L’Ultimo Paradiso: la battaglia per l’Alaska

Due mesi fa Trump apriva al leasing i territori dell’Arctic National Wildlife Refuge; ciò si traduce nella possibilità di trivellare per il petrolio in una delle ultime oasi incontaminate della Terra.

Viviamo su un pianeta le cui risorse vanno esaurendosi giorno dopo giorno; con esse, interi ecosistemi rischiano di scomparire, lasciando piccole e grandi comunità in condizione di grave crisi. Tuttavia, i diretti interessati – chi scrive, chi legge e le future generazionisembrano non rendersi pienamente conto dell’entità delle catastrofi ambientali, di cui siamo allo stesso tempo vittime e responsabili.

Quali sono le vere cause dei disastri naturali? Perché esistono leggi e protocolli volti alla salvaguardia dell’ambiente eppure ad oggi, nel 2020, essi non vengono applicati?

Miniere, dighe, raffinerie, stabilimenti industriali, allevamenti intensivi, impianti adibiti allo smaltimento di scorie: l’elenco delle principali fonti dell’inquinamento mondiale è ben noto a tutti. Ciò che è meno noto al grande pubblico è l’insieme dei complessi meccanismi che regolano questo business; il punto di partenza per una buona analisi può essere il caso degli Stati Uniti d’America e delle politiche di privatizzazione dei territori federali.

FLORIAN SCHULZ/National Geographic

Tra le ultime, vaste roccaforti naturali al riparo dall’intervento umano, c’è l’Arctic National Wildlife Refuge (ANWR) in Alaska, USA. Confinante a est con la regione dello Yukon (Canada) e a nord con l’Oceano Artico, L’ANWR comprende quasi 80.000 km2 di lande vergini che si estendono dall’entroterra fino alla costa; la tundra si alterna a panorami litoranei mozzafiato, conferendo a queste terre il titolo di “Serengeti d’America”. L’ampia varietà di habitat offre dimora a foche, balene, orsi polari, lupi e mandrie di caribù.

Dal 1977, l’ANWR è oggetto di intensi dibattiti politici e, a partire da agosto 2020, è al centro di una vera e propria tempesta mediatica. Il governo Trump, infatti, ha ufficialmente aperto i territori del Nord alla trivellazione per l’estrazione di petrolio (oil drilling); si tratta di una decisione che viene rinviata da almeno quarant’anni e che rappresenta una conquista per il partito repubblicano. Per capire chi sono i protagonisti della vicenda e qual è la posta in gioco, occorre fare un passo indietro nella storia del Paese.

L’Alaska è lo stato americano più grande per estensione, pur essendo tra i meno popolosi al mondo; al momento del suo ingresso negli USA come Stato, nel 1959, quasi il 20% della popolazione era nativa del posto. In particolare, la regione dell’ANWR è patria delle tribù dei Gwichin e degli Inupiat (comunemente conosciuti come ‘Eskimesi’).

Dalla fine degli anni Sessanta, quando vennero scoperti i giacimenti di gas naturale e di petrolio, le popolazioni indigene non hanno avuto pace; la costruzione di infrastrutture utilizzate per l’estrazione comporta tragiche conseguenze per gli animali, che costituiscono la fonte primaria di sussistenza per popoli come i Gwichin. I caribù abbandonano gradualmente i suoli inquinati, in cerca di terre dove poter pascolare e riprodursi durante la bella stagione. Cambiando le rotte di migrazione, i caribù costringono intere comunità indigene a spostarsi a loro volta, così da poter continuare a cacciarli e vivere della loro carne e delle loro pelli, come da millenaria tradizione.

Con l’arrivo dell’industria sul territorio, non solo vengono occupate e smantellate intere aree, ma le stesse rischiano di essere danneggiate per l’eternità. Infatti, maggiore è il numero di infrastrutture (oleodotti, cisterne, navi, ecc.), più la loro manutenzione è complicata e la probabilità di incidenti aumenta.

Mappa dell’ANWR, con indicazione dei siti di estrazione e dell’area contesa per la trivellazione dal 1977 (in rosso), www.ourarcticrefuge.org

L’ANWR è stato dichiarato National Refuge nel 1960, eppure l’amministrazione di un’area costiera al suo interno, denominata “1002 Area”, costituisce da sempre un punto interrogativo: i governi che si sono succeduti negli anni, democratici e repubblicani, non sono mai riusciti a prendere una decisione definitiva, perché alla conservazione dell’ecosistema e dei suoi abitanti si contrappongono i fecondi giacimenti di petrolio sottostanti.

Ecco che si pone il dilemma: trivellare o salvaguardare i Gwichin? Trump ha deciso di trivellare: il 17 agosto scorso ha dichiarato che l’area è aperta al leasing. Le compagnie petrolifere potranno accedere ai giacimenti, previo pagamento del contratto di locazione per un appezzamento di terreno.

Ma a chi spetta il controllo delle riserve naturali statunitensi? Il sistema è molto complesso.

Il sistema è molto complesso. Semplificando i concetti, il governo federale possiede dei territori, detti Public Lands che, di fatto, corrispondono all’incirca a quelle porzioni di terra che nessun colone era inizialmente interessato ad acquistare. Il governo può creare dei parchi o riserve naturali all’interno delle Public Lands, oppure può cederle ai singoli Stati, i quali decidono di farne ciò che preferiscono, compreso venderle a loro volta ai privati. I compratori sono i big dell’industria petrolifera (in Alaska; mineraria in stati come Utah e Colorado), il cui profitto derivante dalle zone trivellate sarà enormemente maggiore rispetto alle cifre spese nell’acquisto.

Questo meccanismo viene chiamato ‘privatizzazione delle terre federali’ ed è stato fortemente criticato, tra gli altri, dagli ambientalisti di Patagonia nel nuovo documentario prodotto da Robert Redford, “Public Trust” (26 settembre 2020).

È importante ricordare che, nel caso in cui il governo dovesse dichiarare una parte di Public Land riserva naturale (o riserva tribale), qualsiasi operazione di sfruttamento del suolo diventerebbe illegale. Durante il governo Obama, il presidente aveva proposto di aggiungere altri 30.000 km2 all’ANWR e di promuoverlo a wilderness (riserva), così da proteggerlo dalle speculazioni; il suo suggerimento venne bocciato.

Locandina del film documentario “Public Trust”, diretto da David Byars, www.patagonia.com

L’estrazione del petrolio nell’‘area 1002 rimane tutt’ora una questione che ‘scotta’: i vantaggi economici immediati andrebbero in gran parte alle compagnie petrolifere, in una piccola parte ai cittadini e solo temporaneamente ma, a lungo termine, l’impatto ambientale peggiorerebbe la vita di tutti, dalle comunità indigene a quelle urbane. 

C’è ancora speranza? In che modo possiamo aiutare?

A bloccare i finanziamenti per la trivellazione nell’Artico si stanno aggiungendo sempre più banche. A settembre ha avuto ufficialmente inizio la battaglia legale contro il governo federale (Dipartimento dell’Interno), condotta dall’avvocato Bob Ferguson, i cui esiti potrebbero porre un blocco, anche temporaneo, alla vendita dei leases avviata dal governo Trump.

Nel proprio piccolo, ognuno di noi può fare qualcosa: il primo passo è documentarsi, supportando i canali d’informazione del popolo dei Gwichin, come il sito web dello Steering Committee (www.ourarcticrefuge.org) e il loro profilo Instagram @ourarcticrefuge. Diffondere la voce è fondamentale affinché le autorità di competenza riconoscano ufficialmente l’attacco aperto ai diritti umani che la comunità globale sta subendo e agiscano di conseguenza, nel minor tempo possibile.

Immgine di copertina: Gary Braasch/National Wildlife Federation

condividi: