
Benvenutə alla prima tappa di un viaggio tra i secoli, pensato per scoprire i diversi modi di intendere la pratica del restauro in Europa. Avete capito bene: spazzoleremo secoli di storia dell’arte per cercare di capire come ci si approcciava a quelle che noi oggi consideriamo opere d’arte. Pensate che sia sempre esistita la transenna per tenere ə visitatorə a distanza dagli affreschi? Siete convintə che gli interventi sulle statue antiche siano sempre stati affidati a professionistə altamente specializzatə?
Bene, ho un’altra domanda per voi: siete prontə a farvi stupire?
«Che me frega, a me, del restauro?»
Amicə mieə, il restauro ci racconta il ruolo che giocano le opere d’arte in una determinata epoca. Sì, perché è l’espressione pratica del modo in cui si pensa alla conservazione delle opere, cioè al modo in cui “utilizzarle” e tutelarle.
Quindi, per tagliarla fine, scoprire la storia del restauro aiuta a capire meglio un periodo storico. E, chissà, magari ci dice qualcosa anche del presente.
Il restauro, ieri e oggi
In questo racconto della storia del restauro in Europa, partiremo dal mondo Antico, per quello che ci è dato sapere, e arriveremo all’epoca contemporanea. Per chiarire di cosa si sta parlando, è utile tenere presente da subito il significato che oggi diamo al termine restauro, così da apprezzare al meglio il decorso che queste pratica ha avuto nella Storia.
Ad oggi si può definire restauro un intervento diretto su un oggetto riconosciuto come bene culturale, finalizzato a mantenere la sua integrità senza comprometterne la trasmissione dei valori artistici.
Da questo capiamo che:
- l’oggetto da restaurare deve prima di tutto essere riconosciuto come opera di valore artistico;
- l’opera d’arte è riconosciuta come tale perché trasmette determinati valori, senza i quali l’oggetto può perdere il suo status di opera d’arte;
- lə restauratorə deve proprio andare coi piedi di piombo, perché, se ci mette troppo “del suo”, è un attimo che l’opera perde i valori originari e diventa una creazione firmata dallə restauratorə.
Cosa si combinava nell’Antichità
Sia nel mondo greco sia in quello romano gli interventi di restauro non erano sostenuti da una teoria sulla natura dell’opera d’arte, come accade oggi, ma rispondevano direttamente a esigenze funzionali. Come quando si fa un buco nei pantaloni e ci si mette sopra una toppa.
Lə Antichə Romanə, in particolare, non si facevano molti scrupoli nel riutilizzare colonne, capitelli, fregi e altri elementi già esistenti, piegandoli a fini politici. Ad esempio, all’interno dell’Arco di Costantino (315 d.C., Roma, Parco Archeologico del Colosseo) sono stati adoperati dei rilievi dell’età Flavia, cioè il periodo d’oro dell’Impero Romano (69-96 d.C.). Per adattarli al nuovo contesto, la testa dell’imperatore Adriano – che era il protagonista delle scene più antiche – è stata sostituita da quella dell’imperatore Costantino. Alla faccia dei piedi piombo!

Credits: Parco Archeologico del Colosseo
Questo riutilizzo passava un forte messaggio politico. Nel caso specifico dell’Arco di Costantino, per esempio, si voleva mettere sullo stesso piano i due governanti, sottintendendo che l’età costantiniana era il nuovo periodo d’oro dell’Impero.
Il passaggio di significati, tuttavia, era la base del riutilizzo delle opere d’arte nell’Antica Roma e ci dice che a quell’epoca il restauro era concepito in un’ottica squisitamente pratica e che non si ragionava sul valore dell’opera d’arte in sé.
Anche nel Medioevo si riutilizzavano parti di opere più antiche
Ad esempio, sulla Croce di Desiderio (VIII-IX sec. d.C., Brescia, Museo di Santa Giulia) si vedono diverse decorazioni di età romana. Il motivo che spingeva a riutilizzare opere provenienti dall’Impero Romano serviva a legittimare il potere delle dinastie regnanti, in questo i Longobardi.
Per lungo tempo, dunque, reimpiegare significava anche restaurare: si interveniva sull’opera col fine di adattarla a un nuovo contesto.
Per quanto riguarda le immagini sacre, si potrebbe pensare che, quando si trattava di opere destinate al culto, mancasse il coraggio di intervenire, per via di un certo pregiudizio sulla superstizione dominante nel Medioevo.
In realtà, alla faccia della superstizione, vi posso assicurare che non solo si effettuavano numerosi interventi sulle opere sacre, ma che questi interventi erano anche alquanto estesi.

In primo luogo, non si esitava a operare per riparare dei danni fisici. Per dire, sulla Croce di Sarzana (1138, Sarzana, Duomo di S.M. Assunta) un artista successivo al primo artefice dell’opera ha ridipinto una parte consistente della superficie, per mascherare una serie di danneggiamenti che l’avevano rovinata.
Inoltre, era frequente intervenire sulle immagini sacre per “correggerne” l’iconografia. Famoso è il caso della tavola con San Luca del Maestro della Maddalena (1275-90, Firenze, Galleria degli Uffizi), in cui la figura dell’Evangelista fu modificata agli inizi del Trecento e, in pratica, sostituita da quella di un San Francesco. Qui si possono vedere le immagini del prima-e-dopo.
Un’opera, quindi, aveva senso nel momento in cui manteneva la propria funzionalità (in questo caso, comunicare con le persone che la guardavano). Di conseguenza, ci si faceva molti meno scrupoli di adesso ad intervenire per ripararla.

In conclusione
Già da questi primi esempi di operazioni di restauro nell’età Romana e medioevale, si comeprende una dura verità: le opere d’arte che vediamo oggi sono frutto di ridipinture e rimaneggiamenti, spesso non di molto successivi alla creazione dell’opera stessa. Eppure questo non ci impedisce di considerarli oggetti di grande valore, vero? Qualcosa su cui riflettere.
Infine, vi butto lì una cosa: lə autorə dei restauri fin qui citati sono artistə, non restauratorə. Esatto, per restaurare/ritoccare/riparare un’opera d’arte si chiedeva allə artistə! Volete sapere quando si comincia ad affidare gli interventi di restauro a operatorə specializzatə? Lo scopriremo nelle prossime puntate!