
Durante questi tragici mesi di pandemia tutto il mondo ha assistito a un repentino debutto dell’utilizzo massiccio delle tecnologie digitali. Nella maggior parte degli uffici pubblici o privati, nell’istruzione e perfino in attività sportive più o meno amatoriali le piattaforme per videoconferenze hanno spopolato, cercando di garantire una continuità lavorativa altrimenti impossibile per le reiterate chiusure. Anche le istituzioni museali, dal canto loro hanno dovuto affidarsi ai mezzi di comunicazione tecnologici per tentare di mantenere un qualche rapporto con il pubblico, ragione stessa della loro esistenza, come sottolineato dallo statuto di ICOM[1]:
Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.
Le collezioni museali sono così diventate protagoniste di svariate attività di approfondimento, divulgazione più o meno scientifica, di sensibilizzazione a specifici temi, avvalendosi dello slogan #iorestoacasa tanto popolare sui social network.
Un’indagine condotta da ICOM Italia, sulla base di questionari somministrati tra il 23 e 30 aprile 2020 ai musei italiani, ha rilevato che quasi il 90% dei musei ha prodotto contenuti specifici per il pubblico dopo la propria chiusura. Quasi la metà di questi ha dichiarato di aver creato tra l’80% e il 100% di contenuti nuovi durante il periodo di chiusura. Questo significa, spiega il report, che prima i canali social venivano utilizzati soprattutto come memorandum degli eventi organizzati dal museo come visite guidate, conferenze, attività particolari. Inoltre, più di un terzo dei musei ha attivato nuovi canali social o ne ha riattivati di già esistenti, per i quali si era creato un account, ma che erano rimasti del tutto o in gran parte inutilizzati.
Con il passare dei mesi sono apparsi anche altri studi sull’argomento, come quelli esposti durante la conferenza internazionale Digital Middle Earth organizzata il 30 giugno scorso dal Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino, e in particolare da Anna Maria Marras coordinatrice della Commissione Tecnologie digitali per il patrimonio culturale di ICOM Italia. È emerso che, nonostante la difficoltà nel selezionare contenuti di qualità, non sia più opzionale creare contenuti digitali. Questi, tuttavia, devono essere pensati con una visione a lungo termine con uno scopo ben preciso e devono evolversi ponendo al centro non più soltanto l’oggetto fisico o il bene culturale, ma anche il contesto in cui esso si trova. “L’educazione, attraverso i mezzi tecnologici, deve avvenire per interazione e non più per trasferimento”, spiega l’architetto Laura Moro, direttrice dell’Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale del MiBACT¹.
Un altro progetto sperimentale degno di nota è quello sviluppato da Chiara Zuanni all’università di Graz sull’impatto di Covid-19 sulle strategie digitali nei musei, che comprende un sito web con una mappa di attività come mostre online, giochi, contenuti educativi continuamente aggiornata da tutto il mondo.
Svariate sono state e sono le iniziative scelte dalle istituzioni museali per trasportare online le attività di comunicazione, educazione e valorizzazioni delle proprie collezioni. Fondamentale è stata la collaborazione tra innumerevoli musei e Google Arts and Culture, per la creazione di tours virtuali dettagliatissimi – a Brescia Palazzo Monti, Brescia Musei e Garda Musei vi hanno aderito anche con percorsi tematici – attraverso i quali è possibile perdersi tra le sale deserte e ammirare nuovamente la propria opera d’arte preferita.

Si può anche passeggiare con il direttore del Museo Egizio di Torino Christian Greco sull’apposito canale You Tube, osservare i murales di Banksy con Google Street View, o ancora, accedere ad un insieme di contenuti video, audio e fotografici visualizzabili sul sito del Castello di Rivoli, che ha promosso l’iniziativa “Cosmo digitale”. Anche il MiBACT si è impegnato a pubblicare regolarmente video di diverso argomento su You Tube, così come Palazzo Strozzi, che ha avviato “Atlante Condominio”, una serie di facili attività da fare a casa con i bambini.
Ma è sui social network che le istituzioni museali si sono sbizzarrite, con la creazione di brevi contenuti video su opere specifiche, come nelle Gallerie Nazionali Barberini Corsini su Facebook, dando anche voce ai curatori delle mostre da poco inaugurate con la rubrica #lepilloledelcuratore, iniziativa simile adottata da Fondazione Brescia Musei con le rubriche “Curator Talks!”, “Opera del mese”, “Musei a domicilio”, “Quante storie!” sia su Facebook che su Instagram. Oppure con la realizzazione di dirette poi salvate sulle stesse piattaforme, per esempio quelle delle Gallerie dell’Accademia di Venezia ad opera degli stessi funzionari del museo, al motto di “Il museo non si ferma!”.
Le Gallerie degli Uffizi sono state il primo museo italiano ad iscriversi al social network cinese Tik Tok, dopo musei stranieri come il Prado di Madrid, il Rijksmuseum di Amsterdam o il Naturkundemuseum di Berlino (si veda l’immagine di copertina).
Anche una pletora di artisti in tutto il mondo ha reagito allo scoppio della pandemia realizzando opere d’arte che hanno per tema il Coronavirus: più di seicento sono state raccolte sul profilo Instagram The Covid Art Museum (CAM), creato dai tre pubblicitari spagnoli Irene Llorca, José Guerrero ed Emma Calvo.
Di natura non prettamente digitale, ma pur sempre considerabile un’opera artistica nell’ambito della presente pandemia è la campagna di sensibilizzazione alle regole fondamentali per diminuire il rischio di contagio voluta dal Ministero della cultura ucraino e affidata all’agenzia di comunicazione Looma. Servendosi di famose opere artistiche come la Creazione di Adamo di Michelangelo, il Figlio dell’uomo di René Magritte, o il Napoleone che valica il Gran San Bernardo di Jacques-Louis David sono stati veicolati importanti consigli, come quello di lavarsi spesso le mani, di mantenere la distanza interpersonale o indossare la mascherina in maniera ironica ma efficace.

Per quanto discutibili possano risultare alcune delle iniziative proposte, certo è che grazie alla produzione di così tanto materiale digitale legato al nostro patrimonio artistico sono stati estirpati molti dei pregiudizi legati all’utilizzo del digitale in ambito culturale. È con questa “resistenza”, avvenuta nelle trincee vuote delle nostre istituzioni museali, che si è portato nelle case degli italiani e non solo, l’interesse nuovo e genuino per le collezioni d’arte, amplificando la necessità di tornare a camminare in quei corridoi e sale che conservano tanta meraviglia.