
L’11 febbraio in Grecia è stata approvata una legge che autorizza la creazione di un nuovo corpo di polizia, interamente dedicato al controllo delle università. Il disegno di legge è stato proposto e approvato dall’attuale maggioranza conservatrice, al governo dall’estate del 2019, composta dai due partiti Nea Demokratia (Nuova Democrazia), centrodestra, ed Elliniki Lisi (La soluzione Greca), populista e ultra nazionalista. Dal momento della diffusione di tale progetto, intorno a metà gennaio, la penisola ellenica è stata attraversata da numerose manifestazioni studentesche di protesta alla legge e si è acceso un diffuso dibattito pubblico. In concreto, la legge prevede l’istituzione di un corpo di mille agenti di polizia universitaria, stanziati nei campus e incaricati di sorvegliare le strutture e gli studenti delle università, tradizionalmente luoghi di partecipazione e organizzazione politica oltre che di studio.
Il casus belli che ha portato all’introduzione della legge è stata l’aggressione del rettore di un’università ateniese che è stato costretto ad esibire un cartello che recitava “solidarietà agli squat”. Il fatto è stato usato per portare avanti con decisione anche nell’ambito universitario politiche securitarie di cui i due partiti di governo sono strenui sostenitori. Basti pensare che è di recente stato stanziato un fondo da 23 milioni per potenziare ulteriormente l’organico delle forze dell’ordine elleniche, già sostenute da un importante numero di nuove assunzioni dall’inizio del mandato dell’attuale governo. Eppure, secondo Eurostat, gli atenei greci presentano un tasso di criminalità in linea con quello del resto d’Europa, mentre la Grecia è al secondo posto per maggior numero di agenti rispetto alla popolazione totale.

Credits: ANSA
Al di là del singolo episodio, l’idea di una “polizia universitaria” e le relative proteste affondano le proprie radici nella storia recente dello stato ellenico. Le università greche hanno infatti avuto un ruolo politico e simbolico di primo piano fin dalla cosiddetta rivolta del Politecnico di Atene del 1973. Nata dall’occupazione dell’università, la protesta contro la giunta militare allora al governo si diffuse presto ad ampi settori della popolazione, prima di essere violentemente repressa con l’ingresso dei militari nel Politecnico. Le università sono state poi laboratori politici e fonte di proteste che hanno infiammato il paese dagli anni ‘90 ai momenti più bui della crisi economica e dell’austerity. Bisogna ricordare che, proprio in seguito alle violenze degli anni ’70, era stata introdotta una legge che impediva l’ingresso delle forze di polizia negli atenei se non per i crimini più gravi o dietro specifica richiesta, legge eliminata proprio dall’attuale governo. La lettura della situazione attuale è chiaramente diversa a seconda dell’osservatore. Per i conservatori al governo, la nuova legge dovrebbe porre un freno ad un movimento radicale ancorato alle pratiche di protesta più dure degli anni della giunta militare. Dall’altra parte, collettivi e partiti di sinistra vedono nella polizia universitaria un pericoloso passo verso l’autoritarismo.
Date queste premesse, non stupisce come il dibattito sia stato in primo piano nella sfera pubblica greca durante questo mese. Anche un’ampia parte del mondo accademico si è opposto alla misura, sottolineando come il problema dell’università greca risieda nella cronica mancanza di fondi, piuttosto che in questioni di ordine pubblico. Argomentazioni cui si sono accodati i rappresentanti dello staff accademico e non dell’Università di Oxford nell’esprimere solidarietà ai colleghi greci. Un’ulteriore preoccupazione è legata alla possibilità che l’approvazione della legge e l’introduzione del corpo di polizia nelle università avrebbe potuto portare allo scoppio di ulteriori tensioni e scontri nei campus universitari. Timori che sembrano essere confermati dagli incidenti avvenuti a Salonicco ed Atene in seguito all’approvazione della legge.

Credits: Reuters
Al di là delle preoccupazioni di ordine pubblico, il dibattito su questa legge è importante in quanto tocca dei temi fondamentali in relazione alla qualità democratica del paese intero, non solo dell’ambito universitario. È interessante notare come, al contrario delle affermazioni del governo, nessuno stato dell’UE preveda la presenza di un corpo di polizia all’interno degli atenei. È invece dall’altra sponda del Bosforo che il governo greco potrebbe aver preso ispirazione: è infatti la Turchia ad aver esercitato in questi anni una dura stretta sulla libertà del mondo universitario. Di pochi giorni fa la è la notizia della nomina di un nuovo rettore, gradito a Erdogan, all’università di Bogazici, e della violenta repressione delle proteste degli universitari. Vista la scarsa propensione del governo turco verso la libertà di espressione e la democrazia, sembra insomma che la Grecia abbia intrapreso una strada pericolosa per il suo futuro.
Proprio l’utilizzo di concetti come libertà, democrazia e partecipazione aiuta al formarsi di un giudizio su una controversia che, come detto, investe argomenti che vanno oltre la legge in sé e il paese in cui viene approvata. Del resto, proprio la storia delle violenze avvenute in passato nelle università greche avrebbe dovuto consigliare un approccio più costruttivo rispetto a quello puramente repressivo. Inoltre, la condizione di crisi e disoccupazione in cui ancora si trova la Grecia, ma non solo, richiederebbe di investire nel sapere, anche critico, delle Università, fondamentali luoghi di aggregazione, partecipazione e libertà. In conclusione, una simile legge merita attenzione perché punta a limitare valori che sono alla base del corretto funzionamento della democrazia. Nonostante ciò, essa ha avuto un’eco assolutamente limitato negli altri stati europei, sempre pronti a condannare comportamenti censori al di fuori dell’UE, ma colpevolmente disattenti a ciò che succede al suo interno.