
L’Europa è un universo politico strano, in cui, a volte, le cose hanno un nome diverso da quello comune: perché, ad esempio, chiamare il portavoce degli interessi europei nelle sue relazioni internazionali ‘Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza’, invece di un più concreto ‘Ministro degli Esteri’? Tralasciando il fatto che quest’ultima carica risulterebbe in conflitto con le rispettive controparti nazionali, possiamo forse rintracciare una ragione più profonda e cinica: l’attuale incarico non ha il potere e l’autorità necessari per definirsi e paragonarsi a un ministero. I recenti avvenimenti di Mosca lo hanno dimostrato, rendendo più che mai attuale una riflessione sulle reali possibilità di attuare una politica estera comunitaria, riconosciuta come tale dal resto del mondo.
Dal giorno in cui Alexei Navalny, oppositore politico di Vladimir Putin, è stato arrestato e condannato dal governo russo – dopo essere stato avvelenato dallo stesso, come confermato da Germania, Francia, Svezia e dall’OPAC –, una serie di proteste si sono scatenate nelle piazze a sostegno dell’oppositore politico. Il risultato: migliaia di arresti e una crescente tensione a livello internazionale. All’interno di questo quadro la missione diplomatica di Josep Borrell, ex-Presidente del Parlamento Europeo e attuale Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, avrebbe dovuto strappare un accordo in merito al potenziale rilascio del dissidente e dei protestanti. Un evento diplomatico, quello organizzato, di alto profilo: lo stesso Borrell avrebbe richiesto di avere un certo spazio di manovra diplomatica, piuttosto che un semplice messaggio da recapitare alla sua controparte russa, il Ministro degli Affari Esteri Sergey Lavrov. Questa volontà, unito alla richiesta di incontrare Navalny in carcere, lasciava intravedere una posizione di forza che l’Alto rappresentante credeva di potere esercitare mediante una spedizione diplomatica organizzata tempestivamente e in grado di attirare attenzione internazionale sul governo russo. Qualcosa, tuttavia, non è andato come previsto.

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La conferenza stampa è stata infatti disastrosa e controproducente: il tono cooperativo di Borrell è stato annichilito da quello secco e aggressivo di Lavrov, il quale ha definito l’UE un «partner inaffidabile», incapace di esercitare un potere politico pragmatico e reale. Sorpresa e confusa la reazione del diplomatico europeo, il quale ha abbozzato per l’intera conferenza mezzi sorrisi e timide repliche. Oltre alla beffa, invertendo il detto, il danno: 3 diplomatici europei sono stati espulsi dalla federazione russa per avere partecipato alle proteste; informazione ignota a Borrell, venutone a conoscenza tramite un tweet. Lontano dall’intento di promuovere, se non addirittura forzare, una convergenza politica tra UE e Russia, la visita di Borrell ha avuto come unico esito quello di confermarne la crescente distanza.
Quanto la colpa sia imputabile a Borrell e quanto sia insita nelle reali possibilità politiche del ruolo in sé, è una domanda che rimane aperta. La reazione dell’Europarlamentare estone Riho Terras, il quale ha redatto una lettera chiedendone le dimissioni, tenderebbe in direzione della prima opzione; opinione condivisa, dato che la lettera è stata firmata da altri 73 Europarlamentari. Ma c’è da chiedersi: è questa una richiesta legittima, o l’esito di una negazione su larga scala, che preferisce condannare un singolo per non affrontare una realtà ben più complessa?
Che Borrell abbia le sue responsabilità, non avendo replicato a tono alle accuse, è indiscutibile – d’altro canto, il diplomatico non è certo famoso per essere un politico sanguigno e infiammabile –. Nonostante ciò, è altrettanto vero che il problema reale risiede nel potere da lui rappresentato: un potere incerto e fragile, che non regge lo scontro quando gli interessi e i valori in gioco risultano essere differenti. Se lo spirito di collaborazione non è condiviso da entrambe le parti, lo strumento diplomatico europeo, così come la sua capacità di esercitare un certo potere di persuasione (soft power), non è efficace. La retorica di Borrell, che nella conferenza ha enumerato i punti di contatto e convergenza fra UE e Russia, mirava esattamente a questo: ristabilire dei legami di interdipendenza e quindi di influenza tra le due potenze.

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Proposta che è stata però aspramente rigettata. La natura cooperativa e deliberativa dell’UE ne è anche vincolo e limite, se a mancare è esattamente tale volontà. Le relazioni internazionali, purtroppo, non sono fatte solamente di collaborazione e interdipendenza; al contrario, intervenire – per quanto giustamente – nella politica domestica di un paese non-membro richiede l’autorità e il potere sostanziale per farlo. È possibile ipotizzare che la Russia, nelle stesse circostanze, avrebbe reagito in maniera differente, se la missione diplomatica fosse partita congiuntamente da Francia e Germania.
Altro punto su cui riflettere: benché la politica estera si basi sulla tempestività, questa deve essere bilanciata da un potere che la renda efficace. In altre parole, la rapidità con cui la spedizione è stata organizzata non sembra avere pagato, perché impotente nello scalfire il muro russo con strumenti di ritorsione adeguati. Non è un caso che la discussione e l’eventuale risposta europea siano stati rinviati al prossimo Consiglio Europeo, in programma a marzo. Prevedibile, ma non certa, l’imposizione di sanzioni economiche: è bene ricordare che Angela Merkel ha alto interesse affinché le relazioni diplomatiche con la Russia non mettano in pericolo il progetto energetico Nord Stream 2, avente l’obiettivo di creare un gasdotto diretto in Germania attraverso il Baltico. E dato che l’imposizione di sanzioni richiede l’unanimità dei 27 – ulteriore limite alla reattività europea – nulla è certo.
L’alto rappresentante, in conclusione, non aveva particolari strumenti nelle sue tasche o conigli nel cappello. Imputabile, senza dubbio, di un eccessivo ottimismo nella considerazione delle possibilità di dialogo, Borrell rimane soltanto uomo-simbolo di un ruolo istituzionale che, a più di vent’anni dalla sua creazione, è ancora in uno stato embrionale, e di un’ambizione, quella di una comune politica estera europea, che ancora fatica a trovare posto nel reale e concretizzarsi.