
Dare maggiore importanza al significato delle parole. Sarebbe un proposito adeguato per il nuovo anno. In una società in cui esprimere la propria opinione è divenuto quasi un obbligo è fondamentale educare, non solo le nuove generazioni ma ogni cittadino, ad un uso consapevole del lessico. Spesso si erra pensando che una parola sia qualcosa di inconsistente e il cui uso sia privo di conseguenze: essa è tuttavia così potente da essere un mezzo non solo fondamentale per descrivere la realtà, esterna ed interiore, ma anche capace di creare conseguenze nel contesto verso cui il nostro pensiero è direzionato.
Seppur pubblicato nel 2010 per Rizzoli, La manomissione delle parole di Gianrico Carofiglio rappresenta, ancora oggi, un buon punto di partenza per la creazione di un dizionario personale e di un’eloquenza rispettosa. L’autore compie un percorso molto ampio, attingendo da linguisti e filologi, come Kemplerer, letterati e pensatori, come Calvino e Camus, intellettuali e politici, tra cui Gramsci, partendo però da un’asserzione fondamentale:
«Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore».[1]
Carofiglio ci dà però anche la soluzione, che dà il titolo a questo saggio, ovvero procedere a una manomissione:
«La parola manomissione ha due significati, in apparenza molto diversi. Nel primo significato essa è sinonimo di alterazione, violazione, danneggiamento. Nel secondo, che discende direttamente dall’antico diritto romano (manomissione era la cerimonia con cui uno schiavo veniva liberato) essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione. La manomissione delle parole include entrambi questi significati. Noi facciamo a pezzi le parole (le manomettiamo, nel senso di alterarle, violarle) e poi le rimontiamo (le manomettiamo nel senso di liberarle dai vincoli delle convenzioni verbali e dei non significati). Solo dopo la manomissione, possiamo usare le nostre parole per raccontare storie»[2].
Mutare il rapporto con le parole è un atto di responsabilità. Tuttavia è necessario che anche i partiti politici mutino le modalità comunicative e non si lascino andare a «emozioni elementari» o «patetismo» ma piuttosto sfruttino l’immenso patrimonio linguistico e retorico, in quanto «il potere costituito su basi emotive è l’opposto della democrazia, che si fonda invece sulla discussione critica, sull’argomentazione, sulla ricezione di istanze molteplici»[3].

È proprio questa immensità che ci induce a considerare scontata la scelta oculata del termine adeguato. Tuttavia questa immensità è una conquista acquisita dopo decenni del secolo scorso in cui regimi totalitari hanno impoverito il lessico disponibile, riducendo così la possibilità di pensiero. È dunque un dovere, oggi, essere cittadini responsabili e recuperare cinque parole fondamentali, che Carofiglio analizza con riferimenti interessanti e illuminanti: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta.

Se l’acquisizione del linguaggio è un processo estremamente naturale, è necessario che lo diventi anche l’uso delle parole nel rispetto dei propri interlocutori: un cittadino responsabile è anche un parlante responsabile.