Luci e Ombre del Nuovo Budget Europeo

Sulla base di quali elementi possiamo giudicare la bontà dell’accordo raggiunto dal Consiglio Europeo in merito al Recovery Fund? Ma soprattutto: cosa possiamo imparare da esso sull’Unione?

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ra il 17 e il 21 luglio, la capitale europea di Bruxelles ha prepotentemente polarizzato l’attenzione della politica internazionale. All’interno del Palazzo Europa, quartiere generale del Consiglio Europeo (composto dai 27 capi di Stato dei rispettivi paesi membri dell’UE), è infatti andata in scena un’estenuante maratona diplomatica dall’enorme portata politica. Hot topic della discussione: la definizione del budget Europeo su base settennale (2021-2027), all’interno del quale collocare il tanto discusso Next Generation EU (al secolo, Recovery Fund), strumento di ricrescita volto a bonificare le economie europee inaridite dalla crisi epidemica.

Risultato raggiunto: uno storico budget settennale da 1.1 trilioni di Euro, ma soprattutto un bacino monetario, quello del recovery fund, pari a 750 miliardi (390 sotto forma di sussidio, 360 di prestito) da distribuire e allocare secondo un criterio di necessità e urgenza fra gli Stati membri.

Molti fattori hanno contribuito a veicolare l’aura di una certa storicità nella risposta europea alla crisi. Tra questi elementi, vanno ricordati lo stanziamento di un fondo europeo a debito comune, il superamento delle forti perplessità incarnate dai difensori di un regime di austerity (Olanda, Finlandia, Danimarca, Austria e Svezia) e l’installazione di un sistema di approvazione delle strategie nazionali di ricrescita non basato sull’unanimità ma sulla maggioranza qualificata, la quale evita il rischio di veto da parte di singoli Stati.

Traguardi che hanno, al contempo, evocato un senso di vittoria da parte degli Stati aventi maggiore bisogno di assistenza e prodotto una ventata di entusiasmo filo-europeista che non si respirava da tempo immemore. È però corretto sottolineare come l’universo e la retorica europeisti tendano a fare di ogni compromesso, per quanto positivo, una vittoria assoluta e un crocevia fondamentale per il futuro dell’Unione. All’interno dell’accordo strappato lo scorso luglio, esistono infatti delle evidenti criticità, messe a nudo dal Parlamento Europeo.

Per quanto riguarda il versante strettamente economico, il budget europeo rischia di concentrarsi eccessivamente sul breve periodo, trascurando la sua durata settennale. Seppur un piano di ricrescita immediata sia indiscutibilmente benaccetto, è altrettanto vero che una limitazione dei fondi disponibili minerebbe le potenzialità dell’Unione.

Un altro punto critico coinvolge le modalità di restituzione del debito comune: secondo il “Financial Times”, l’eco di tale sforzo economico dovrebbe esaurirsi solamente nel 2058, con il pericolo che questo possa ostacolare la definizione dei futuri budget. L’ambizione di raggiungere la cosiddetta climate neutrality entro il 2050, come promesso da Ursula von der Leyen al momento del suo insediamento come Presidente della Commissione, esige massicce risorse economiche per il futuro.

La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, insieme al Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. Credits: Pool photo by Setphanie Lecocq via Getty Images

Un ulteriore problema, seppur di natura differente, riguarda il cosiddetto Stato di diritto, messo in pericolo in paesi membri quali l’Ungheria, dove il governo di Viktor Orbán ha assunto caratteri semi-autoritari durante il lockdown, e la Polonia, che a seguito della rielezione del Presidente Andrzej Duda ha intensificato una politica ostile alle comunità LGBTQ+. Obiettivo originario del Consiglio Europeo era condizionare lo stanziamento dei fondi monetari a delle garanzie riguardanti la protezione dei diritti dei cittadini europei, della libertà dei media e, più in generale, dei valori sottoscritti nel Trattato sul Funzionamento dell’UE. Da questo punto di vista, il Consiglio Europeo di luglio ha fallito nel suo intento. Il rischio di vedere il compromesso economico sfumare a causa del veto di questi due paesi ha annichilito l’intraprendenza etica del Consiglio. Con la conseguenza che la promessa condizionalità è stata (temporaneamente) riposta nell’armadio.

A seguito di ciò, qual è lo stato attuale della situazione? Nonostante l’interesse mediatico sia comprensibilmente scemato, le discussioni continuano e, in linea teorica, tutto è ancora aperto a potenziali ribaltoni e colpi di scena. La proposta su cui il Consiglio Europeo ha convenuto è attualmente sotto scrutinio del Parlamento Europeo. Pur non avendo un ruolo decisivo nella definizione del budget (principalmente nelle mani di Consiglio e Commissione), il Parlamento si riserva comunque un cruciale potere di veto: esso può approvare o rifiutare la proposta giuntagli sul tavolo.

Dopo un incontro esplorativo fra le parti, avvenuto giovedì 27 agosto, è sensato affermare che i discorsi diplomatici entreranno nel vivo durante il mese di settembre. Domanda: è possibile che il Parlamento rifiuti la proposta di budget, nel caso in cui le sue aspettative non venissero rispettate? Tale scenario risulta essere difficile, ma non inverosimile. Se è vero che il Parlamento non si permetterà di stracciare con leggerezza un accordo tanto agognato, frutto di uno sforzo diplomatico estenuante (più di 90 ore di colloqui!), è altrettanto vero che esso non accetterà passivamente i punti critici sopra rilevati.

In un comunicato stampa, il Parlamento si è detto disposto a ritirare il proprio consenso se alcune condizioni non dovessero essere migliorate. Essendo, da un punto di vista istituzionale, il legittimo rappresentante del popolo europeo, è chiaro che esso abbia a cuore gli interessi dei cittadini più di ogni altro organo. Considerato quindi il potere di veto, è sensato affermare che l’Europarlamento avrà tante più possibilità di strappare ambiziose condizioni quanto più concretamente si profilerà, agli occhi del Consiglio Europeo, lo spettro di un rifiuto. Un gioco rischioso, quello del Parlamento: serviranno intelligenza e tatto.

Per l’ennesima volta, l’Unione Europea si dimostra un’arena di compromessi, aggiustamenti, pesi e contrappesi. Questo, senza dubbio, va a discapito della celerità e della prontezza nelle risposte. Tante sono state le voci, politiche e non, che nel pieno della crisi rimproveravano il silenzio di un’Unione annichilita dall’ennesima crisi. A distanza di due mesi assistiamo, però, a un’Europa protagonista della gestione delle risorse e principale erogatrice di solidarietà. Forse, a questo punto, dovremmo essere noi a cambiare l’immagine che abbiamo di essa.

Abbandonando l’idea che l’UE sia in grado di rispondere a situazioni critiche con la stessa celerità, precisione e, perchè no, razionale egoismo che uno Stato possiede, potremmo forse comprendere meglio cosa essa sia. Il tema del budget europeo ci ha dato riprova di ciò: l’Europa è strumento a beneficio degli Stati e non sostituto a essi. Una rete di interdipendenza e solidarietà reciproca che tiene unite 27 entità politiche differenti.

Immagine di copertina: Illustrazione di Luca Gabrieli

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