
Volessimo fare della storia europea una narrazione, e semplificarne la politica attraverso un’immagine, l’Europa precedente agli anni Ottanta sarebbe probabilmente un ufficio di contabilità: una macchina burocratica, regolatrice e funzionalista, lontana dalle prime pagine dei giornali e distante dai cittadini, in particolare dai giovani.
Con il tempo, l’UE ha acquisito competenze e indipendenza, diventando un’istituzione politica sempre più rilevante. Per questo, si è reso necessario trovare un legittimo fondamento al proprio operato, perseguito attraverso la formazione di una coscienza e un’identità collettivi volti a costruire un supporto diffuso in favore dei valori e delle politiche di cui l’Europa stessa si faceva portatrice. Da ufficio contabile, l’Europa è quindi divenuta una piazza, aperta alla partecipazione e all’entusiasmo politico. È così che l’Unione ha iniziato a guardare con maggiore interesse ai giovani, in quanto futura generazione su cui investire per formare la base elettorale del domani.
Facciamo un balzo di quarant’anni in avanti: cosa ha raggiunto l’Europa sul fronte delle politiche e delle iniziative giovanili? Oltre all’arcinoto progetto Erasmus che, in poco più di 30 anni, ha permesso a 10 milioni di giovani di viaggiare dentro e fuori l’Europa (vale lo stesso per la mobilità Schengen: non sputiamoci sopra), un secondo progetto di rilievo è quello promosso dai Corpi della Solidarietà Europea, un network per il volontariato intra ed extra-europeo, destinato alla fascia di età tra i 18 e i 30 anni. Ulteriore opportunità è quella costituita da Youth4Regions, iniziativa che offre a giovani entusiasti esperienze nel campo del giornalismo, con un focus sui regionalismi europei.
Obiettivo strategico di queste attività è promuovere lo scambio interculturale e linguistico, favorire la mobilità sociale e lavorativa e incentivare la partecipazione nella vita politica dei paesi e dell’Unione. Elementi che, indirettamente, plasmano una coscienza collettiva sovranazionale.
Vero è che un collasso finanziario, una crisi dei debiti sovrani e le conseguenti misure di austerità adottate non si curano a suon di tirocini o esperienze, per quanto arricchenti siano. Dato che ognuna di queste crisi è stata maggiormente affrontata con un occhio al presente, più che al futuro, le generazioni di oggi si ritrovano ad essere nettamente più povere di quelle dei propri genitori. Oltretutto, negli stati maggiormente colpiti quali Italia, Spagna o Grecia, un sentimento di paura nei confronti del futuro alberga stabilmente nei pensieri dei millennials.
L’Europa dovrebbe quindi guardarsi bene dall’essere giovanilista, oltre che giovane: a fianco delle sacrosante iniziative sopraelencate, sarebbe auspicabile che l’UE avesse come obiettivo principale quello di combattere le condizioni materiali e sociali alla base della disoccupazione giovanile, ulteriormente impantanatasi a seguito della crisi pandemica. I presupposti ci sono: 22 miliardi sono stati stanziati nel 2020 per lo Youth Employment Support, dispositivo volto a facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro per i giovani, ed è fresco di annuncio il programma ALMA che, sulla falsa riga dell’Erasmus, intende promuovere l’occupazione giovanile creando connessioni lavorative da un paese all’altro.
Se è evidente quanto l’Unione Europea tenga alle fasce di popolazione più giovani (tanto che il 2022 sarà l’anno della gioventù europea), è altrettanto vero che l’Europa si dovrebbe lasciare maggiormente ispirare e trascinare dalle loro spinte normative: decostruire l’immaginario e la retorica del giovane, da soggetto politico su cui le politiche si applicano passivamente a quello di un individuo attivamente coinvolto nel processo di decision-making, potrebbe aiutare. La narrazione che vede il giovane solo e soltanto come futuro non dovrebbe più accontentarci.

Credits: Ansa
L’irruente forza del giovane consiste nel tradurre direttamente ideali, così come paure ed agitazioni, in pratiche e spinte normative. D’altronde, un filo rosso collega il Sessantotto ai Fridays for Future, passando per la caduta del muro di Berlino e le proteste contro la guerra all’Iraq nel 2003: la costante e fondamentale presenza della generazione più giovane, insieme intimorita e responsabilizzata dalla consapevolezza di ereditare il futuro che il presente sta costruendo (o distruggendo).
Sebbene, con la presidenza di Ursula von der Leyen, l’UE si sia fortemente avvicinata a una politica che rispecchia i valori delle nuove generazioni (quali cambiamento climatico, protezione dei diritti della comunità LGBTQ+, difesa dello stato di diritto e della libertà dei media, gender equality), la presenza del giovane rimane un imprescindibile stimolo normativo, da coinvolgere e preservare. Al pari di Socrate, descritto come un tafano intento a punzecchiare e smontare le false verità della città di Atene, i giovani diventano baluardo di ideali non negoziabili: ce lo ricordano, in questi giorni, le proteste al COP26 di Glasgow, laddove le voci dei manifestanti incitano all’azione concreta, aldilà della diplomazia circostanziale e delle foto di rito, per evitare la catastrofe climatica (ottenendo per altro maggiori riscontri mediatici).
Il bisogno di un tale promemoria, per quanto possa sembrare banale, è invece necessario: pensiamo allo European Green Deal, accordo volto a favorire e facilitare la transizione economica attraendo capitali finanziari privati verso opportunità di mercato green, dimenticando però in maniera ingenua che quegli stessi capitali privati hanno forti partecipazioni in compagnie ed attività basate sul combustibile fossile. Non prendiamoci in giro: a volte l’Europa manifesta ancora dei caratteri riconducibili all’ideologia neoliberale in cui è stata a lungo immersa, e sta quindi alle nuove generazioni il compito di scardinare queste incoerenze.

Credits: Jane Barlow/AP
Se da un lato la volontà di molti giovani coincide con quella europea di cooperare sui temi di mutuo interesse per forzare i limiti delle rispettive politiche nazionali, dall’altro lato anche l’Europa necessita dei giovani: non tanto e non solo perchè essi costituiscono necessariamente il futuro dell’Unione, ma perchè, se responsabilizzati e propriamente riconosciuti, sono in grado di influenzarne direttamente il presente.