Tra D.A.D e T.A.D

Ovvero come la Didattica A Distanza può diventare Teatro A Distanza

Nell’anno scolastico 2020-21 l’I.T.C.S “Abba-Ballini” ha deciso di riproporre, nonostante la pandemia, il progetto teatrale usando la modalità della didattica a distanza. I ragazzi sono stati invitati a confrontarsi con la figura di Medea nella tragedia di Euripide, con un piccolo brano in lingua originale e con la rielaborazione del mito nei secoli successivi. Qual è il bilancio alla fine del percorso? Lo abbiamo chiesto alla preside Elena Lazzari e al docente responsabile prof. Paolo Perlotti.

Preside Lazzari, alcuni direbbero che fare teatro in modo virtuale, senza il contatto tra i corpi e senza calcare la scena non è fare teatro; ma, se da un lato è fuori di dubbio che fare teatro in DAD con tutte le limitazioni imposte dalla situazione è una vera sfida, cosa invece vi ha spinto a mettervi in gioco per attivare comunque il corso di teatro nonostante l’impossibilità a poterlo svolgere in presenza?

L’esperienza del percorso teatrale nel nostro istituto di è sviluppata negli anni recenti grazie alla competenza e all’impegno del professor Perlotti; essa si è da subito configurata come laboratorio di umanità e di relazioni oltre che come laboratorio tecnico. Il desiderio di mantenere vive le relazioni umane, di non interrompere il filo che ha creato connessioni forti tra i partecipanti, ci ha spinti ad affrontare la sfida di portare avanti l’esperienza a distanza anche per creare uno spazio di condivisione extracurricolare che potesse mantenere vivo e vitale il gruppo teatrale.

Professor Perlotti, perché proprio la Medea? In tempo di pandemia non era forse meglio qualcosa di più “leggero”?

In realtà la scelta, quest’anno, era obbligata: abbiamo accettato la sfida proposta dall’Università Cattolica di Milano di girare un cortometraggio relativo ad una scena della Medea di Euripide che ci è stata affidata [il dialogo tra Medea e Creonte, n.d.r.] e, di conseguenza, ci siamo preparati su tale testo. Sono consapevole che, in tempo di pandemia, una commedia o un dramma satiresco sarebbero senz’ombra di dubbio stati più “piacevoli”, ma sono altrettanto sicuro che riflettere sulle debolezze della condizione umana – proprio in questo periodo – sia stato molto importante per i ragazzi.

Lei è stato a contatto con i ragazzi per tutta la durata del corso: come hanno vissuto l’esperienza? Che tipo di feedback ha ricevuto da questa nuova modalità?

Le anticipo che quando faccio teatro con i ragazzi smetto di essere professore e divento parte del gruppo: mi muovo con loro, provo ad aiutarli ad interpretare correttamente una parte, offro loro qualche ispirazione. In questo modo i ragazzi si sentono più tranquilli, meno giudicati e possono dare sfogo a tutta la loro creatività. Ho vissuto questi mesi di DAD a stretto contatto con loro e posso dirle che l’esperimento si è rivelato positivo perché il laboratorio ha costituito una valvola di sfogo per i ragazzi. Certamente, mancavano il contatto, l’incontro e l’interazione fisica, ma volevamo trasmettere agli studenti l’importante messaggio che, anche se a distanza, la scuola non si è mai dimenticata di loro: non volevamo farli sentire abbandonati in un periodo in cui l’idea canonica di “scuola” si è sgretolata tra le nostre (e le loro) mani. Questo i ragazzi lo hanno capito e devo dire che il feedback che ho ricevuto è stato entusiasta. Certamente, ora, la mente vola all’anno prossimo, con la speranza che si possa tornare alle due ore settimanali di teatro in presenza.

Giorgio De Chirico, “La commedia e la Tragedia”, 1926

Eppure [nonostante il feedback positivo n.d.r] quando le è stato proposto dagli organizzatori del concorso di rendere virtuale non solo la preparazione alla performance, ma anche la performance stessa (con la registrazione della schermata di Google Meet in cui i ragazzi declamavano le parti loro assegnate, ognuno nella solitudine della propria camera con il proprio pc di fronte) lei ha opposto un netto rifiuto. Come mai?

Perché non è teatro e non renderebbe giustizia al grande sforzo dei ragazzi! Il teatro è corpo, movimento, sguardi. In DAD come possiamo rendere tutto questo? Si immagina le connessioni internet ballerine? Le immagini che si bloccano? I ritardi dell’audio? Sarebbe stato deleterio per i ragazzi, per gli spettatori… e per Euripide! Ho preferito fare un passo indietro: era già di difficile realizzazione la proposta di girare un cortometraggio basata sulla scena definita (la regia e la recitazione cinematografica sono ben diverse da quella teatrale), ma l’idea della realizzazione in TAD (teatro a Distanza, come lo chiamo io) non mi pareva poi così vincente. Ovviamente sarà mia cura, pandemia permettendo, terminare il percorso iniziato consegnando all’Università il lavoro svolto.

Lei viene ormai da due anni in cui ha dovuto per forza di cose portare avanti i progetti teatrali esclusivamente in DAD. Qual è secondo lei l’aspetto che si è perso di più in questa esperienza digitale, e quali invece gli aspetti che si sono rivelati essere più valorizzati, sempre che ce ne siano?

Posso senz’ombra di dubbio dirle che si è persa l’interazione dei/con i ragazzi e, quindi, anche una perdita della consapevolezza corporea fondamentale per il teatro (l’attore non è solo “un corpo” ma fa anche parte del “corpo assoluto” generato dall’unione di tutti quelli che condividono il palco, con conseguente attenzione anche al movimento ed alla corporeità degli altri). A distanza, tuttavia, ci si è concentrati molto sulla pronuncia e sull’interpretazione. E questo, tutto sommato, non è un male. Diciamo che questi due anni di “teatro a distanza” sono stati considerati “training vocale”.

A livello educativo si ritiene che uno degli obiettivi più importanti sia il far scoprire ai ragazzi la loro personalità e la loro identità. In pandemia questa scoperta dell’identità, che si matura specialmente con il rapporto tra i coetanei, è stata messa in serio pericolo. Come può il teatro sanare questa ferita che per molti ragazzi è ancora aperta?

Il teatro permette di spogliarsi di sé, delle proprie paure e dei propri limiti. Una persona mite può interpretare un antagonista terribile, mentre un estroverso può calarsi nei panni di un personaggio remissivo. Questa è la magia della recitazione: poter diventare qualcun altro, vivere un’altra vita, sperimentare nuove esistenze. Il teatro può quindi far recuperare ai ragazzi questa dimensione esplorativa che in questi mesi è venuta meno. Senza dimenticare, poi, che tutto questo costituisce – come già le ho detto poco fa – una valvola di sfogo non indifferente. Aggiungerei anche che il teatro permette ai ragazzi di imparare l’arte dell’improvvisazione che, nelle verifiche orali o all’Esame di Stato, non guasta (ride).

Edvard Much “la Pubertà”, 1894-5

Preside, che impressione si è costruita di questa “scommessa teatrale” in DAD dopo aver assistito ad alcuni degli incontri online? Crede ancora sia stata la scelta giusta oppure no? Quali saranno le sfide del futuro?

Certamente penso sia stata la scelta gusta! I ragazzi sono pronti a riprendere in presenza, ma anche a continuare a sperimentare a distanza con l’uso delle tecnologie ciò che può essere fatto efficacemente anche a distanza. Non credo che questa esperienza di laboratorio teatrale a distanza si interromperà definitivamente dopo il superamento della pandemia. La vera sfida ora, sia per la didattica che per il teatro, è capire cosa può rimanere e può servire a creare vera innovazione metodologica.

Professor Perlotti, ultima domanda: cosa ha imparato da Medea? E, se lo crede come penso di aver capito, perché è importante per i ragazzi confrontarsi con questi modelli “negativi”?

Eh, bella domanda. Da questa esperienza ho imparato che… dobbiamo imparare tanto dai ragazzi! Pensi che gli incontri in DAD di teatro avvenivano il venerdì alle 16:00. I ragazzi il venerdì terminano le lezioni alle 14:00… il tempo di mangiare, fare i compiti (ancora davanti al PC!) e alle 16 si collegavano puntualissimi all’incontro. La durata della lezione era di 60 minuti, ma è capitato più volte di concluderla anche mezz’ora-tre quarti d’ora dopo. Ho quindi imparato che ai ragazzi basta offrire spazi di azione e di libertà e loro ti ripagheranno con grandissime soddisfazioni. D’altronde, non dobbiamo dimenticarci che prima di essere insegnanti noi siamo educatori. La parola “educazione” deriva da ex-ducere che significa “tirare fuori” le potenzialità dei ragazzi: questa cosa molte volte viene dimenticata e tendiamo a fare l’esatto opposto: pensiamo che sia un bene “riempire le teste” dei ragazzi, senza pensare al modo in cui essi potranno poi trasformare queste informazioni in competenze di vita. Per quanto riguarda i modelli negativi, beh… chi non è mai rimasto affascinato dai cattivi dei film? (ride) questo perché essi sono decisamente più complessi psicologicamente ed emotivamente e, quindi, ci permettono di farci riflettere sulla condizione umana. Preciso poi, come lei già ben saprà, che la bellezza del testo di Euripide sta proprio nel labilissimo confine tra il bene e il male: penso che sia un testo fondamentale per i ragazzi e che essi possano riflettere molto sulla posizione di Medea, di Creonte, di Giasone. Personaggi che non hanno mai polarizzato la critica ma che, anzi, hanno creato vere e proprie correnti colpevoliste o innocentiste.

Maria Callas sul set di “Medea” di Pier Paolo Pasolini; New Line Cinema archive, 1971
Immagine di copertina: locandina della “Medea” di Pier Paolo Pasolini (dettaglio), archivio Majestic Cinema, 1971

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