Oltre il muro, orfani della frontiera

El Paso, Texas – Stati Uniti d’America

Latitudine: 31° 45’ 31’’ Nord

La città di El Paso sorge sulla sponda orientale del Rio Grande: il letto scavato dal fiume, ormai ridotto a una silenziosa lingua d’acqua stagnante, segna il confine tra Stati Uniti e Messico. Sul lato occidentale, Ciudad Juárez: le due città si specchiano l’una nell’altra, sulla carta non le separa che una linea sottile. Nella realtà, a dividerle c’è una frontiera sempre più impenetrabile, che corre da un oceano all’altro, attraverso il deserto, accompagnando il corso del Rio Grande fino a gettarsi nel Golfo del Messico.

Alcune settimane fa, prima che si giocassero gli ultimi round di un’infuocata battaglia elettorale, quella sottile linea è tornata al centro del dibattito tra i concorrenti alla Casa Bianca. I media americani hanno portato alla luce un rapporto depositato presso il tribunale federale dall’American Civil Liberties Union (ACLU). L’organizzazione, impegnata nella difesa dei diritti umani, ha dichiarato di non essere stata finora in grado di localizzare i genitori di 545 bambini centroamericani, separati dalle proprie famiglie alla frontiera messicana tra il 2017 e il 2018.

Nel mese di aprile 2018, Donald Trump lanciava la sua politica di «tolleranza zero» per disincentivare l’immigrazione dall’America Centrale: ogni adulto sorpreso a varcare illegalmente il confine sarebbe stato arrestato, incriminato e trattenuto in custodia fino al processo. Nessuna eccezione per chi si trovava in viaggio con i propri figli: i bambini sarebbero stati riclassificati come «non accompagnati» e affidati alle autorità competenti. Negli Stati Uniti, la legge prevede che le unità di Custums and Border Protection (CBP) procedano all’identificazione e all’eventuale separazione di un minore dall’adulto che lo accompagna, nel caso in cui quest’ultimo sia considerato pericoloso, non imparentato con il minore o perseguibile penalmente.

Illustrazione di Paolo Zangrandi

Con la sistematica incriminazione per reati penali di ogni adulto entrato illegalmente nel Paese, la «tolleranza zero» del tycoon apriva quindi la strada alla separazione di migliaia di nuclei familiari. Le dirette conseguenze dei dettami presidenziali finirono presto sugli schermi dell’intero pianeta, lo sdegno correva sull’onda di una fotografia che ricordiamo in tanti: il ritratto di una bambina honduregna in lacrime, in piedi di fronte al poliziotto americano che perquisiva la madre. Secondo i dati riportati dalla ACLU, in sole sei settimane, quasi duemila bambini furono separati dai propri genitori. Dopo poco più di due mesi, il presidente emanò un ordine esecutivo per placare l’ondata di critiche che piovevano su di lui da ogni angolo del Paese. Alla fine di giugno 2018, un tribunale distrettuale della California impose al governo federale di predisporre al più presto il ricongiungimento dei bambini con i propri genitori. Entro un mese, tutti i minori separati dalle autorità di frontiera avrebbero dovuto fare ritorno alle rispettive famiglie. Quei 2.800 bambini, tuttavia, non erano i primi orfani della frontiera messicana.

Nel luglio 2017, l’amministrazione Trump aveva infatti lanciato un programma pilota proprio nel settore di frontiera di El Paso. Nessun annuncio ufficiale, nessuna comunicazione tra gli uffici della CBP e le altre autorità competenti. Il programma si basava sullo stesso meccanismo descritto sopra: nel mese di agosto 2017, il numero di minori presi in custodia dall’Ufficio per il Ricollocamento dei Rifugiati (ORR) toccò un aumento del 1.200% rispetto al novembre 2016. Nella settimana del 10 agosto, delle dieci separazioni registrate dall’ORR, nove erano state effettuate nel settore di El Paso. Secondo un recente rapporto della Camera dei rappresentanti, in soli quattro mesi, le autorità di frontiera separarono 281 famiglie. Nel novembre 2017, la conclusione del programma pilota venne accolta come un successo: nel settore di El Paso si registrava un calo del 64% negli arresti per immigrazione clandestina rispetto a ottobre 2016. Come dimostrato dal rapporto citato sopra, le autorità coinvolte erano tuttavia consapevoli delle falle nel sistema di registrazione, che avrebbero di fatto pregiudicato i futuri tentativi di tracciamento e ricongiungimento delle famiglie. Nonostante ciò, l’amministrazione ritenne di poter estendere il programma a livello nazionale. Ancor prima del lancio ufficiale della politica di «tolleranza zero», tra dicembre 2017 e aprile 2018, le autorità della frontiera meridionale separarono altre centinaia di bambini, il 26% dei quali di età inferiore ai cinque anni.

Una donna regge un cartello che recita “Le famiglie devono restare insieme” durante una manifestazione a Chicago, Giugno 2018. Credits: Wang Ping / Xinhua via Getty Images

Quando arrivò la sentenza di giugno 2018, gran parte di questi minori erano già stati rilasciati dalle strutture dal dipartimento di salute e servizi alla persona (HHS), consegnati alle cure di parenti residenti negli Stati Uniti o a famiglie affidatarie. Molti dei genitori, deportati nel loro Paese d’origine: Guatemala, Honduras, El Salvador. Dopo più di due anni, allo scadere del mandato presidenziale, i legali della ACLU hanno dichiarato di non aver ancora rintracciato le famiglie di 545 bambini. Orfani della frontiera messicana. Il loro futuro ha fatto capolino nel secondo – e ultimo – dibattito tra i candidati alla presidenza, scatenando le prevedibili recriminazioni del candidato uscente sulle colpe dell’amministrazione precedente. Prevedibili e non del tutto infondate. Se, da un lato, Obama non diede il via libera a una sistematica separazione delle famiglie alla frontiera messicana, d’altro lato, la sua amministrazione non può certo dirsi senza colpe. A titolo d’esempio, nel solo 2013, più di 72.000 genitori con uno o più figli nati negli Stati Uniti venivano arrestati e deportati. Incalzato sul tema dell’immigrazione, lo stesso Biden è stato costretto a fare marcia indietro sulle politiche attuate a fianco di Obama, «it was a big mistake» ha dichiarato l’ex vicepresidente lo scorso febbraio.

Solo pochi giorni prima delle elezioni, un nuovo articolo del New York Times ha rivelato che negli ultimi mesi le autorità di frontiera hanno deportato in Messico minori non accompagnati provenienti da altri paesi, nella più totale indifferenza verso i loro diritti e in aperta violazione degli accordi presi con Città del Messico. L’amministrazione ha infatti approfittato della crisi sanitaria per sospendere le procedure d’asilo e accelerare la deportazione di adulti e minori, spesso senza dar loro modo di avvisare le famiglie.

A patto che il risultato delle elezioni americane non venga ribaltato da rocambolesche battaglie legali, sarà Joe Biden a raccogliere l’eredità della «tolleranza zero» di Donald Trump e delle controverse politiche dello stesso Barack Obama. Sulla gestione dell’immigrazione al confine meridionale si misureranno le promesse moltiplicatesi durante la campagna elettorale. Gli spot destinati alla comunità latino-americana si tradurranno in un radicale cambio di rotta o resteranno lettera morta? L’ex vicepresidente dell’amministrazione Obama avrà il coraggio di abbattere il muro eretto lungo la frontiera messicana? Un muro fatto non solo di metallo e filo spinato, ma da provvedimenti promossi e approvati da governi di entrambi gli schieramenti. Gli sguaiati tweet di Trump non hanno fatto che portare alla luce un sistema già profondamente ingiusto, indifferente anche ai diritti fondamentali delle categorie più vulnerabili e reso ancor più criminale dalle iniziative del tycoon. Il cambio di amministrazione non deve farci abbassare la guardia, ma renderci ancora più vigilanti. Come dimostrato anche in terra nostrana, l’assenza di una sbandierata noncuranza per i diritti umani non implica di certo un impegno concreto in loro difesa. Nell’America tinta di blu, che ne sarà degli orfani della frontiera?

Immagine di copertina: Atlante Mondiale De Agostini (Novara: 1974). Foto di Ester Zangrandi.

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