I figli petrolchimici dell’Antropocene

La presenza di centinaia di fenicotteri rosa nella Riserva Naturale Saline di Priolo, un’oasi felice al centro di uno dei più vasti poli petrolchimici europei, ci ricorda quanto, oggi più che mai, le attività umane siano intrinsecamente legate ai processi naturali.

Anthropos-kainós. Una nuova epoca caratterizzata dall’assoluta centralità dell’attività umana e del suo impatto sui sistemi naturali. Antropocene. Un nuovo periodo in grado di scalzare l’Olocene e trasportare la Terra in una nuova fase della sua storia. Una rubrica dedicata a questa rivoluzione sociale, ecologica e culturale la si sarebbe potuta intitolare in molti modi. Avremmo potuto puntare l’accento sulla grande accelerazione postbellica, sul cambiamento climatico, sulla grande cecità, sul re nero, su… davvero molti fenomeni. Se ne avete sentito parlare di sfuggita o non avete proprio idea di cosa siano, nel corso dei prossimi mesi avrete modo di scoprirlo, perché li affronteremo tutti su queste pagine.

Intanto, per introdurre l’Antropocene, non abbiamo scelto una definizione, ma un’immagine. Uno scorcio evocativo ed esplicativo di quanto le azioni umane e le dinamiche naturali siano sempre più strettamente interconnesse.
Ci troviamo nella Riserva Naturale Saline del Priolo, un’area di circa cinquantacinque ettari nei pressi di Siracusa, proprio al centro di uno dei più vasti poli petrolchimici europei. Istituita nel dicembre 2000, la Riserva si presenta come un’oasi tra le ciminiere: un simbolo di rinascita per un territorio pesantemente trasformato e danneggiato dagli interventi umani. È un’importante area di sosta, nidificazione e svernamento per migliaia di uccelli migratori, circa il 40% delle specie osservate in Italia. Tra gambecchi, piovanelli, aironi e gabbiani, spiccano i fenicotteri rosa.

Mentre in passato questi animali transitavano in Sicilia prima di raggiungere l’Africa, da diversi anni, soprattutto a causa del progressivo aumento delle temperature, non hanno più bisogno di arrivare fin lì e molti si fermano a Priolo: «Qui, – scrivono i filosofi Marcello di Paola e Gianfranco Pellegrino Nell’Antropocene – tra i fanghi e gli sterpi delle antiche saline poi spodestate dall’industria petrolchimica e circondati da ciminiere, silos fumanti e miasmi, i fenicotteri non sono più solo di passaggio: nidificano, vivono e muoiono – in un nuovo habitat».

Nel 2015 le coppie di fenicotteri nidificanti erano settanta, mentre nel 2019 sono arrivate ad essere più di quattrocentocinquanta. Fabio Cilea, biologo ambientale e direttore della Riserva, ha recentemente spiegato le ragioni di questo incremento miracoloso, sottolineando l’importanza della riqualificazione dell’area:

  «Il pantano di Priolo era pieno di spazzatura e attraversato da un oleodotto che abbiamo bonificato tramite la realizzazione di una strada al suo centro. Di quella strada abbiamo lasciato alcuni pezzi diventati isole artificiali e sono queste a favorire la nidificazione dei fenicotteri perché posti sicuri contro i predatori. Non ci dimentichiamo poi che si tratta di un’area umida salmastra, ambiente d’elezione per la specie».

Cilea ha aggiunto come questo processo di rivalutazione ambientale e sociale sia solamente all’inizio e necessiti di svolte sostanziali per essere perseguito nel tempo. Dal canto loro, Pellegrino e Di Paola elevano questo fenomeno ad esempio tanto caratterizzante quanto particolare della natura ibrida propria del nuovo periodo in cui ci troviamo. I fenicotteri petrolchimici sono, infatti, il risultato della commistione sempre più marcata e inevitabile tra le azioni umane e i processi naturali. Dei figli caratterizzanti di una nuova epoca, in grado di rivitalizzare un’area profondamente martoriata, con cui abbiamo deciso di lasciare le prime tracce del nostro viaggio alla scoperta dell’Antropocene.

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