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’Universo ha circa tredici miliardi di anni, la Terra poco più di quattro. La Preistoria ha avuto inizio due milioni e mezzo di anni fa, la Storia quasi sei millenni. Eoni, ere, periodi ed epoche differenti si sono affermati, succeduti e sovrapposti, tanto che al momento ci troviamo contemporaneamente nel Fanerozoico (l’eone), nel Cenozoico (l’era), nel Quaternario (il periodo) e nell’Olocene (l’epoca). La periodizzazione del tempo terrestre, monitorata regolarmente dall’International Commission on Stratigraphy (ICS), è un’attività affascinante. Ci fa rendere conto di quanto gli esseri umani siano soltanto un frammento all’interno di un mosaico sterminato. Eppure oggi l’impatto dell’Homo Sapiens sul Pianeta è molto più che un semplice tassello. Le petroliere, i grattacieli, gli allevamenti intensivi e molte altre nostre creazioni ce lo ricordano ogni giorno. Con i loro effetti.
Nel 2000, in un breve articolo per l’International Geosphere-Biosphere Programme dal titolo The Anthropocene, il biologo Eugene F. Stoermer e il chimico dell’atmosfera premio Nobel Paul Crutzen coniano il termine Antropocene per identificare una nuova epoca storica, successiva all’Olocene, caratterizzata dalla centralità dell’attività umana, in grado di condizionare fortemente la Terra dal punto di vista fisico, chimico e biologico. Due anni più tardi, sulle pagine di Nature, Crutzen insiste sulle caratteristiche di questo concetto, affermando come nel corso degli ultimi secoli gli esseri umani siano diventati i principali agenti biologici, destinati a modellare il sistema terrestre in maniera duratura. Del resto, la rivoluzione industriale e l’incredibile accelerazione postbellica, successiva alla seconda guerra mondiale, avrebbero condotto l’umanità a una condizione di assoluto dominio verso la natura. Lo smisurato aumento di concentrazioni di gas serra nell’atmosfera e la crescita demografica senza precedenti sviluppatasi nella seconda metà del Novecento ne sono i fenomeni più evidenti, con le loro conseguenze non sempre controllabili e talvolta imprevedibili. Un dominio dunque totalizzante ma, per questo, irrealizzato.

L’accettazione dell’Antropocene è ancora oggetto di discussione all’interno della comunità scientifica. Nell’estate del 2016, l’Anthropocene Working Group, un sottogruppo dell’ICS, ha proposto di formalizzare la sua esistenza. Quest’organismo, costituito non soltanto da geologi, ma anche da storici, filosofi, archeologi e chimici (tra cui Crutzen), a testimonianza dell’interdisciplinarità della questione, si è espresso all’unanimità nel riconoscimento dell’Antropocene come nuova realtà stratigrafica da inserire nella scala geologica.
Le divisioni si sono palesate su due specifiche questioni. La prima riguarda la sua natura. Sebbene la maggior parte della commissione creda che l’Antropocene sia un’epoca (successiva all’Olocene), non manca chi lo considera un’era (posteriore al Cenozoico), un periodo (dopo il Pleistocene) o una sub-epoca. È evidente che più si considera questa realtà estesa, maggiore è il peso specifico assunto. Il secondo motivo di discussione, invece, ha a che fare col suo inizio. Crutzen e Stoermer l’hanno posto fin da subito a partire dalla rivoluzione industriale, dato che già nell’ultimo decennio dell’Ottocento metà dell’energia mondiale era ottenuta dai combustibili fossili, veri e propri motori dello sviluppo in grado di modificare ampiamente gli equilibri naturali. Lo storico ambientale John Robert McNeill (anche lui membro della commissione), assieme al suo collega Peter Engelke, ha spostato in avanti le lancette della storia al secondo dopoguerra. Nel loro libro La grande accelerazione, pur riconoscendo come a partire dalla fine del XVIII secolo la specie umana si sia avventurata in un’impresa che non conosce precedenti nella storia e nella biologia, i due studiosi ripercorrono in lungo e in largo l’impennata produttivista degli ultimi decenni, con le sue nefaste conseguenze per l’ambiente:
L’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera dovuto ad attività umane si è verificato per tre quarti della sua entità nel corso delle ultime tre generazioni. Il numero di veicoli a motore presenti sulla Terra è cresciuto da 40 a 800 milioni. Gli abitanti del pianeta sono triplicati e il numero di quanti vivono in città è passato da 700 milioni a 3,7 miliardi. Nel 1950 la produzione mondiale di plastica ammontava all’incirca a un milione di tonnellate, ma nel 2015 si è arrivati a 300 milioni. Nello stesso arco temporale la quantità di azoto sintetizzato (principalmente per ottenere fertilizzanti) è passata da meno di 4 milioni di tonnellate a più di 85.
Esistono minoritarie correnti di pensiero che collocherebbero la nascita dell’Antropocene ben prima della rivoluzione industriale, dal tardo Pleistocene alla scoperta del fuoco. Tuttavia, per la maggior parte degli studiosi, questa resta una questione moderna, se non strettamente contemporanea, in cui il confine tra l’azione umana e i processi naturali è venuto definitivamente meno. Con la sua attività l’umanità sta cambiando il mondo, ogni giorno a velocità maggiore. Nel farlo, produce conseguenze che troppo spesso sfuggono al suo controllo, locale o globale che sia. Il caso dei fenicotteri petrolchimici delle Saline del Priolo, di cui si è parlato nel precedente articolo, rientra nel primo caso. Il prossimo mese, invece, presenteremo il fenomeno più caratterizzante su scala globale di questa nuova epoca storica: il cambiamento climatico antropogenico.