
L’UE viene spesso accusata di essere un progetto distaccato ed elitario, la cui funzione, più che politica, è burocratico-amministrativa. Del resto, la politica nazional-tradizionale, con il suo carattere fortemente personalista, sembra essere molto lontana dal modus dell’Unione, in cui molteplici attori rappresentanti altrettante istituzioni occupano lo spazio politico. «Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?», domandava al riguardo Henry Kissinger.
Nonostante ciò, una volta all’anno (come, del resto, le migliori tradizioni), il Presidente della Commissione Europea convoglia a sé l’attenzione normalmente rivolta all’intera Unione, in un discorso politico che, su modello di quello americano, riprende il nome di stato dell’Unione.
Sebbene per i suoi detrattori l’evento abbia un valore puramente autocelebrativo, esso coincide con uno dei momenti più significativi dell’intero calendario europeo e, cosa ancor più interessante, si rivela un importante esame di carisma e carattere per il Presidente in carica. Obiettivo cruciale del discorso è sì informare sugli obiettivi raggiunti e quelli ancora da conseguire, ma anche, se non soprattutto, appassionare: lo Stato dell’Unione è una preziosa occasione di raccoglimento politico e di costruzione di una coscienza collettiva.
Lo scorso 15 settembre, di fronte al Parlamento europeo di Strasburgo, si è svolto il secondo Stato dell’Unione della Presidente Ursula von der Leyen. Data la portata politica dell’evento, strategia e retorica non sono stati sprecati: ciascun accenno, pausa o ripetizione ha assolto un’accurata funzione strategica e ha dimostrato una precisa ragione di esistere. Alla luce di ciò, è possibile individuare una serie di meta-narrazioni che emergono nel corso dell’evento, alcune delle quali ci forniscono indicazioni preziose sulla direzione strategica che l’UE intende intraprendere in futuro.
La prima riguarda l’auto-legittimazione del proprio operato. Von der Leyen ha aperto il discorso affermando come la crisi pandemica sia coincisa con un periodo di ricerca, per l’UE, della propria anima politica, a cui l’Unione ha risposto positivamente attraverso una campagna vaccinale efficiente e uno sforzo di solidarietà congiunto. Il NEXT GENERATION EU e il programma di redistribuzione dei vaccini per i paesi più in difficoltà ne sono il risultato: «se volgo lo sguardo all’anno che è trascorso e se osservo lo stato dell’Unione attuale, vedo un’anima forte in tutto quello che facciamo».

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La stessa standing ovation riservata a Bebe Vio in chiusura del discorso ha assunto una funzione strategica, in quanto l’atleta paralimpica è diventata simbolo di quelle nuove generazioni europee a cui von der Leyen si rivolge per ottenere il pieno consenso in vista dell’ambizioso progetto di riduzione delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030: «Facciamoci dunque ispirare da Bebe e da tutti i giovani che cambiano la nostra percezione di ciò che è possibile, che ci dimostrano che è possibile essere chi vogliamo essere».
Obiettivo primario dello Stato dell’Unione era ripristinare confidenza e credibilità a seguito di un anno caratterizzato da poche certezze politiche e molti punti interrogativi. Nonostante ciò, la forte enfasi posta su questa fiducia ritrovata è valsa a von der Leyen la critica di un’eccessiva autoreferenzialità.
Una seconda meta-narrazione consiste nella necessità di ‘cogliere l’occasione’ per riempire vuoti istituzionali e concepire un’Europa più rilevante a livello globale. Vari sono gli esempi sollevati nell’intervento: una maggiore intraprendenza europea nel settore del digitale volta a una crescente indipendenza nella produzione globale dei semiconduttori, un rafforzamento della leadership europea nella lotta globale al cambiamento climatico, così come un’emancipazione militare dalla NATO attraverso la creazione di una European Defense Union. O ancora, un’Europa più presente nelle politiche internazionali dell’Indo-pacifico e più unita nella risposta migratoria.

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Terza ed ultima meta-narrazione, strettamente connessa alla precedente, riguarda la costruzione retorica della figura del competitor, ovvero il potenziale ostacolo al progetto di riaffermazione della leadership europea a livello globale. In più di un’occasione, von der Leyen ha voluto sottintendere come immaginare e lottare per un’Europa più forte nel mondo sia oggi una necessità pratica, e non solamente un’idea illuminata.
Il bersaglio della Presidente della Commissione Europea è uno e uno solo: la Cina. Non è un caso, né tantomeno un particolare da sottovalutare, che il nome del Presidente Xi Jinping sia stato esplicitamente pronunciato nel discorso. Allo stesso modo, non è altrettanto accidentale il fatto che ‘cogliere l’occasione’, spesso e volentieri, miri a contrastare la potenza e l’autorità cinesi.
Ne è un esempio l’appello a perseguire un’indipendenza europea nella produzione di semiconduttori che, allo stato attuale, subordina totalmente l’Europa a potenze come quella cinese: «non si tratta solo di competitività. Si tratta anche di sovranità tecnologica». La volontà di promuovere un European chips act in vista della creazione di una propria filiera produttiva di nanotecnologie ci mostra quanto sia cruciale per von der Leyen rendersi più autosufficienti e quindi più competitivi.
Dicasi lo stesso per il ruolo cinese nella transizione verde, a cui von der Leyen sembra guardare con diffidenza e sospetto: «Gli obiettivi fissati dal presidente Xi per la Cina sono incoraggianti. Ma invitiamo le autorità cinesi a precisare in che modo il paese li raggiungerà. Il mondo intero sarà sollevato se dimostreranno di poter iniziare a ridurre le emissioni entro la metà del decennio […]».
Infine, la volontà di essere più influente nell’area dell’Indo-pacifico attraverso investimenti diretti risponde alla medesima legge di sopravvivenza, volta a non perdere definitivamente una sfera di influenza nella regione: «Siamo bravi a finanziare la costruzione di strade. Ma non ha senso per l’Europa costruire una strada perfetta tra una miniera di rame di proprietà cinese e un porto di proprietà cinese». In risposta, von der Leyen ha presentato Global Gateway, un progetto volto a creare un network di partenariati e interdipendenze e fornire un’alternativa europea al pragmatismo commerciale cinese della Nuova via della seta.
Importante, nella sua presentazione, è stata l’enfasi su una presunta eticità del progetto, da leggere in relazione alle violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Cina: «Seguiremo un’impostazione basata sui valori […]. Vogliamo creare legami, non dipendenze!».
Ursula von der Leyen sforza l’Europa a pensare in grande: i piani sono stati presentati e il guanto di sfida è stato lanciato. Non resta che da capire quanto di fatto seguirà a queste parole.