“Potere ai lavoratori!” Si può?

 “Nelle società con più di 2,000 dipendenti, metà consiglio di amministrazione è eletto dai lavoratori”. Che paese è? Suggerimento: non ve lo aspettate.

Vi ricordate i movimenti di protesta scoppiati sulla scia della crisi economica del 2008-2009? Gli Indignados in Spagna, Occupy Wall Street negli Stati Uniti, le proteste globali del 15 ottobre 2011: più o meno lentamente, tutti questi movimenti hanno perso forza, senza riuscire a cambiare veramente il modo in cui la nostra economia funziona. Ma cosa sarebbe potuto succedere se questi movimenti avessero avuto più successo? Nel suo libro “Un altro oggi: Lettere da un presente alternativo”, l’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis prova a immaginarlo. Ed è proprio tramite questa storia che presenta ai suoi lettori un’alternativa al sistema economico in cui viviamo.

L’idea di Varoufakis è sorprendente, ma allo stesso tempo relativamente semplice – tanto semplice che si può riassumere in una frase: dare più potere ai lavoratori. Nel sistema economico proposto dall’autore – da lui chiamato “sindacalismo aziendale” – ogni lavoratore è allo stesso tempo azionista dell’azienda per cui lavora, avendo quindi voce in capitolo sulle decisioni che l’azienda prende. Niente più mercato del lavoro, quindi, e niente più distinzione tra proprietari e lavoratori: ogni lavoratore è proprietario.

“Un altro oggi: Lettere da un presente alternativo” di Yanis Varoufakis. Credits: Penguin Books

Avete presente lo stereotipo dello scontro tra il proprietario che cerca di abbassare gli stipendi per massimizzare il guadagno e il dipendente che chiede l’aumento fregandosene del profitto dell’azienda? Nel sindacalismo aziendale questo scontro non avrebbe senso di esistere, perché i lavoratori, in quanto anche proprietari, avrebbero tutto l’interesse a gestire l’azienda nel miglior modo possibile. Inoltre, il potere economico si trasferirebbe dalle mani di pochi a quelle di molti, rendendo così più democratico l’intero sistema.

L’idea di Varoufakis vi pare bella ma troppo surreale per essere praticabile? In effetti, un po’ surreale, lo è. Ma se ci guardiamo intorno, nello sconfinato mondo, ci potremmo accorgere che quest’idea è meno strampalata di quello che sembra. Per esempio, c’è un paese dove nelle società con più di 2,000 dipendenti metà del consiglio di amministrazione deve essere eletto dai lavoratori. È qualche paese socialista in America Latina – magari Cuba, o il Venezuela? No. Forse uno stato comunista in Asia – la Cina, o la Corea del Nord? Nemmeno. Reggetevi forte: il paese in questione è la Germania.

La Germania non è l’unico paese in Europa che prevede la “codeterminazione”, ossia la presenza obbligatoria di rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di amministrazione di grandi aziende. La legge tedesca, però, è decisamente più spinta rispetto a quella di altri paesi europei. In Germania, la percentuale minima di rappresentanti dei lavoratori nel CdA è di 33% per le aziende sopra i 500 dipendenti e del 50% per quelle sopra i 2,000 – percentuali generalmente più alte rispetto a quelle stabilite in altri paesi. Inoltre, mentre svariati paesi hanno regole meno stringenti per le aziende private, la codeterminazione in Germania si applica allo stesso modo nel privato e nel pubblico, avendo così un’influenza ancora più forte sul sistema economico.

La codeterminazione in Germania. Credits: Lawyer - Wiki Blogspot

Tanto per aggiungere alla sorpresa, c’è di più: la codeterminazione in Germania non sembra essere una bandiera della sinistra. Sicuro, i socialdemocratici tedeschi si sono battuti per il passaggio del Mitbestimmungsgesetz del 1976, la “legge di codeterminazione” su cui si basa la legge di oggi. Bisogna però notare che la prima legge varata a riguardo nel dopoguerra, seppur di portata limitata, risale al 1951, quando la Germania Ovest era governata dal centro-destra. E ancora oggi, i sostenitori della codeterminazione non mancano nella CDU, il principale partito di centro-destra tedesco. Io stesso ho scoperto il principio di codeterminazione tramite un amico tedesco, membro attivo della CDU, che mi ha espresso apertamente il suo supporto per la codeterminazione – e anche un po’ di invidia per il fatto che la legge del 1976 sia stata spinta dai socialdemocratici, e non dai suoi compagni di partito. Se, come me, pensavate che la codeterminazione fosse roba da vecchi comunisti arrugginiti, sembra che ci siamo sbagliati di grosso.

Certamente, il principio di codeterminazione – e più in generale l’idea di conferire potere decisionale ai lavoratori – non è immune da critiche. La più frequente riguarda il rischio che la co-gestione dell’azienda diventi una congestione: rallentamento dei processi di decisione e adozione di compromessi al ribasso, con conseguente perdita di efficienza e flessibilità, soprattutto in termini di pianificazione e innovazione. A prima vista, l’ottima prestazione economica di molte grandi aziende tedesche non sembra dar credito queste critiche, ma –  come spesso accade in questi casi – le opinioni degli esperti sono divergenti. Inoltre, il sindacalismo aziendale di Varoufakis rischia di attrarre ulteriori critiche. Visto che il libro è appena stato pubblicato, queste critiche devono ancora arrivare, e, quando arriveranno, meriteranno riflessioni approfondite.

Aldilà di ogni possibile critica, però, l’esperienza tedesca ci suggerisce che l’idea di Varoufakis, per quanto originale, è meno strampalata ed estrema di quanto non sembri a prima vista. Scartarla immediatamente, bollandola come un’utopia, potrebbe non essere una buona idea. Piuttosto, meglio discuterla in maniera approfondita, analizzandone vantaggi e svantaggi. Si sa mai che ne esca qualcosa di buono.

Immagine di copertina: “Il potere della gente è più forte della gente al potere”. Credits: Flickr

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