
TRIGGER WARNING
Questo articolo contiene immagini che potrebbero turbare il lettore.
Franco Fontana, fotografo modenese, afferma che «quello che si fotografa non è quello che vediamo, ma quello che siamo». Non è quindi un caso che, per l’ennesima volta, sia una fotografia a mettere a nudo l’Europa e la sua (mala) gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo.
Pubblicata da Open Arms e scattata dal fotografo e suo fondatore Oscar Camps, l’istantanea racconta di ignoti corpicini privi di vita, abbandonati sulle spiagge di Zuwara, a Ovest di Tripoli. Un caso simile era accaduto nel 2015, quando lo scatto di Nilüfer Demir, ritraente un inerme Alan Kurdi steso con il viso rivolto verso terra sulle spiagge di Bodrum (Turchia), era diventato simbolo del fallimento europeo nel gestire la crisi umanitaria.
I cadaveri di Zuwara, inghiottiti da una sabbia marmorea e ormai in via di decomposizione, si aggiungono al drammatico conteggio di più di 600 persone morte nel Mediterraneo in questo 2021. Le immagini, che ritraggono le atrocità di una crisi migratoria perdurante da più di un decennio, ci colpiscono perché invadono il nostro spazio di comfort, mettendone a nudo l’ipocrisia su cui esso si regge e turbandone la fragile stabilità.

Credits: NGO Open Arms - Oscar Camps
A fianco della ragione emotiva alla base della sporadica e ciclica presa di coscienza di ciò che avviene alle porte d’Europa, esiste anche una ragione oggettiva: un report pubblicato dall’UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees), dal titolo Lethal Disregard, Letale Disprezzo. Quel disprezzo perpetrato dalle autorità (europee e libiche) competenti, nei confronti di morti che «si possono prevenire», come afferma l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet.
Se la fotografia ci mostra il lato oscuro della Luna, le morti che nessuno vuole vedere, il report ci pone di fronte all’inconsistenza e le contraddizioni di un sistema, quello relativo alla Migrazione e l’Asilo, che ne è una delle cause dirette. La stessa inconsistenza che denota Mario Draghi, il quale di fronte alla fotografia dichiara quelle morti come «inaccettabili», ma che a Tripoli esprimeva «soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi».
È un sistema, quello europeo, accusato non soltanto di voltare le spalle ai migranti, ma addirittura di spingerli indietro (pushbacks), violando il principio internazionale di non-respingimento collettivo dei migranti (principle of non-refoulement). A prova di ciò, pendono in questo momento indagini nei confronti di FRONTEX, agenzia europea a controllo dei confini delimitati dall’area Schengen, per presunti episodi di pushbacks avvenuti nel Mare Egeo, tra Grecia e Turchia.
È un sistema che continua a considerare la Libia come porto sicuro, nonostante gli incessanti appelli delle ONG e dell’UNHCR in merito a violenze (fisiche, psicologiche e sessuali) perpetrate ai danni dei migranti e allo stato di prigionia in cui essi sono ridotti. Negli ultimi due anni, Europa e Stati Membri hanno concesso sempre più responsabilità, relativa alle missioni di Ricerca e Soccorso (SAR, Search and Rescue), alla Guardia Costiera Libica, i cui legami con i trafficanti di esseri umani sono stati evidenziati e confermati (come nel caso del criminale e guardia costiera libico Bija, spiegato qui e qui).
Infine, è un sistema che continua ad affidarsi alla complicità di altri Stati per il contenimento ed il respingimento dei flussi. Stati che, conseguentemente, possiedono uno strumento di pressione, a cui l’Unione si è volontariamente sottoposta.
Emblematico è il caso della Turchia, finanziata nel 2016 dall’UE con una somma pari a 6 miliardi di euro per arginare le migrazioni siriane verso il continente, e che si trova ora tra le mani uno strumento di ricatto nei momenti di alta tensione con l’Unione: minacciare di aprire il rubinetto dei flussi migratori, che, se non contenuti, porterebbero milioni di rifugiati a superare l’Egeo e approdare in Europa.
Lo stesso vale per il Marocco, che una decina di giorni fa ha sospeso il controllo dei confini con le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla – collocate in territorio africano –, inducendo migliaia di migranti a varcare il confine alla volta dell’Europa. Il tutto orchestrato con l’intenzione di vendicarsi della Spagna, colpevole di avere ospedalizzato Brahim Ghali, esponente indipendentista del Sahara Occidentale (rivendicato dal Marocco come territorio nazionale).

Credits: Nilufer Demir/Agence France-Presse — Getty Images
Allargando il focus, il problema più profondo che caratterizza la gestione europea della migrazione è un altro, e riguarda la sua considerazione. Vero motivo del Letale Disprezzo dell’UE nei confronti della questione migratoria è il fatto che l’elemento politico della vicenda abbia monopolizzato attenzioni ed apprensioni, finendo per farci addirittura dimenticare l’umanità delle vittime e le offese ad esse (e ad essa) arrecate.
Ci si faccia caso: qualunque sia l’accezione attribuita al migrante, sia essa positiva o negativa – ora come strumento di influenza politica, ora come minaccia, come risorsa da collocare e ‘sistemare’ oppure come indice statistico del numero di sbarchi –, la narrazione che ne si fa è sempre quella di un soggetto politico passivo, mai attivo.
E, dettaglio ancor più agghiacciante, la misura della sua umanità gli viene restituita soltanto se vittima del mare. A fornirci un resoconto di quelle vite perdute, sulle spiagge di Zuwara, rimangono solo fotografie che facciamo fatica a rivedere, ma che ci ricordano che a perire a largo del Mediterraneo, ogni giorno, sono delle persone.