
«Spatriètə: è il participio passato del verbo spatriare, che sta per andar via, o come dice la Treccani, cacciare dalla patria. In alcuni dialetti meridionali, tra cui il martinese, ha altre sfumature, come incerto, disorientato, ramingo, stordito, senza arte né parte, in alcuni casi persino orfano: patria deriva dal latino e significa terra dei padri, dunque lo spatriato può anche essere chi è rimasto senza padre, o chi non l’ha mai avuto»[1].
Q
Quanti si sono sentiti spatriatə? Per motivi sociali, culturali, di genere, sessuali, religiosi? In un ventunesimo secolo che si vanta di essere globalizzato e interconnesso, sembra che essere etichettati e dunque ingabbiati sia diventata una prassi ma anche una necessità, una “tana” in cui sentirsi sicuri e riconosciuti. La ricerca di sè è divenuta accettabile solo se socialmente riconosciuta (l’avverbio allude alla dimensione personale ma anche virtuale).
La penna di Desiati traccia il processo di ricerca della propria identità di Claudia e Francesco, i due protagonisti di Spatriati, pubblicato da Einaudi nell’aprile di quest’anno. Due percorsi differenti ma sempre interconnessi, sebbene Claudia cerchi di attenuare il filo che li lega. Percorsi che cercano di individuare dapprima un proprio spazio fisico. Il punto di partenza è il contesto pugliese, delineato magistralmente da Desiati, nelle cui vene scorrono i geni di questa terra (è nato a Martina Franca, luogo d’origine dei due protagonisti) e nei cui occhi rimangono impressi sempre i paesaggi della valle d’Itria, sebbene lo stesso autore si senta uno spatriato (vive tra la Puglia, Roma e Berlino).
«Attraversammo la piana lunare dell’Orimini, una distesa di roverelle basse tra enormi massi bianchi, pietrame piatto interrotto da radi cespugli di mirto selvatico. Frantumi di masserie abbandonate e un bosco di fragni giganti dove avrebbero ballato per giorni gruppi di scoppiati arrivati da tutta la regione. Il cielo aveva striature color ruggine, il Siderurgico si faceva sentire col suo odore di uova marce»[2].

Dunque quello stesso paesaggio pugliese, la cui apertura è testimoniata dallo Ionio, dall’Adriatico, dagli uliveti i cui muretti a secco sono così bassi da indurre ad essere valicati, è abitato da individui che condividono quella tendenza, come già detto fin troppo condivisa, ad etichettare, ingabbiare. Ed è quindi per questo che Claudia decide di andarsene, dapprima a Milano e poi a Berlino.
L’essere spatriati significa essere anche in continua tensione con sé stessi e con la famiglia che ha generato, caratterizzata spesso da contraddizioni e segreti taciuti per anni ma sottilmente visibili. Ed è inoltre una condizione che coinvolge la sfera sessuale, emotiva, spirituale.

Desiati è una voce che irrompe nella vita di un lettore, con contenuti affilati, uno stile che induce ad una lettura vorace, un lessico preciso e tangibile. Dunque una penna che non avrebbe bisogno di utilizzare riferimenti letterari o musicali per delineare personaggi o luoghi. Seppur questa scelta sembrerebbe indebolire il romanzo, questa tendenza dell’autore non sembra dettata da una volontà egocentrica di dimostrare la propria erudizione, ma piuttosto incentivare il lettore a comprendere il microcosmo di Claudia e Francesco. Tutti questi riferimenti sono esplicitati dall’autore al termine del romanzo, con il titolo Note dello scrittore o stanza degli spiriti. Lui stesso commenta così questa direzione: «Ho fatto questa scelta per puro piacere personale: quando io leggo i libri, sono spesso curioso degli spiriti di quei libri. […] Noi (scrittori) evochiamo questi spiriti in molti modi: […] attraverso i libri che abbiamo letto, i film che abbiamo visto, le esperienze che abbiamo fatto…tanta poesia»[3].
Da questa lettura si evince che ogni individuo, in fondo, è spatriato in qualche anfratto della propria persona: negli affetti, nei luoghi, nei sentimenti…. Chi non è spatriato è colui che è sicuro di ogni spazio, personale e collettivo, intimo e condiviso. Questi tempi hanno dimostrato quanto la certezza vacilli e quanto si è vulnerabili. Desiati, dunque, accende una luce sulla nostra persona: il lettore vedrà cadere delle incertezze ma comprendere quanto esse siano condivise da un numero elevato di individui. Ed è questo il compito della letteratura: toglierci delle certezze, per costruirne di nuove, in un mondo che apparentemente sembra vacillare ma che appunto ha bisogno della letteratura per sorreggere l’uomo.