e devo spiegare che cosa sia la guerra e perché sia necessario avere prezzi ridotti (per i rifugiati, ndr), dato che queste persone non possono pagare per tutto. In Polonia questo è ovvio, ma qui in Francia è difficile da spiegare. Credo che ci siano anche paure connesse al periodo elettorale e alla reazione di una certa parte di popolazione restia ad accogliere i rifugiati anche in questo contesto di guerra e bisogna tenerne conto; quindi credo che i governi saranno cauti nell’appellarsi alla protezione temporanea, e a non estenderla troppo.

Credits: Ursula Von Der Leyen Twitter.
E.R.: Riguardo allo status temporaneo di protezione offerto dalla direttiva: ritiene che sia più facile implementare la solidarietà nel breve periodo? E come possiamo rendere effettiva questa solidarietà, nel medio-lungo periodo?
D.D.: Questo è certamente un problema, specialmente in Polonia. Le cose finora sono andate ‘al contrario’: ci sono numerose persone che ospitano cittadini ucraini nelle loro case, ad esempio un parlamentare ha accolto undici rifugiati…è un po’ una gara a ‘chi può dare di più’. Ad ogni modo, ciò che è “sottosopra” è che di solito il governo coordina le operazioni e le ONG lavorano insieme al governo, ma in questa situazione credo che le ONG abbiano l’impressione che non ci sia alcun coordinamento.
Credo che la grande domanda sia cosa succederà quando questo élan du Coeur, questo slancio solidaristico, si esaurirà. Ci sarà un ‘effetto stanchezza’: le persone possono ospitare una famiglia nel loro appartamento per alcune settimane, ma diventerà sempre più difficile. Servirà sempre più coordinazione, più aiuti internazionali dall’ONU, dalla UE, dalle ONG internazionali: al momento non sono né molto presenti né molto visibili, e in generale non si sta facendo abbastanza. Credo che questa sia una grande sfida per la Polonia, sia per l’ampio numero di rifugiati che sta accogliendo al momento (circa due milioni), sia perché già prima della guerra ospitava circa un milione di lavoratori ucraini.
Questa è certamente una questione anche per i paesi occidentali dell’UE: come possiamo stabilizzare la situazione? In Germania ad esempio si potrebbe vedere un “effetto stanchezza”, in quanto (i tedeschi, ndr) hanno già accolto quasi un milione di rifugiati negli anni passati (arrivati per altro in un periodo di un anno e non in due settimane come in Polonia) e stiamo già vedendo che ci sono delle difficoltà nell’accogliere nuovi rifugiati.
Echo Raffiche: Seguendo questa linea, la Polonia può essere considerata un esempio virtuoso riguardo a questo senso di ‘solidarietà di comunità’ mostrato verso i rifugiati ucraini? È forse questo qualcosa da cui dovremmo imparare?
Dorota Dakowska: È difficile da dire perché la Polonia non è sempre stata un esempio: solo quattro mesi prima della guerra c’è stata questa reazione molto problematica e fredda nei confronti delle persone che dal Medio Oriente arrivavano in Bielorussia e cercavano di entrare, ci sono stati anche molti attacchi razzisti, insulti… Non penso che il governo polacco possa essere considerato un esempio. Possiamo piuttosto pensare a questo concetto: c’è un momento in cui le persone possono cercare di dimostrare qualcosa, possiamo dire il loro senso di umanità.
Ogni paese ha un certo momento in cui la comunità sente che “è il nostro momento per agire!”. E credo che, al momento, questo sia il caso della Polonia, ma non solo. la Moldavia può essere considerata un esempio: quasi 400.000 persone sono transitate da lì per poi raggiungere altri paesi. La Romania sta facendo del suo meglio, la Repubblica Ceca si sta dimostrando molto solidale e la Finlandia ha accolto tutti gli studenti che si trovavano in Ucraina e che desideravano lasciare il paese. In conclusione, molti paesi sono o stanno provando ad essere d’esempio, di fronte agli orrori a cui stiamo assistendo a Butscha, Irpin, Borodianka, Mariupol e in altre città.
Immagine di copertina: Il confine Polonia-Ucraina. Credits ANSA.