
Leggere un libro apre sicuramente nelle nostre menti una dimensione parallela. Con questo romanzo, in particolare, accade che la lettura, a tratti lenta ma densa di immagini, inglobi il lettore in una dimensione parallela ma allo stesso tempo universale, intento a riconoscere sensazioni che anch’egli ha vissuto nelle case della propria esistenza.
Lo stile di Bajani è unico nel panorama contemporaneo italiano. Ne Il libro delle case, pubblicato da Feltrinelli a Febbraio 2021, la modalità descrittiva non si pronuncia solamente sull’aspetto emotivo ma è caratterizzata dalla precisione, evidenziando quanto i luoghi delle nostre vite siano innanzitutto spazi caratterizzati da misure e quantificabili economicamente:
«La Casa dei Parenti è soprattutto un corridoio, al fondo del quale Parenti stanno seduti tutto il giorno. Entrando li si vede, rimpiccioliti dalla prospettiva. Qualche volta uno di Parenti si stacca dal fondale e va incontro a chi è arrivato, cresce di dimensione man mano che percorre il corridoio e si avvicina. Quando arriva alla porta è in scala 1:1»[1].

La prosa è caratterizzata da periodi tendenzialmente brevi, alternando ritmi spezzati a ritmi più musicali, mostrando dichiaratamente quanto si avvicini spesso ad una poesia in prosa. Bajani, infatti, dopo aver pubblicato reportage e opere narrative, tra il 2017 e il 2020 ha pubblicato due opere in poesie pubblicate da Einaudi (Promemoria e Dimora Naturale). In una presentazione di questo suo ultimo libro, pubblicato da Feltrinelli e candidato sia al Premio Strega che al Premio Campiello, afferma:
«Ad un certo punto della mia vita ero arrivato alla strana convinzione, ma profonda per certi versi dentro di me, che avrei scritto soltanto poesia, che il romanzo, per quanto lo amassi da lettore e da scrittore, in fondo non mi dava lo stesso senso di densità, di necessità, di coincidenza con le cose che mi dava la poesia. La poesia non sperperava, la poesia andava dritto al punto, si prendeva cura delle parole, si prendeva cura delle persone. E in fondo, a scriverla, era la gioia maggiore, una forma di grande o piccola illuminazione sulle cose. E così in qualche modo mi ero promesso che non avrei più scritto un romanzo, che non avrei più scritto qualcosa in prosa, a meno che non fosse arrivato con la stessa imperiosa leggiadria con cui arriva una poesia»[2].
La sensazione di universalità è data dalla scelta dei nomi dei personaggi che, quasi con modalità del teatro Pirandelliano, sono chiamati Io, Moglie, Padre, Madre, Bambino… Ogni casa ha caratteristiche estremamente differenti, dettate dal periodo dell’esistenza di Io e dalla prospettiva che egli assume all’interno di uno spazio. Da giovanissimo, nella Casa del Sottosuolo del 1976, coglie particolari semplici, come i rumori della cucina, tentando di carpire conversazioni dalle porte chiuse dagli adulti. Nella Casa sotto la montagna del 1983 non si recepisce un’atmosfera idilliaca vacanziera ma quasi un senso di silenzio asfissiante; le stesse sensazioni negative si riscontrano in Casa di Parenti del 1985, con tensioni percepibili all’interno di una famiglia che non è un nido ma quasi una prigione. La casa è sicuramente anche indicativa di uno status sociale, come nella Casa signorile di famiglia del 2011, in cui
«La metratura è conforme all’ambizione: 150 metri quadri, bagni doppi, marmo in terra, e dove non è marmo è palchetto come Dio comanda. Per Moglie è un ritorno nella classe di partenza, per Io la realizzazione di un sogno piccolo borghese»[3].
Tuttavia nella geografia della nostra esistenza non esistono solo abitazioni ma anche quartieri, in cui esse sono immerse e specchio di quel contesto:
«Il quartiere non è incline alla filantropia, il che non esclude qualche spiccio di sentimentalismo: fa bene all’umore e cementa lo spirito di classe. […] All’uscita del supermercato, la moneta ricevuta in resto insieme allo scontrino cade spesso nel palmo del terzo mondo seduto contro il muro. Accluso al gesto, l’aggettivo “Caro” o “Cara” aggiunge alla concessione una spruzzata di paternalismo»[4].

Bajani non si ferma a delineare quei luoghi inseriti nel catasto e registrati alle Agenzie delle Entrate. Inserisce anche contesti che temporaneamente sono stati nostre case, come una scuola o un ospedale, e si spinge, utilizzando uno stile che immerge il lettore in una dimensione quasi metafisica, a individuare altri tipi di case: la fede nuziale, la cabina del telefono, l’ascensore oppure la memoria, detta Casa dei ricordi fuoriusciti:
«La Casa dei ricordi fuoriusciti è un ronzio che non si arrende. Anche quando resta appeso, dal granchio scaturisce una tensione, uno slancio elettrico trattenuto, un’intenzione. È un dispositivo concepito per agire, buttarsi a precipizio con le chele spalancate, frugare nella sabbia sottostante, tentare l’artiglio, tornarsene su un ricordo appeso che Io non ricordava. Di notte soprattutto, lavora senza sosta. Non ha luce che la illumini, funzione per ostinazione e per istinto, non c’è blackout che la può fermare»[5].
L’autore, inoltre, dissotterra dalle memorie dei lettori il momento di allontanamento da un’abitazione, quando lo spazio è stato svuotato con fatica e ritinteggiato: riemergono i rumori, gli incontri di cui quei muri sono stati testimoni:
«Solo con questa morte bianca si dà resurrezione, anche se è posticcia. Perché la vita resta vita sempre, è solo vita sottostante»[6].
È un’affermazione che rimembra le stesse sensazioni di universalità e onnipresenza dei luoghi che emergono da questi versi di Magrelli:
«Ho spesso immaginato che gli sguardi
sopravvivano all’atto del vedere
come fossero aste,
tragitti misurati, lance
in una battaglia.
Allora penso che dentro una stanza
appena abbandonata
simili tratti debbano restare
qualche tempo sospesi ed incrociati
nell’equilibrio del loro disegno
intatti e sovrapposti come i legni
dello shangai»[7].