
È il giorno del vostro compleanno. Immaginate di ricevere in dono una bottiglia di vino. Magari pregiato, costoso. Magari, perché no, proprio il vostro vino preferito.
Immaginate adesso di estrarla dall’inconfondibile contenitore e di rigirarla tra le mani mentre un gran sorriso si stampa piano piano sul vostro viso. Guardate attentamente l’etichetta annuendo che sì: è proprio il vostro vino preferito! Ma come facevano a saperlo i vostri amici?
State già iniziando a gustarlo con gli occhi quando il vostro sguardo cade su l’annata di vendemmia e, guarda qua che coincidenza, proprio quella data! Quell’anno che per voi significa così tanto! Il valore simbolico della bottiglia si aggiungerebbe briosamente al valore gustativo di essa e forse, a stento, riuscireste ad aprirla senza rompere il tappo nel collo, talmente siete emozionati.
E dopo averla bevuta, trangugiata fino all’ultima goccia, insieme alla vostra compagnia, non si potrebbe certo escludere che vi sentiate così ispirati che, a questo vino, a questa bottiglia di questa particolare annata, voi dedichiate addirittura una poesia.
Immaginate ora che quella data, quelle quattro cifre, in realtà non corrispondano al vero. La bottiglia che con tanta gioia v’è stata regalata in realtà è stata contraffatta. Il vino è lo stesso, ma la vendemmia non è quella che voi avete recepito fosse, bensì un’altra decisamente più recente. Uno scherzo, forse organizzato proprio da quegli stessi amici con cui avete condiviso questa bottiglia. Sapevano forse che quell’anno per voi significava qualcosa? E in ogni caso, come reagire? Ordinarli a confessare oppure fare finta di niente e stare al gioco perché, dopo tutto, è stata una piacevolissima serata?
Se mai vi capiterà una situazione del genere, sappiate che condividerete gli stessi pensieri che, probabilmente, passarono per la testa a Giosuè Carducci la mattina successiva al suo compleanno del 1888, dopo una sbornia a base di Valtellina Sassella.

“E tu pendevi tralcio da i retici
balzi odorando florido al murmure
de’ fiumi da l’alpe volgenti
ceruli in fuga spume d’argento”
Giosuè Carducci termina la sua lirica “A una bottiglia di Valtellina del 1848” nel gennaio 1889 ma la sua genesi avviene qualche mese prima, nell’estate dell’anno precedente. La storia che si cela dietro al componimento di questa poesia, contenuta nella raccolta “Odi Barbare”, è quantomeno singolare e mischia uno scherzo finito fin troppo bene con un pizzico di leggenda.
Come abbiamo detto siamo in estate, per la precisione a fine luglio. Giosuè, come ormai era sua abitudine da qualche anno, si trova in villeggiatura in un paesino della Valtellina, Madesimo, ospite da alcuni conoscenti.
Da lì a qualche giorno sarà il suo compleanno e amici e ammiratori, per onorarlo decidono di dovergli, a tutti i costi, regalare qualcosa. Dopo un’estenuante ricerca non riescono a trovare niente di meglio che una bottiglia del tipico vino rosso prodotto in quelle valli, il Valtellina Sassella, di cui il poeta va matto. Un vino leggero, minerale, prodotto dalle uve di Nebbiolo che in questa località viene chiamato Chiavennasca. Certo, non è il regalo più originale che ci sia e oltretutto l’unica annata disponibile è la 1884, fin troppo giovane perché sia in grado di omaggiare, con le dovute riverenze, un personaggio che ormai è diventato celebre non solo per la sua produzione poetica ma anche per il suo impegno patriottico.
Patria, patriottismo, patriottico.
Proprio questo aspetto del poeta nazionale accende la lampadina alla combriccola. Alcuni amici infatti si riuniscono davanti all’etichetta e, dopo un lavoro di precisione, riescono a modificarla cambiando il poco entusiasmante numero 1884 con il ben più insigne 1848, anno dei moti rivoluzionari e della prima guerra d’indipendenza italiana contro gli Austriaci a cui Carducci non aveva potuto partecipare perché troppo giovane.

Et voilà, ecco qua che un’anonima bottiglia di vino rosso si trasforma in un regalo che difficilmente verrà dimenticato dal ricevente. Si tratta chiaramente di uno scherzo, di una burla. Carducci non è uno sprovveduto, i rossi di Valtellina li conosce bene e li beve regolarmente anche nella sua natia Toscana. Come non riconoscere che il vino versato nel proprio bicchiere non può sicuramente essere più maturo di 5, massimo 6 anni? Inoltre, per quanto il Nebbiolo sia longevo e prono all’invecchiamento, un Valtellina di oltre 40 anni con le tecnologie dell’epoca? Impossibile no, ma quantomeno molto raro.
Eppure, Giosuè non batte ciglio, magari fa solo finta di non accorgersene ma, in ogni caso, decide di stare al gioco perché in realtà a lui, più che il vino in sé, interessa la data impressa sull’etichetta: quel fatidico 1848, l’anno della patria. Il valore simbolico della bottiglia supera di così tanto quello intrinseco del liquido contenuto all’interno che se anche al posto del vino ci fosse acqua sporca il regalo sarebbe in ogni caso delizioso e ben accetto.

È così contento l’amico poeta, orgoglioso mentre rigira la bottiglia incredulo, che non vale la pena di interrompere un momento così magico e gli amici, vedendolo così entusiasta, decidono di non rivelargli lo scherzo e con lui il segreto che si cela appresso.
Ed è proprio in quella sera del 27 luglio 1888 che, quasi sicuramente, Giosuè Carducci, seduto ad un tavolino all’aperto di un’osteria di Madesimo, sotto le stelle e circondato da persone care, inizia a pensare alla poesia che poi porterà a compimento sei mesi più tardi.
Rinfrescato esternamente dalla brezza montana della Valtellina, e internamente dalla consistenza setosa di un Sassella inaspettatamente patriottico.