Sull’orlo della carestia, nessuna tregua per lo Yemen

Sana’a  Yemen

Latitudine: 15° 22′ 10’’ Nord

Secondo le ultime stime pubblicate dalle Nazioni Unite, il conflitto in Yemen è costato la vita a 233.000 civili. Ma non sono state le armi a mietere il maggior numero di vittime: più di 130.000 persone sono morte per l’assenza di cibo, assistenza sanitaria e infrastrutture adeguate. In un comunicato congiunto, tre diverse agenzie ONU hanno fatto appello a tutti gli Stati perché non voltino le spalle alla popolazione yemenita, ridotta alla fame da una guerra che non conosce tregua. Le analisi più recenti condotte nelle zone di conflitto hanno prodotto risultati allarmanti. La classificazione utilizzata dal Programma Alimentare Mondiale (noto con la sigla inglese, WFP) prevede cinque diverse fasi di insicurezza alimentare: la terza fase rappresenta il livello di crisi, con la quarta si raggiunge il livello di emergenza e la quinta corrisponde infine alla carestia. Ad oggi, in Yemen, 16.500 persone si trovano in quest’ultima fase, la più critica: secondo le stime del WFP, il loro numero potrebbe triplicare entro giugno 2021. Nello stesso lasso di tempo, cinque milioni di yemeniti potrebbero trovarsi nella fase di emergenza, prossimi a ricadere in «condizioni catastrofiche» se la comunità internazionale non interverrà al più presto per invertire la rotta di una tragedia annunciata.

Dall’ultimo rapporto del WFP sulla situazione in Yemen, le proiezioni a giugno 2021.
Credits: WFP/ YEMEN: Integrated Food Insecurity Phase Classification Snapshot | October 2020 – June 2021.

Dallo scorso novembre, i rappresentanti delle Nazioni Unite hanno moltiplicato i loro appelli, eppure i combattimenti non si fermano, gli aiuti umanitari continuano a essere ostacolati e i finanziamenti ottenuti non raggiungono nemmeno la metà di quanto necessario. Come sottolineato da Antonio Guterres, Segretario Generale ONU, la situazione attuale è il risultato di una serie di fattori che sono andati a sommarsi sullo sfondo della pandemia da COVID-19. In primo luogo, l’inasprirsi del conflitto, che nei primi nove mesi dell’anno aveva già causato altre 1.500 morti civili, a dispetto dei ripetuti appelli dello stesso Guterres a un cessate il fuoco globale. Ugualmente fallito il tentativo di sostenere l’economia dello Yemen di fronte alle conseguenze della crisi sanitaria: i trasferimenti in denaro provenienti dagli emigrati yemeniti, fonte primaria di valuta straniera nel paese, si sono ridotti del 70% e i prezzi dei prodotti di importazione – praticamente tutti – sono schizzati alle stelle. Impossibile, per gran parte della popolazione, permettersi anche i beni più essenziali. Alla carenza di cibo e carburante si sono poi sommati gli eventi naturali: le piogge, le alluvioni e una devastante infestazione di locuste. Ma gli aiuti umanitari, ritenuti essenziali alla sopravvivenza di oltre 24 milioni di persone, hanno continuato a essere ostacolati sia dai combattimenti sia da difficoltà logistiche e burocratiche imposte – spesso arbitrariamente – dalle autorità territoriali. Non solo, l’intervento umanitario in Yemen ha subito – anche sul piano finanziario – le conseguenze della crisi sanitaria, che ha portato gli Stati membri a ridurre drasticamente i loro contributi in favore delle operazioni di soccorso coordinate dalle Nazioni Unite. Non avendo ricevuto che il 50% dei finanziamenti richiesti, le agenzie ONU sono state quindi costrette a ridimensionare – o cancellare – parte dei programmi umanitari.

Nel frattempo, in Gran Bretagna inizia la somministrazione dei primi vaccini: sembra scorgersi, seppur da lontano, la fine di una pandemia cominciata meno di un anno fa. In Yemen, la guerra è iniziata nel 2014: ancora oggi, la pace resta una speranza distante. Nel settembre di sei anni fa, i ribelli Houthi – noti come Ansar Allah – hanno preso il controllo della capitale Sana’a. Nel marzo 2015, una coalizione guidata dall’Arabia Saudita è intervenuta allo scopo di ristabilire il governo di Abdrabbuh Mansour Hadi, tuttora in esilio a Riyad. Con il voto sulla risoluzione 2216, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha riconosciuto Hadi come legittimo presidente dello Yemen e imposto un embargo sulla vendita di armi alla fazione ribelle, sostenuta invece dall’Iran. Nel tempo, tuttavia, la coalizione guidata da Riyad si è mostrata tutt’altro che compatta: nel 2019, gli Emirati Arabi Uniti hanno voltato le spalle ai propri alleati per sostenere il movimento secessionista del Southern Transitional Coucil (STC). A complicare ulteriormente il quadro, non è mancata l’ingerenza di al Qaeda nella Penisola Araba (AQAP) e – in misura minore – dello Stato Islamico.

Un uomo tiene in braccio un bambino nel campo per sfollati di Al-Dhale’e, Yemen.
Credits: YPN per UNOCHA

Per la coalizione a guida saudita, il movimento Houthi non rappresenta che un agente a servizio dell’Iran, principale rivale di Riyad nello scenario geopolitico del Medio Oriente. Malgrado gli esperti ritengano decisamente più limitata l’influenza di Teheran sugli Houthi, l’interpretazione offerta dalla monarchia saudita può contare su sostenitori illustri, soprattutto a Washington. La Casa Bianca si prepara infatti a muovere una nuova pedina sullo scacchiere mediorientale, classificando il movimento Houthi come organizzazione terroristica. Prima di lasciare spazio al neoeletto presidente, l’amministrazione Trump si mostra pronta a giocare le ultime mosse della sua partita contro Teheran. Ma a pagarne le conseguenze, ancora una volta, saranno i civili. Se tale misura diverrà ufficiale, qualsiasi interazione con il movimento Houthi sarà criminalizzata, punibile con sanzioni finanziarie nonché penalmente perseguibile. Senza la concessione di specifiche autorizzazioni da parte del governo americano, tutti i programmi umanitari condotti e finanziati dagli Stati Uniti dovranno essere sospesi con effetto immediato. Non solo, il territorio controllato dalla fazione ribelle ospita circa il 70% della popolazione yemenita e gran parte dei punti d’accesso al paese: il blacklisting degli Houthi potrebbe condurre le compagnie private a cessare le attività commerciali per non incorrere in sanzioni. In un paese che dipende quasi per intero dalle importazioni, le conseguenze potrebbero rivelarsi devastanti.

Mentre a Washington si discute sulle misure da prendere contro la fazione ribelle, in Yemen la guerra continua, senza alcun rispetto per il diritto internazionale umanitario e i diritti umani. Come emerso dalle indagini delle Nazioni Unite, tutte le parti in conflitto si sono macchiate di violazioni che potrebbero costituire dei crimini di guerra. Eppure, nessuno è stato finora chiamato a risponderne, né i combattenti delle truppe ribelli né tantomeno quelli a servizio della coalizione pro-governativa. Nell’impunità e nell’indifferenza generale degli Stati, continua indisturbato anche il commercio d’armi verso la Penisola Araba. Così, tra le macerie, emergono i frammenti di ordigni prodotti lontano dal fragore della guerra. Numeri di serie che restano incisi, malgrado la distruzione creata, e permettono di percorrere a ritroso il viaggio di quelle bombe, sganciate sulle case di civili inermi, sparpagliate sulla terra arida di un villaggio yemenita.

Grazie a quei frammenti, raccolti tra cenere e lamiere, una rete di organizzazioni della società civile lavora per portare davanti alla giustizia chi in Europa ha tratto profitto dalla guerra in Yemen. Nel 2018, la Rete Italiana Pace e Disarmo, il Centro Europeo per i Diritti Costituzionali e Umani (ECCHR) e Mwatana per i diritti umani hanno presentato una denuncia alla Procura di Roma per accertare la responsabilità penale dell’Unità per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento (UAMA) – in capo al Ministero degli Esteri – e dei dirigenti di RWM Italia – azienda produttrice di armamenti – per la vendita di armi agli Stati membri della coalizione a guida saudita. Nel luglio 2019, il Parlamento italiano ha approvato la sospensione della vendita di missili e bombe aree ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. A settembre 2019, il Pubblico Ministero di Roma ha chiesto l’archiviazione del caso presentato contro UAMA e RWM Italia. L’udienza di opposizione è fissata a gennaio 2021, così come la scadenza del provvedimento concordato in Parlamento. La guerra in Yemen si combatte all’estremo meridionale della Penisola Araba, ma il suo futuro passerà anche dalle aule del Tribunale di Roma, dai corridoi delle Camere e dal lavoro costante di chi non si arrende all’indifferenza.

Immagine di copertina: Sana’a, capitale dello Yemen e patrimonio UNESCO, oggi sotto controllo del movimento Houthi. Illustrazione di Paolo Zangrandi

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