
Un’indagine eseguita da alcuni ricercatori dell’Università di Cambridge sostiene che nell’ultimo secolo 40 specie di pipistrelli, ospitanti circa un centinaio di diversi coronavirus, si sono spostate inseguendo il loro habitat ideale proprio nella regione cinese dello Yunnan, che si sospetta essere la culla di Sars-Cov-2.
Poiché il cambiamento climatico ha alterato gli habitat, le specie hanno lasciato alcune aree e si sono trasferite in altre, portando con loro i propri virus. Ciò non solo ha modificato le regioni in cui sono presenti questi patogeni, ma molto probabilmente ha consentito nuove interazioni tra animali e virus, aumentando le chance per i microbi di trasmettersi ed evolversi, fino a diventare pericolosi per l’essere umano.
One love, one health, let’s get together and feel alright
Questo susseguirsi di fenomeni ci ricorda ancora una volta il rapporto intimo e delicato tra ambiente, animali e uomo. Come scrive nel suo libro la virologa Ilaria Capua, direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, l’unica strada che abbiamo per non ricadere in una tragedia simile è la consapevolezza che viviamo all’interno di un sistema di cui fanno parte persone, animali, piante e in generale l’ambiente in cui tutti siamo immersi. Non ci sono quindi soltanto gli individui e le comunità, non c’è solo la specie umana da preservare: la salute del pianeta e di tutti i suoi abitanti deve avere pari dignità se vogliamo creare un ecosistema sostenibile, resiliente e longevo. Siamo tutti elementi di un solo sistema, in cui la salute di ogni elemento umano, animale o ambientale è strettamente interdipendente da quella degli altri.
In pratica, è necessario riconoscere che esiste un’unica salute, ovvero One Health: questa visione olistica rappresenta un modello vincente, basato sull’integrazione di discipline diverse, con radici solide sia scientifiche che storiche, purtroppo frequentemente poco conosciute o deliberatamente ignorate.
L’approccio One Health si può considerare alla radice di numerosi documenti di strategia sanitaria proposti dall’OMS. Essi comprendono la dichiarazione di Alma Ata del 1978, la carta di Ottawa del 1986, Salute 2020 del 2012 e la Dichiarazione di Shanghai del 2016. Questi documenti sono stati riconosciuti ufficialmente dalla maggioranza dei ministeri della salute europei, dalla Commissione Europea e da varie organizzazioni internazionali. Sfortunatamente, per volontà politica o per scarsa capacità di progettare un cambiamento con così grande impatto sullo sviluppo e la salute pubblica, queste raccomandazioni OMS sono state spesso disattese o solo parzialmente adottate. La pandemia sta dimostrando il prezzo eticamente ed economicamente insostenibile e ingiustificabile di questa condotta.

L’anello mancante
Che un singolo microrganismo abbia minacciato la salute della specie umana non è una novità: la peste nera che ispirò il Decamerone di Boccaccio è un buon esempio della interrelazione tra animali, uomo e ambiente. L’attore protagonista è un batterio, Yersinia pestis, che fa ammalare i ratti e da questi si trasmette all’uomo tramite una pulce, provocando la peste e colpendo soprattutto gli individui più fragili e i più poveri, in ambienti dalle scarse condizioni igieniche.
I microbi sono anelli di congiunzione tra universi apparentemente indipendenti: la salute umana, la salute animale e la salute, o meglio la salubrità, dell’ambiente. Sono numerosissime le malattie infettive di origine animale che interessano gli esseri umani: tra le zoonosi emerse solo negli ultimi anni possiamo citare l’infezione da HIV, l’Ebola, la SARS del 2003, l’influenza aviaria, la malattia da virus Zika e, ovviamente, la Covid19.
La FAO, l’OMS e l’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (OIE) hanno pubblicato una guida per supportare i vari paesi nella lotta contro queste malattie secondo l’approccio One Health. Più recentemente, l’OMS ha redatto un Manifesto con sei principi per la ripresa post-Covid-19 in linea con l’approccio One Health relativamente all’impatto dell’ambiente sulla salute umana: salvaguardare gli ecosistemi esistenti, garantire l’accesso all’acqua pulita, perseguire una transizione energetica rapida, promuovere sistemi alimentari sostenibili, costruire città sane, azzerare gli incentivi per i combustibili fossili.
In particolare, la deforestazione sembra essere un importante fattore di aumento delle zoonosi a livello globale. Negli ultimi trent’anni sono stati deforestati ben 420 milioni di ettari di terreni, più o meno l’equivalente della superficie dell’intera Unione Europea, gran parte dei quali in aree tropicali. La deforestazione comporta la perdita o sterminio dei predatori e crescita senza limiti delle specie-serbatoio, che, come verosimilmente è accaduto nel caso del Sars-cov-2, potrebbero essere prelevate da queste aree in modo massiccio, vendute nei cosiddetti mercati animali “umidi”, dove è possibile che si verifichi il famoso “salto di specie”.

Una nuova scienza
One Health richiede un nuovo modo di progettare e operare per la salute individuale, collettiva, globale: è necessario che i sistemi di governance, politica in primis, maturino la consapevolezza che ogni scelta su salute umana, salute del mondo animale e vegetale, sostenibilità ambientale, si ripercuote sulle altre.
Sta nascendo una “nuova scienza” ricca di nuove opportunità, una strategia multidisciplinare innovativa in cui risulta prioritario invertire la crescente tendenza alla compartimentalizzazione dei settori, inducendo esperti delle diverse discipline a lavorare insieme. Questo, a seconda del problema da affrontare, vuol dire favorire il coordinamento, la cooperazione e l’integrazione delle misure necessarie per promuovere lo sviluppo, proteggere e migliorare la salute collettiva. Inoltre, è prioritario investire – e mettere “più salute” – in ogni sfera sociale: dall’agricoltura all’edilizia, dalla formazione alla politica, dall’informazione all’economia.
Una massima latina di più di 2000 anni fa, spesso attribuita ad Aristotele, sentenzia che “il medico cura, la natura guarisce”. One Health dovrebbe diventare l’approccio mainstream in ambito di salute pubblica, supportato da una ricerca sempre più interdisciplinare e una governance consapevole a tutti i livelli di decision-making. Alla luce delle lezioni che stiamo apprendendo dalla pandemia da Covid-19, adottare una prospettiva One Health è una necessità non più rinviabile.