
Qualche settimana fa, al ritorno da una lunga serata, sono rincasato con mille pensieri per la testa.
Poco prima, nel parcheggio di fronte a casa, ho avuto una lunga e interessante conversazione con un caro amico in merito all’arte, le scelte che ne derivano e la complessa relazione tra il nostro tempo e lo spazio che possiamo dedicare all’approfondimento di ciò che più ci piace.
Da sempre sostengo che il teatro, il cinema e la musica siano più vicini di quanto sembri, e non perché entrambi appartenenti al magico mondo dei performer autoriferiti, ma piuttosto per tutto ciò che implica vivere dall’interno queste due sfumature artistiche.
Io sono un musicista, lui è un attore, ed entrambi viviamo la vita con il filtro naturale di chi ama porre le cose sotto una costante lente di ingrandimento, il tutto corroborato da una buona dose di deformazione professionale, se così possiamo dire.
La discussione è nata in seguito alla comune osservazione del mercato dell’arte: la fruizione immediata garantisce un probabile successo, e non sempre è possibile rimanere fedeli alla sola disciplina, talvolta dovendo muovere il proprio core business, sia in termini economici che d’immagine, verso il mondo pubblicitario, pubblico o televisivo. Considerando assioma la regola per la quale il talento senza dedizione e cura non possa essere realmente sfruttabile, abbiamo provato ad interrogarci in merito a quanto un artista possa dividersi tra una serie infinite di sfumature professionali, garantendo infine un prodotto di alta qualità.
Il verdetto è stato poco incoraggiante: dal nostro umile punto di vista infatti, non molto.
Tutto ciò, pensavo, è simile alla condizione del giornalismo odierno, per certi versi. Esistono i quotidiani, che nella partizione online sopravvivono grazie a titoli clickbait, e i magazine di approfondimento, che non sono presenti costantemente, ma che possono contare su articoli generalmente più strutturati. Questa duplice essenza della disciplina, penso sia presente anche nel mondo artistico, ed è proprio qui che le due strade si incontrano.
Nei giorni successivi alla conversazione di cui sopra, ho letto una citazione di Marracash, uno dei rapper più famosi della penisola, il quale ha collaborato con Rolling Stone per un numero speciale della rivista, al fine di celebrare l’uscita del suo sesto disco. All’interno vi è scritto “Io non sono più bravo degli altri, però mi ci dedico di più. La gente pensa sia solo talento, ma è come per i calciatori, ti devi allenare continuamente”.

Leggere una frase simile dalla specie più auto-celebrativa presente sulla terra, i liricisti Hip Hop, mi ha davvero colpito.
È un genere che fonda gran parte della propria popolarità sull’immediatezza, il rap, ed è forse proprio per questo che ha un po’ scalzato negli ultimi dieci anni il sogno del campo a undici in virtù del palcoscenico.
Marra però non ci sta e sottolinea infinite volte, lungo le pagine che compongono la rivista, l’importanza della riflessione, dell’ispirazione e della nobiltà insita nelle cose fatte bene.
Nel disco appena uscito, chiamato “Noi, loro, gli altri”, c’è spazio per i sentimenti, critica sociale, dubbi esistenziali e tutto ciò che può derivare da un’attenta osservazione del mondo, soprattutto quando viene inghiottito da una pandemia, il proprio tour da quattro sold out al forum di Assago cancellato e l’unica cosa rimasta è fare i conti con la persona che resta, nel nostro caso Fabio, alter ego quotidiano del più celebre Marracash.
La copertina dell’album raffigura una foto di famiglia, dove ci sono tutte le persone care all’artista, tra le quali anche l’ormai ex fidanzata Elodie. Marra spiega questa mossa, da molti giudicata particolare (per non dire pubblicitaria, secondo i più avvezzi all’infima disciplina dietrologica), affermando di non credere nella cancel culture, le persone presenti sono, infatti, coloro che hanno fatto parte della sua vita durante la realizzazione del disco, ed è giusto che siano presenti nell’immagine del prodotto finale. La copertina in questione è stata scattata durante la realizzazione dell’album, e non appartiene al futuro, ma al preciso momento al quale tutto questo corrisponde.

“Noi loro gli altri” condivide la data di uscita con un altro album, dove questo concetto viene nuovamente espresso.
L’album in questione è “30”, ultima fatica di Adele, che per forza di cose ha una caratura decisamente maggiore. Al pari del collega, però, la leggendaria musicista britannica racconta del periodo di transizione vissuto negli anni scorsi, dove tematiche profonde e delicate come il divorzio e la conseguente percezione di sé stessa si fondono a composizioni incredibili per dare vita ad una storia, raccontata per mezzo delle canzoni, le quali, per garantire una corretta lettura, vengono posizionate nella tracklist in ordine cronologico.

Anche in questo caso, non c’è alcuna volontà di cancellare i momenti dolorosi trascorsi, anzi, come spesso accade artisticamente sin dalla notte dei tempi, l’intento è quasi catartico, e alla domanda “Non ti infastidisce dover parlare di tutto questo ogni volta che discuti il disco?” (Domanda lecita anche se “come potresti evitare l’argomento?”, penso io), la cantante risponde che no, non le pesa, è stato un periodo intenso, difficile, ma non per questo deve essere cancellato; Adele infatti lo cristallizza questo vissuto, e non solo nella sua memoria, ma nella storia. Esattamente dove si merita di stare un lavoro simile.
Più volte, inoltre, l’incredibile artista londinese, torna sull’importanza delle pause, del silenzio, della riflessione e dell’elaborazione, specialmente durante le poche ore di intervista ad oggi concesse.
Nulla di tutto ciò che è contenuto nei due dischi discussi sarebbe potuto essere stato scritto senza un’attenta e precisa analisi del proprio vissuto. A questo punto voglio porre un disclaimer: è di fondamentale importanza notare che il lavoro di analisi non viene fatto, sia nel caso di Marracash che nel caso di Adele, al fine di avere ottimi contenuti per il disco; è il disco stesso ad essere il racconto della vita e del processo interiore che è stato fatto a priori, per curiosità propria o per mera sopravvivenza, ed è per questo che avvertiamo entrambe le opere così reali e sincere.
Gli album in questione sono usciti il 19 Novembre 2021, e da allora non hanno mai smesso di vendere e di essere ascoltati, trasmessi, cantati.
Considerando infine la qualità eccelsa dei due lavori, unita all’ingente successo economico, è giusto guardare al magico universo musicale come un insieme di comparse, strategie e prodotti unicamente schiavi dell’universo commerciale? Secondo me si, e allo stesso tempo no. L’importante è che questo tipo di capolavori continuino sempre a sbocciare come fiori selvatici, crescendo anche durante le stagioni più aride, e nei campi più impervi.