Quale festa dei lavoratori?

Il primo maggio è un buon momento per riflettere sul lavoro oggi: dal precariato al PNRR.

Da luglio 1889, il primo maggio si celebra la Festa Internazionale dei Lavoratori. La data fu fissata durante la Seconda Internazionale per commemorare gli avvenimenti di Chicago di tre anni prima. Proprio il primo maggio, infatti, gli operai americani scesero in piazza per chiedere l’introduzione della giornata lavorativa di 8 ore, in un’epoca in cui le condizioni di lavoro nelle fabbriche erano proibitive ed i turni arrivavano a durare fino a 14 ore. La protesta, iniziata pacificamente, venne ben presto duramente attaccata dalla polizia, gli scontri che seguirono portarono a numerosi morti e feriti, in una spirale di repressione che culminò nella condanna a morte dei principali agitatori degli scioperi, i cosiddetti martiri di Chicago.

Il primo maggio è una giornata che dovrebbe essere di ricordo di lotte nel e per il lavoro, una giornata in cui mettere al centro i lavoratori con i loro problemi e le loro conquiste, in cui raccontare le troppe morti bianche e pensare a come evitarle. In un anno intaccato a più livelli dalla pandemia, il mondo del lavoro ha subito e continua a subire tagli e ridimensionamenti pesantissimi, sia in termini di posti di lavoro che di ore lavorate e dunque di salari. L’Istat a febbraio 2021 ha registrato in Italia quasi un milione di occupati in meno rispetto all’anno precedente, con un tasso di disoccupazione al 10,2%, che raggiunge un traumatico 31% guardando solo alla disoccupazione giovanile (https://www.istat.it/it/archivio/256254). Se si pensa che questi numeri sono attenuati dal blocco dei licenziamenti imposto dal governo, che pare verrà rimosso in estate, si capisce come per un numero enorme di persone la situazione, già gravissima, abbia tutti gli ingredienti per diventare a breve drammatica.

Corteo per il primo maggio 2021 a Torino.
Credits Ansa.

Sono dati pesanti per una repubblica come quella italiana che si fonda, o dovrebbe fondarsi, fin dall’articolo 1 della propria Costituzione, proprio sul lavoro. Il mercato del lavoro è sottoposto da anni a profondissimi cambiamenti, sia nelle tipologie di lavori richiesti ed offerti, sia nelle modalità in cui i rapporti di lavoro vengono portati avanti tra datori e dipendenti. Non scopriamo certo oggi i problemi derivanti dalla progressiva eliminazione delle regole sul lavoro, figli di un liberismo sfrenato che nonostante gli evidenti danni sul tessuto sociale ed economico del paese continua a fare proseliti a destra ed a sinistra. Curiosamente, nonostante la situazione, di lavoro in Italia si parla poco e non si discute praticamente mai di riprogettare un sistema che è in così evidente difficoltà.

A questo proposito è interessante notare che quest’anno il primo maggio è coinciso con la presentazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), il pacchetto di riforme ed interventi, finanziati con fondi europei, destinati a favorire la ripartenza delle attività economiche flagellate dagli effetti secondari della pandemia. La concomitanza delle due date non ha tuttavia portato ad un ripensamento né del lavoro né del ruolo e dei diritti dei lavoratori. In realtà, nel Piano, di lavoratori e lavoro si parla poco o nulla. Gran parte del documento è infatti dedicata a ribadire l’importanza della concorrenza e delle imprese, alle quali viene attribuito un valore intrinseco  quando dovrebbero invece valere in base  al benessere generale che portano alla società e non solo ai loro azionisti.

I lavoratori e il miglioramento delle loro condizioni sono invece trascurati. Vi sono pochi accenni alla Cassa Integrazione ed al salario minimo legale, relegati ad essere discussi ed eventualmente introdotti in futuri piani di riforma. Questo nonostante l’Italia sia uno dei pochi stati europei a non essere dotato di un salario minimo, la cui introduzione è peraltro richiesta dalle istituzioni europee. Insomma, le vecchie forme di garanzia per i lavoratori, a partire dallo Statuto del 1970, sono state via via limitate e smantellate da riforme bipartisan, ma nuove garanzie non sono all’orizzonte. Come esempio estremo ma paradigmatico della precarizzazione del lavoro e della totale mancanza di tutele basti pensare alle vicende dei riders, che sembrano vedere solo recentemente e dopo lunghi contenziosi il riconoscimento di alcuni loro diritti fondamentali in quanto lavoratori (https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/04/02/riders-ecco-perche-laccordo-con-just-eat-e-solo-il-primo-passo-nel-riconoscimento-dei-diritti/6153556/).

Credits Banksy.

Il primo maggio appena trascorso in Italia è stato dunque lo specchio della situazione del paese. I lavoratori non sono stati il tema centrale della giornata, almeno nei media e nelle dichiarazioni mainstream, se non per essere velocemente liquidati come soggetti colpiti dalla pandemia, come se i problemi del mondo del lavoro non avessero radici ben più lontane. Eppure, di fatto, lockdown e misure di contenimento del contagio hanno solo contribuito a rendere più gravi ed evidenti problematiche da tempo esistenti.

La Festa dei Lavoratori, come i lavoratori stessi, merita di più. Meriterebbero per lo meno che si tornasse a parlare di diritti, di aiuti sociali, di reddito e di contratti, di sicurezza sui luoghi di lavoro. Specie in una “Repubblica fondata sul lavoro”, in cui le contraddizioni e le storture derivanti dalle continue liberalizzazioni in nome dell’efficienza del libero mercato si intrecciano strettamente le une con le altre, generando la situazione critica di cui si è solo sfiorata la superficie in questo articolo. Finora le occasioni di ripensamento, o per lo meno di riflessione, su lavoro e lavoratori sono state regolarmente buttate al vento e sembra che il nuovo piano di riforme non faccia eccezione. Insomma, la lezione del primo maggio più che dal presente sembra venire dal passato: senza un qualche tipo di organizzazione e determinazione da parte dei (non) lavoratori i diritti non sono garantiti neppure dove parevano un fatto acquisito.

 
Questo articolo è dedicato a Luana D’Orazio, operaia di 22 anni morta in fabbrica il 4 maggio 2021.
Di lavoro si deve vivere, non morire.
Immagine copertina: credits Orsola Sartori

condividi: