Sulla stessa barca?

Di cosa parlano le piazze della seconda ondata.

Le manifestazioni italiane di fine ottobre smascherano la fallacia della retorica che recita: “siamo tutti sulla stessa barca”, di recente utilizzata per ricordare la necessità di coesione e spirito di sacrificio della comunità nei momenti difficili. Numerosi rapporti – tra cui quelli della banca svizzera UBS e dell’Institute for Policy Studies – evidenziano come la situazione sia ben diversa. 

Dall’inizio della pandemia, mentre i patrimoni dei miliardari sono aumentati di circa il 28%, negli Stati Uniti, 50 milioni di persone perdevano il lavoro. La crisi ha avuto, sul piano strettamente economico, effetti profondamente diversi all’interno dei vari settori della società. Tuttavia, al contrario dei sacrifici, i benefici non vengono diffusi alla società nel suo complesso, dimostrando che, se la barca è la stessa, al suo interno, le varie “classi” sono decisamente divise.

Le piazze italiane parlano in primo luogo del fallimento dei sistemi di (re)distribuzione economica all’interno della società. La variegata composizione sociale delle manifestazioni si spiega soprattutto perché a guadagnare sono i pochissimi che già prima erano estremamente ricchi. La punta della piramide sociale è sempre più lontana dalla base, di cui ora fa parte anche la classe media. L’Italia è, non a caso, uno dei paesi con il più alto tasso di diseguaglianza socio-economica dell’UE. Ad essere colpiti non sono solo i commercianti, ma anche gli operatori di teatri e palestre e i lavoratori più o meno precari di ogni settore. Li accomuna l’appartenenza a coloro che vedono decrescere il proprio tenore di vita e non vedono arrivare aiuti dallo Stato, che, al contrario, sembra condannarli all’inattività e al fallimento.

Il secondo fallimento di cui parlano le piazze è la scarsa efficacia dei dispositivi accordati per combattere questa crisi. Il welfare state classico è già stato danneggiato da anni di privatizzazioni e di tagli dei fondi. Limitatamente al settore sanitario, la Fondazione Gimbe calcola che oggi si spendano circa 37 miliardi di euro l’anno in meno rispetto al 2010 per il ssn (https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf#page=13). Gli aiuti emergenziali sono stati pochi e selettivi: la cassa integrazione si consegue con grandi ritardi e il Reddito di Cittadinanza non ha un raggio d’azione sufficientemente ampio.

Presidio a Brescia del 30 ottobre 2020. Foto di Anna Fada

Il tema centrale rimane quello delle diseguaglianze. Chi si sta arricchendo durante questa crisi mondiale non si cura delle condizioni degli ospedali pubblici o del funzionamento degli aiuti per disoccupati e per lavoratori indigenti. Le piazze certificano il disagio provocato da queste situazioni di ingiustizia, disagio che, talvolta, si esprime con rabbia mischiata a discutibili slogan contro la “dittatura sanitaria”. 

Negare il virus naturalmente non è una buona risposta. E’ legittimo pretendere un bilanciamento fra diritto alla salute e la sopravvivenza individuale ed economica a fronte della necessità di fermarsi per ragioni di salute pubblica. Bilanciamento difficilmente individuabile considerato sia il ritiro dello stato dal welfare sia la necessità di rallentare la produttività economica.

Siamo di fronte al classico cane che si morde la coda: non si può tenere aperto ma in qualche modo bisogna sopravvivere. Il vaccino sanitario e il “vaccino economico” dei fondi europei non sono in grado di fornire soluzioni reali perché non raggiungono la radice del problema. Senza una risposta concreta, la prossima crisi, sia essa finanziaria, sanitaria o ambientale, colpirebbe, di nuovo, gli stessi settori. 

Una proposta che potrebbe attenuare la distanza tra il diritto alla salute e quello alla sopravvivenza è quella di una riforma fiscale che ponga al centro una tassazione fortemente progressiva che includa al suo interno un’imposta patrimoniale. In parole povere: all’aumentare del reddito aumenterebbero le tasse da pagare. Dall’altra, la proposta della patrimoniale prevede il prelievo di una percentuale non sul reddito ma sul patrimonio complessivo degli individui. Non sarebbe di certo la panacea di tutti i mali, ma sarebbe un importante incentivo all’inversione di tendenza dopo tutti questi anni di tagli e di aumento delle diseguaglianze economiche. Tale riforma, qualora applicata, assicurerebbe fondi vitali da reinvestire nel welfare, toccando i patrimoni dei (pochi) ricchissimi.

Nelle proposte recentemente avanzate, la patrimoniale si limita infatti a colpire solo chi è ben più che milionario. Per esempio, negli USA si discuterà del “Make Billionaires Pay Act”: disegno di legge che, se approvato, prevederebbe una tassa una tantum del 60% sui profitti realizzati, in piena pandemia, dai “grandi” del capitalismo americano. Un altro esempio, più vicino geograficamente ed economicamente all’Italia, è la Spagna, che ha introdotto, all’interno della legge di bilancio, un aumento delle tasse per i più ricchi, secondo il principio di progressività e una mini-patrimoniale per le fortune superiori ai dieci milioni di euro. 

Tacciare le ipotesi di una tassazione progressiva e di un’imposta patrimoniale di essere utopia irrealizzabile o estremismo politico è infondato; basti pensare che furono elementi fondamentali per la crescita economica avvenuta sotto la presidenza Eisenhower negli USA degli anni ’50, non proprio patria del socialismo reale.

Presidio a Brescia del 30 ottobre 2020. Foto di: Luca Zambelli

Anche nelle piazze italiane si sono iniziati a rintracciare appelli alla necessità di una riforma fiscale. Ciò che è certo è che la salute deve essere tutelata senza imporre il prezzo economico della crisi sanitaria a chi già prima non si trovava nelle fasce più agiate della popolazione. Dalla crisi si può uscire in due modi: o tutti insieme o lasciando affogare chi non è produttivo e/o chi non si trova in buone condizioni economiche. 

Le piazze sono sintomatologia di un disagio profondo. Se non le si sapranno ascoltare le conseguenze sociali ed economiche potrebbero rivelarsi gravissime. Soprattutto se paragonate agli effetti di una riforma fiscale appena più coraggiosa delle decennali politiche di austerity, responsabili dell’attuale situazione di incertezza condivisa da una parte sempre maggiore della popolazione.

Immagine di copertina: Striscione al presidio del 30 ottobre 2020 in Largo Formentone, Brescia. Foto di Andrea Ferrari

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