
I muri di un’abitazione sono elementi fisici e strutturali, una barriera che separa il mondo esterno da un mondo privato. È possibile immaginare cosa accada là dietro ma tuttavia non si hanno certezze. Solo le persone che vivono all’interno possono percepire le sensazioni che quell’abitazione detiene su di loro: dalla serenità all’angoscia, dalla piacevolezza alla frustrazione. Fragili equilibri che non possono essere interpretati né giudicati nemmeno dagli inquilini di uno stesso palazzo. Ciò si riscontra in molteplici opere letterarie, dai casi editoriali più recenti come Il libro delle case di Bajani (che potete approfondire qui) ai grandi classici della letteratura come Il buio oltre la siepe (in cui Scout e Jem sono attratti dalla misteriosa abitazione di Boo Radley).
Anche Eshkol Nevo, voce israeliana amata dai lettori italiani, grazie alle traduzioni di Neri Pozza, ambienta in un palazzo il suo libro pubblicato nel 2017, Tre Piani, in cui le vite di tre famiglie si intersecano fra loro. II suo romanzo conquista il lettore, alimentando una potente macchina immaginativa e sensazioni avvolgenti. Questi tre piani non sono solo strutturali, ma coincidono con una delle tre istanze freudiane (Es, Io e Super-io).
«I tre piani dell’anima non esistono dentro di noi. Niente affatto! Esistono nello spazio tra noi e l’altro, nella distanza tra la nostra bocca e l’orecchio di chi ascolta la nostra storia. E se non c’è nessuno ad ascoltare allora non c’è nemmeno la storia. […] L’importante è parlare con qualcuno. Altrimenti, tutti soli, non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare disperati nel buio, nell’atrio, in cerca del pulsante della luce»[1].

Tutti e tre i protagonisti condividono una stessa condizione: improvvisamente, il proprio animo non trattiene ciò che nascondeva silenzioso nelle sue profondità. Una forza spinge in superficie questo istinto ma c’è anche la necessità che questo cambiamento repentino e ingombrante sia comunicato. Nevo, dunque, sceglie un processo narrativo interessante e che esplicita questa necessità: Harnon svela gli ultimi eventi che lo hanno profondamente sconvolto in una cena con un suo grande amico; Hani disbroglia il filo della matassa ad un’amica utilizzando carta e penna; Dovra, invece, esplicita gli ultimi grandi cambiamenti incidendoli sul nastro di una segreteria telefonica appartenuta al marito defunto. Questa scelta narrativa non è solo l’ossatura narrativa del romanzo: infatti, i tre protagonisti spesso si interfacciano con la modalità utilizzata, mezzo essenziale per affacciarsi in quella zona dell’interiorità che si celava da tempo
«Mi sono fermata a rileggere quello che ho scritto fin qui, e improvvisamente ho notato che tutto è ritmato dal tre, le frasi sono sempre divise in tre parti, quasi sempre tre esempi. Sarà perché mi sono trovata a far parte del triangolo? Se fai parte di un triangolo finisce che tutto quel che succede al mondo ti si divide in testa per triangoli?»[2]
Al primo piano, un evento sconvolge Arnon, Ayelet e le due figlie. La voce narrante, Arnon, comincia ad agire in modo imprevisto, spinto dapprima dall’orgoglio e in seguito da un senso di vendetta, giustificato da lui stesso come un necessario mezzo per esprimere il suo senso d’amore:
«Cosa volevo, in fin dei conti? Proteggere le mie donne, difenderle. Garantire che nessuno facesse loro del male. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per amore, mi credi? Forse amo troppo forte. Forse è questo il mio problema. Al giorno d’oggi non si ama più così.»[3]
Al secondo piano, Hani lotta quotidianamente con la solitudine e da una vita famigliare estremamente complessa. Il ritorno improvviso dal cognato, dopo anni di assenza, risveglia in lei una nuova volontà di vivere e di riscatto.
Al terzo piano, Dovra comprende improvvisamente quanto il Super-Io ha determinato le scelte della sua esistenza: da elemento necessario nella sua professione (giudice) a mezzo educativo esasperante per il figlio Arad. Dovra decide dunque di agire realmente, ovvero compiendo un gesto che concretamente esprima la sua utilità all’interno della società: partecipa attivamente ad alcune manifestazioni organizzate dai giovani, a Tel Aviv, offrendo la propria consulenza legale e compiendo gesti che mai avrebbe immaginato:
«Ho incontrato chiunque fosse interessato ai miei servizi. Ho scoperto che i manifestanti erano tragicamente in conflitto tra loro. Ho fissato altri appuntamenti per i giorni successivi. Ho fumato una sigaretta. Ricevuto un trattamento di riflessologia plantare. Suonato la chitarra. Bevuta birra tiepida e mangiato prevalentemente pizza con salame. Lo so, tu non credi a questo genere di metamorfosi improvvise. Ma le metamorfosi rapide possono avvenire, se sotto la superficie ribolliva qualcosa in attesa di esplodere, e comunque, tutto questo è accaduto, Michael»[4].

Il lettore assiste ad una storia quasi perfetta, che ha conquistato anche Nanni Moretti, tendenzialmente produttore di progetti unicamente scritti di suo pugno. Il regista, che ha sempre dimostrato nelle sue pellicole provocazioni e profonde analisi dell’animo dei suoi protagonisti, ha già conquistato il pubblico del festival di Cannes, in cui il film era in concorso, attendendo che il pubblico italiano si pronunci a settembre, quando il film uscirà nelle sale.