
Carlotta, Il tuo rapporto con il blu è sicuramente significativo, tanto che è entrato a far parte della tua firma d’autore; in un certo qual modo è come se tu stessa firmandoti in questo modo ti definissi come “blu”. come è nata questa relazione con il colore e in che modo essa influisce sul tuo lavoro e sul tuo modo di vedere il mondo?
L’idea di definirmi blu mi fa sorridere e mi piace molto. L’amore per questo colore è nato casualmente; devi sapere però che sono una persona che si “fissa” sulle cose e le fa sue quando le ama. Da bambina avevo la stessa ossessione ma per il rosa. Uno dei miei giochi preferiti era proprio un gomitolo rosa, perché mi dava l’idea che il colore mi appartenesse, non amavo il gomitolo in realtà ma la “pallina di colore”. Il rosa diciamo che è stato il primo amore, mentre il blu è proprio l’amore della vita. Quello con cui vuoi passare per sempre il resto dei tuoi giorni. Ho sentito questa sensazione d’amore la prima volta che ho visto una vasca di pigmento IKB (International Klein Blue) alla mostra di Klein a Palazzo Ducale a Genova. C’era una vasca gigantesca a terra stracolma di pigmento oltremare. Quando l’ho vista ho sentito caldo al petto e non ho mai abbandonato questo colore. Anzi, non riesco nemmeno a disegnare bene se non uso una penna blu. È sempre presente. All’inizio dipingevo e facevo lavori monocromi, più avanti ho usato più colori ma ho mantenuto ASSOLUTAMENTE la linea di contorno blu, perché così deve essere e così per me è bello. È diventato un marchio di fabbrica.

A proposito di Yves Klein mi viene in mente la tua abitudine, così cara ai tuoi follower, di riassumere gli autori per te importanti sotto forma di mappe mentali (come quella su Yves Klein per l’appunto). Puoi parlarci di questi influssi? Cosa è per te fonte di ispirazione e quali autori sono o sono stati particolarmente importanti per te?
Le cose diventano un po’ nostre quando le amiamo alla follia, è un processo naturale secondo me. Accade a tutti. Per me l’ispirazione è necessaria, senza di essa non c’è arte, e mi viene data da tantissime cose, come una gita al museo, una passeggiata, una fotografia, un film, un libro…veramente qualsiasi cosa. Il mio cervello è sempre in continua ricerca di ispirazione. È diventato molto difficile leggere per me per esempio, perché se leggo cose che mi ispirano con gli occhi scorro la lettura ma mentalmente sono chissà dove a pensare a come fare la prossima illustrazione. Gli artisti che più mi hanno ispirata sono quelli che ho “conosciuto” per primi da bambina, come Van Gogh, Kandisnkij, Modigliani e Picasso, però se dovessi farti un elenco di tutti gli artisti che mi ispirano non basterebbe un libro. Mi faccio ispirare molto facilmente, quindi è difficile stilare una lista. Certi artisti magari non mi fanno impazzire ma amo certe cose che creano e quindi mi fanno elaborare cose da disegnare nelle mie illustrazioni.
I tuoi soggetti sono principalmente femminili: ci sono delle caratteristiche che cerchi di mostrare sempre in questi personaggi che disegni? E quanto di Carlotta Sangaletti c’è in loro?
Le ragazze che rappresento hanno una prerogativa: devono donare allo spettatore GENTILEZZA. Vorrei che le persone, guardando una mia opera si sentissero abbracciati dalla gentilezza perché è una cosa a cui tengo particolarmente e soprattutto sui social è data per scontata; mi piace che abbiano uno sguardo un po’ intrigante, nel senso che non sai quello che pensano e, dato che la maggior parte guarda lo spettatore negli occhi, voglio immaginare che alla ragazza che ho ritratto piacerebbe chiacchierare con chi ha davanti e mi piacerebbe che lo spettatore si immaginasse una conversazione con le mie donne. Di Carlotta comunque c’è TUTTO: ognuna rispecchia qualcosa di me. Non riesco a creare un’opera senza lasciare un pezzettino di me in essa. È un po’ più difficile con le commissioni perché sono esageratamente personali, ma mi sento già lusingata a descrivere il ricordo della persona con il mio tratto.

I gesti del quotidiano, altro elemento che ricorre spesso nei tuoi disegni: che significato gli attribuisci?
Il quotidiano è quello che accomuna tutte le persone, e a me interessa che le persone si rivedano in un gesto che per me è quotidiano e anche importante. Mi piace “vivere sotto lo stesso cielo” e sapere che siamo tante anime affini. Una delle frasi che adoro mi venga detta è: «caspita Charlotte…in questo disegno sono proprio io». Mi mette sempre i brividi perché mi sento molto vicina ad una persona che non conosco, ed è sempre un’emozione unica e strana. D’altronde anche le canzoni funzionano così: certa musica ci piace perché il testo e la melodia ci accomuna, e cantiamo tutti sotto lo stesso palco. Mi sento quasi una rockstar a disegnare il quotidiano ed esser capita.

L’arte come cura è qualcosa che funziona (e autori come Van Gogh in questo sono emblematici) sia a livello di anima sia a livello fisico. In questo senso l’arte può essere anche intesa come un qualcosa che è una cura di un malessere ma anche un qualcosa che si prende cura di qualcuno. Quale di queste due definizioni senti più vicina alla tua esperienza e perché?
Nella mia bio di Ig, tra varie frasi c’è scritto anche «So che l’arte avrà cura di me» ed è il mio credo. L’arte può far star bene se osservata e creata, e questo sempre per lo stesso ragionamento che ti facevo per la domanda precedente: perché non ti senti solo. Pensa che se io non riesco a disegnare mi innervosisco e sto male. Il mio benessere (ma in realtà la mia vita) è incentrata sull’arte, di conseguenza non può che farmi stare bene prendersi cura di me e del mio essere.
A proposito della tua bio di Instagram, c’è anche scritto che “disegni quello che pensi e che sei brava con i pensieri”. Ora che abbiamo finito l’intervista, se dovessi disegnarla o affidarla ad un pensiero, cosa realizzeresti/scriveresti?
Mi sento brava con i pensieri perché sono un’incallita pensatrice. In quel cervello bacato che mi ritrovo c’è un caos infinito di pensieri, e in più anni fa scrivevo tantissimi diari (che mi sono serviti anche per varie ispirazioni future); inoltre non sono brava a parlare, quindi mi viene più facile pensare e poi disegnare. Per tutta la durata dell’intervista mi sono lasciata distrarre ogni tanto da un’immagine che mi piacerebbe prima o poi riprodurre. Pensavo a una me, seduta su una comoda poltrona, anche un po’ scomposta perché mi hai fatta sentire a mio agio, quindi non sarei rimasta rigida, una mano sulla testa per accompagnare i pensieri e le risposte e nell’altra un quaderno di schizzi da mostrarti. In sfondo una grande libreria con piante e oggetti arrivati da ogni dove.
