USA vs ASSANGE: la libertà di stampa nel 2021

Il 6 gennaio la Corte Centrale inglese ha respinto la richiesta di libertà su cauzione del giornalista Julian Assange, celebre fondatore di Wikileaks, detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh (Londra)

Proprio nei giorni in cui la storica decisione di Twitter di silenziare l’account presidenziale – seguita dalle scelte analoghe di Facebook e YouTube – sta facendo molto discutere sul tema della libertà di espressione, a Londra proseguono le vicende giudiziarie del giornalista Julian Assange, ormai divenuto l’emblema vivente di un’altra libertà, quella di stampa.

Il processo penale contro il cittadino australiano, avviato dal governo degli Stati Uniti, si compone di diverse accuse, le prime databili agli anni 2011-2012 e formalizzate nel 2018; dal 2019, i 18 capi d’accusa, che prevedono come pena la detenzione fino a 175 anni, sono in attesa di essere dibattuti in un tribunale americano, data l’attuale ubicazione di Assange nel Regno Unito.

La richiesta di estradizione negli USA è stata respinta dalla Corte Penale Centrale inglese (Central Criminal Court) il 4 gennaio 2021, dopo numerosi rinvii dovuti, tra le altre cause, anche ai rallentamenti per covid-19. Tuttavia, questa decisione è temporanea: Assange non verrà estradato nell’immediato, ma è possibile che il ricorso presentato dagli USA, previsto per il 18 gennaio, ribalti ulteriormente la situazione.

Il pluripremiato giornalista, programmatore e fondatore della piattaforma d’informazione Wikileaks, è accusato di hackeraggio e spionaggio (17 capi d’accusa per quest’ultimo reato) per aver reso pubblico, a partire dal 2010, del materiale ‘classificato’, cioè ‘segreto’, appartenente a specifici dipartimenti di stato USA e di loro utilizzo esclusivo.
Tra la mole di documenti esposti, il contenuto più noto è costituito da un video, denominato ‘Collateral Murder’, che mostra in diretta la sparatoria su 12-18 civili iracheni, tra cui due giornalisti di Reuters e due bambini, durante un raid aereo dell’esercito americano a Baghdad, in data 12 luglio 2007.

Assange si trova al momento nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, dove è prigioniero dall’1 maggio 2019; dal 2012 aveva vissuto confinato nell’Ambasciata dell’Ecuador, protetto dallo status di rifugiato politico.
Il 6 gennaio, nonostante il blocco dell’estradizione, il giudice Vanessa Baraitser gli ha negato la libertà su cauzione.

Julian Assange.
Fonte: Twitter

I fatti sopra citati sono ormai di dominio pubblico e riprendono i fili di una narrativa che molti di noi ricorderanno, riportata alla luce dagli ultimi aggiornamenti sul caso.
Era infatti l’estate del 2010 quando il “caso Wikileaks” fece la sua comparsa in prima pagina sulle maggiori testate internazionali, ottenendo in poco tempo risonanza mediatica mondiale. Di lì a breve, vennero sollevate le prime obiezioni contro il modus operandi del sito, non solo dalla potenza mondiale incriminata dai leaks (letteralmente ‘perdite’, ‘soffiate’), ma anche da un’opinione pubblica visibilmente scossa dal loro contenuto e combattuta sulla legittimità della loro rivelazione.

Cosa è lecito pubblicare e cosa no? Chi decide sulla natura -quantità, tipo, provenienza- delle notizie pubblicate dai media?

I dubbi, numerosi allora, si ripresentano oggi, nonostante la condizione attuale di Julian Assange parli da sé.

Il diritto alla libertà di parola e di espressione è sancito dalla Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’Uomo, all’Art.19, e dalla stessa Costituzione americana, che ne ribadisce l’inalienabilità nel suo Primo Emendamento. 
Il ramo investigativo del giornalismo, dato l’alto rischio connesso all’attività di ricerca (incluse potenziali ritorsioni per pubblicazione di “contenuto scomodo”), si avvale della protezione offerta da queste leggi. A stabilire quali notizie pubblicare è poi l’editore, che agisce, o dovrebbe agire, nell’interesse del pubblico.

Tra le misure volte a silenziare la stampa, esistono le SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation), ovvero cause legali promosse da grandi organizzazioni private contro giornalisti singoli o redazioni.
La giornalista maltese Caroline Muscat ha raccontato la sua esperienza in merito a Index of Censorship, sottolineando come le SLAPP costituiscano una seria minaccia per il libero giornalismo.

Una manifestante a Londra il 6 gennaio 2021, giorno dell’udienza per la libertà su cauzione di Julian Assange.
Fonte: Facundo Arrizabalaga/EPA

Wikileaks: come funziona

Nato nel 2006, il sito (no-profit) operava inizialmente secondo il classico formato wiki, che consente agli utenti di caricare/scaricare file e editarli, in forma anonima. Assange ha sempre ricordato che, proprio perché la struttura stessa del sito garantisce l’anonimato, Wikileaks non ha mai ricercato informazioni, ma queste sono sempre state fornite loro spontaneamente. L’identità delle fonti, i whistleblowers, rimane sconosciuta, a meno che questi non decidano di dichiararsi di propria volontà o vengano scoperti/denunciati da terzi.

La piattaforma si autodefinisce ‘intermediario tra le fonti primarie e la stampa internazionale’. Wikileaks, in quanto team indipendente di giornalisti, può decidere di condividere i documenti con dei media partner, ovvero altri siti/testate giornalistiche. Data la natura sensibile del contenuto diffuso, esistono contratti appositi per questo tipo di accordi, che regolano, per esempio, la quantità di informazioni da pubblicare – non sempre i contratti vengono rispettati dalle terze parti, come ricordano gli episodi del 2010, con il Guardian e il New York Times.
Wikileaks vive principalmente di donazioni da parte dei lettori/sostenitori.

Nel corso degli ultimi dieci anni, si stima che WikiLeaks abbia reso pubblici 10 milioni di documenti. Il mondo è venuto a conoscenza delle condizioni dei prigionieri nel carcere di Guantanamo, dei reati di guerra dell’esercito americano durante i conflitti in Medioriente, dell’attività di sorveglianza di massa della CIA, della corruzione dilagante in tutti i governi, dalla Tunisia alla Somalia, di ingiustizie, scandali e coperture.

I responsabili della maggior parte di questi crimini sono rimasti impuniti; lo stesso attacco aereo in Iraq era stato inizialmente descritto alla stampa internazionale come un incidente e i video che riprendevano l’evento furono dichiarati ‘non reperibili’. Ad oggi, come ricorda su Twitter Christine Assange, la madre di Julian, Collateral Murder’ è stato rimosso da YouTube, pur rimanendo disponibile sul portale Wikipedia.org.

Funzionamento del sito wikileaks.org; ogni leak è introdotto da un breve articolo.
Fonte: autore

Il futuro di Assange

Dalla decisione di alcuni server di non ospitare più wikileaks.org, alle risoluzioni di banche e servizi di pagamento (come PayPal) di non supportare più finanziamenti e donazioni, l’influenza più o meno diretta degli USA ha avuto il suo effetto.
Twitter era stato citato in giudizio dal governo federale nel 2010 (durante l’amministrazione Obama), ovvero, era stato spinto a condividere in segreto i dati personali di tutti gli utenti che facevano parte di/seguivano Wikileaks, compresi indirizzi IP e e-mail di oltre 600 persone, tra cui Assange e la politica islandese Birgitta Jonsdottir.

Assange è un giornalista prigioniero in un carcere predisposto per i terroristi; l’estradizione in USA è stata respinta dal giudice poiché le probabilità che il tribunale federale lo dichiari colpevole sono molto alte e l’arresto minerebbe ulteriormente la salute mentale di Assange, che ha già tentato il suicidio in precedenza. Il carcere cui è destinato è il Metropolitan Correctional Center di New York, tristemente noto alla cronaca per la morte del detenuto Jeffrey Epstein.

Amnesty International, il Relatore Speciale sulla Tortura delle Nazioni Unite Nils Melzer, il linguista Noam Chomsky e innumerevoli associazioni umanitarie e personaggi di cultura hanno condannato il gesto degli Stati Uniti e si stanno battendo per Assange: una petizione firmata da 10 milioni di persone è stata sottoposta da Amnesty al Primo Ministro australiano Scott Morrison, affinché ne solleciti la liberazione.
Purtroppo il dialogo con gli USA sembra possa diventare ancora più difficile in futuro, data la posizione del presidente-eletto Joe Biden, che ritiene Assange “un terrorista”.

Lettera indirizzata al Primo Ministro australiano per la sollecitazione alla liberazione di Julian Assange.
Fonte: Twitter, @DefendAssange

Chelsea Manning, Edward Snowden, Reality Winner, Sarah Harrison e Julian Assange sono solo alcuni dei nomi di informatori e giornalisti perseguiti, silenziati o incarcerati per aver rivelato informazioni di interesse pubblico, in nome della ricerca della verità.
Come affermato da Assange nell’intervista già citata, «quando il contenuto è inattaccabile, l’attacco viene diretto alla persona»; il suo caso è il caso di tutti. La morte di Assange, in condizioni di salute già precarie, è la morte del diritto alla libertà di stampa nel mondo.

Immagine di copertina: un cartello esposto dai manifestanti durante il processo di Assange a Londra. Fonte: Twitter

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