Talebani alla prima conferenza stampa

Afghanistan – Il ritorno dei talebani

Il “cimitero degli imperi” ha ufficialmente fatto un altro morto: gli Stati Uniti d’America.

Non molto tempo fa abbiamo cercato di illustrare come l’Afghanistan – un paese di cui spesso conosciamo più il nome che la storia – si sia guadagnato la reputazione di “cimitero degli imperi”. Oggi, ancora una volta, questa reputazione si dimostra ben fondata. Con la ritirata degli Stati Uniti quasi completata, mentre scrivo questo articolo i talebani stanno entrando a Kabul, riprendendosi la capitale da cui erano stati cacciati nel 2001. Come è possibile? Per capirlo meglio bisogna osservare cosa è successo tra Stati Uniti e Afghanistan negli ultimi anni…

L’infinita guerra al terrorismo

Corre l’anno 2001 quando gli Stati Uniti invadono l’Afghanistan. Il motivo è chiaro: mettere le mani su Osama bin Laden, il principale organizzatore dell’attentato alle torri gemelle. Il famoso Osama ha da qualche tempo piantato le tende in Afghanistan, dove è ospitato da dei suoi colleghi fondamentalisti islamici, i talebani, che governano il paese da metà anni ‘90. Dopo l’11 settembre, gli USA chiedono ai talebani di consegnare bin Laden e di espellere la sua organizzazione, al-Qaeda. I talebani si rifiutano, dicendo che non ci sono abbastanza prove per incolpare il loro ospite. Gli USA non sono d’accordo, e sono decisi a prendersi bin Laden con la forza se necessario.

Soldati statunitensi osservano un elicottero
Truppe statunitensi in Afghanistan.

Ed è proprio così che va: il 7 ottobre 2001, gli USA attaccano l’Afghanistan. Le forze statunitensi – aiutate del Regno Unito e da diverse milizie afghane impegnate sul territorio – non ci mettono molto a cacciare i talebani dalla capitale Kabul. Ma cacciare i talebani dalla capitale non vuol dire sconfiggere il gruppo. Tanti dei combattenti si danno alla macchia, alcuni in giro per il paese, altri nel vicino Pakistan. Dai loro nascondigli, i talebani si riorganizzano e iniziano una lunga ribellione contro il nuovo governo, accusato di essere un burattino statunitense.

Nei mesi successivi, gli Stati Uniti e i molti stati (Italia inclusa) che li supportano mobilizzano i loro potenti eserciti nella lotta contro i talebani. Il loro sforzo, però, non pare mai essere abbastanza. I talebani vengono espulsi dai grossi centri abitati del paese, ma continuano a sopravvivere nelle campagne, dove controllano larghi pezzi di territorio. In queste zone, i combattenti talebani giocano in casa: non solo conoscono il territorio e le popolazioni locali, ma possono anche guadagnarsi il supporto di una buona fetta di popolazione presentandosi come l’unico vero fronte di resistenza all’(ennesima) invasione straniera. Allo stesso tempo, però, il gruppo non è abbastanza forte da sconfiggere il nuovo governo afghano e i suoi sostenitori. Si crea così una situazione di stallo: nessuna delle due parti riesce a sconfiggere l’altra, e il conflitto continua.

Rompere lo stallo, ma a caro prezzo

Per rompere lo stallo, serve qualcosa di fuori dalle righe. Può quindi non sorprendere che la svolta arrivi nel 2018 dal nuovo presidente statunitense, Donald J. Trump. All’inizio della sua presidenza, il buon Donald cerca – come i suoi predecessori – di arrivare alla vittoria per via militare. Resosi conto che questa strategia non funziona, però, tutto ad un tratto rimescola le carte in tavola e decide di aprire un negoziato con i talebani. L’atto è senza precedenti – nessuno dei suoi predecessori aveva aperto negoziati con i talebani, per di più in barba alla resistenza opposta dal governo ufficiale dell’Afghanistan. Ma Donald va avanti imperterrito, fino ad arrivare nel febbraio 2020 a un accordo: gli USA promettono di ritirarsi dall’Afghanistan, i talebani promettono di allontanarsi da al-Qaeda e dall’ISIS, e di negoziare in buona fede un accordo col governo afghano. 

Rappresentanti di USA e talebani firmano accordo
Gli USA e i talebani firmano l’accordo del febbraio 2020.

Per i talebani, l’accordo con gli USA rappresenta una vittoria. Dopo anni di resistenza, l’invasore straniero è finalmente costretto a lasciare il paese. Inoltre, la partenza degli USA (e delle altre forze internazionali che li seguono) indebolisce di molto le forze armate afghane, consentendo ai talebani di espandere il territorio sotto loro controllo. A mano a mano che le truppe statunitensi abbandonano le loro basi, i talebani intensificano la loro avanzata. Molte città passano sotto il controllo del gruppo tramite negoziati con capi politici locali, senza alcuno spargimento di sangue. E così, in poco tempo e con poche perdite, i talebani arrivano a Kabul.

Il ritorno dei talebani a Kabul è un duro colpo per molti, visto che il gruppo è famoso per la sua severità nell’applicare una versione fondamentalista della legge islamica nei territori sotto il suo controllo. In effetti, chi vorrebbe vedere l’Afghanistan tornare in una condizione in cui le donne non hanno il diritto di studiare, o dove frustate e lapidazioni sono forme di punizione ammissibili? Dall’altro lato, però, l’unico modo per evitare questo scenario pareva essere continuare a mantenere in Afghanistan una forte presenza di truppe straniere, con lo scopo di sostenere un governo privo di vero appoggio popolare e incapace di (r)esistere senza supporto internazionale. Non una grande alternativa, insomma, come gli ultimi vent’anni ci hanno insegnato. 

La storia fa il suo corso

Mentre su queste pagine possiamo permetterci di discutere di ciò che accade e di ciò che sarebbe potuto accadere, però, la storia in Afghanistan continua a fare il suo corso, con ripercussioni enormi per la popolazione afghana. Cosa riservi il futuro non è dato sapere, ma intanto il “cimitero degli imperi” ha una tomba in più. La lapide recita: “Stati Uniti d’America, 7 ottobre 2001 – 16 agosto 2021”. 

Le opinioni espresse nell’articolo sono solamente quelle dell’autore, e non riflettono necessariamente quelle di Echo Raffiche o di istituzioni a cui l’autore è affiliato.
 
Immagine di copertina: Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani, alla prima conferenza stampa dopo la presa di Kabul, 17 agosto 2021

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