Disincentivare il ricorso alle discariche: i rifiuti si trasformano in “risorse”

Il mito dell’efficienza economica ha relegato i rifiuti nell’ombra dello smaltimento in discarica senza preoccuparsi delle conseguenze ambientali e sanitarie. E’ possibile un cambiamento di prospettiva?

Avvertenza: non abbiamo intenzione di tediare alcuno con farraginose interpretazioni giuridiche. Vogliamo soltanto partire dall’assunto secondo cui il sistema normativo spesso rispecchia la considerazione attribuita ad una specifica questione dalla collettività.

Per anni i rifiuti, e più in generale la tutela ambientale, sono stati messi nell’angolo dalla deregolamentazione di matrice neoliberista. L’errore è stato quello di aver lasciato agire le forze di mercato come se le risorse naturali fossero inesauribili, concentrandosi solo sulla crescita economica. Tanto più i rifiuti, elemento finale del processo economico, erano scocciature da rimuovere senza troppa pianificazione strategica.

E’ proprio stata proprio questa mentalità miope ad incoraggiare l’avanzata dell’economia lineare. Cos’è l’economia lineare? In sostanza è un modello che si fonda sullo sfruttamento delle materie prime, sul loro consumo di massa e sul loro smaltimento non appena la loro utilità termina. L’economia lineare, divenuta ideologia dominante, ha fatto sì che ogni cittadino dell’UE, in media, produca 4,5 tonnellate di rifiuti all’anno, per lo più smaltiti nelle discariche. Si tratta di un costo sociale ed ambientale insostenibile.

Per comprendere la piaga dei rifiuti in Italia, bisogna soffermarsi sulla scelta terminologica compiuta dal Legislatore italiano che, recepita la direttiva 2008/98/CE, ha tradotto la valutazione sociale attribuita ai rifiuti. 

L’art. 183 del d.lgs. 152/2006, meglio noto come Testo Unico Ambiente (da qui TUA), definisce come rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi».

Il rifiuto ha qui una carica negativa ed è marchiato da disvalore economico: è un oggetto di cui sbarazzarsi. Il disvalore, come è intuibile nella definizione, è connesso non tanto al bene in sé quanto al valore ad esso attribuito dalle valutazioni dei singoli individui o da imposizioni previste dalla legge. Siamo cresciuti con l’idea che i rifiuti siano fastidiosi, non funzionali e questo non li ha certo resi elementi appetibili per una legislazione razionale e ben articolata. E incertezza legislativa significa libertà d’azione per chi sottovaluta l’importanza della tutela ambientale.

Il punto di partenza decisivo per rovesciare la predetta tendenza è stata riconoscere al rifiuto una valenza positiva. E’ dunque possibile che i rifiuti, oltre che essere un “male”, possano essere anche “risorsa”? La risposta positiva al quesito è stata incoraggiata dall’UE che, al modello economico lineare, ha sostituito il modello dell’economia circolare. Nel maggio 2018 l’UE infatti ha adottato il Pacchetto Economia Circolare per promuovere a livello europeo la circular economy e sovvertire la gestione dei rifiuti. La “circolarità” di questa nuova prospettiva si preoccupa di ogni fase del prodotto e, secondo le stime, dovrebbe assicurare un risparmio netto per le imprese, per i singoli consumatori e per il settore pubblico. I rifiuti da mero scarto diventano così «nuova materia prima nei processi produttivi».[1]

Illustrazione di Marco Sabbia

Per correggere il sistema previgente uno degli strumenti è stato proprio quello di disincentivare il ricorso alle discariche; l’intento è avere, entro il 2035, un conferimento in discarica di rifiuti urbani non superiore al 10%. La riduzione dello smaltimento in discarica concentra l’attenzione sull’aspetto della prevenzione e sul principio comunitario di precauzione, disciplinato nell’art. 181 TFUE. La difficoltà in Italia sarà trovare alternative valide e praticabili tenendo in considerazione il deficit nazionale di impianti di trattamento dei rifiuti e la connessa problematica del turismo dei rifiuti.

Per “turismo di rifiuti” si intende il flusso di rifiuti che parte da aree geografiche non dotate di impianti, a causa dell’assenza di un piano nazionale che limiti la dislocazione geografica degli impianti di smaltimento. Per esempio, Marche e Molise evidenziano significative percentuali di smaltimento di rifiuti extraregionali rispetto a quelli prodotti. Sarebbe opportuno, come osservano numerosi esperti, non lasciare che il principio di autosufficienza dello smaltimento a livello territoriale, introdotto nell’art. 182 bis TUA, resti solo sulla carta. Garantire quindi una gestione locale della produzione e del relativo smaltimento dei rifiuti.

Oltre che attraverso la dotazione adeguata di impianti, la transizione verso un’economia circolare, può realizzarsi se i cittadini si dimostrano consapevoli del proprio potere. No alla deresponsabilizzazione del singolo. Rivendicare la tutela dell’ambiente contro invasivi progetti di discariche può diventare luogo di potenziamento identitario per numerose comunità territoriali. Un esempio rispetto alle discariche è stato il permanente impegno di associazioni, comitati (Basta Veleni, Comitato CODISA, Legambiente) e amministrazioni comunali per vedersi riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa il superamento del «fattore di pressione» per la realizzazione della discarica Castella, nel Comune di Rezzato. Di cosa si tratta? Si tratta di un limite alla realizzazione di nuove discariche in zone vulnerabili e già “stressate” da numerose attività antropiche. Riportando il dispositivo della sentenza del Consiglio di Stato del 3 agosto 2020 n. 4893: «Il giudizio positivo di compatibilità ambientale, sotto questo profilo, appare lacunoso e non adeguatamente rispettoso delle cautele che il principio generale di precauzione esige quando si tratta di realizzare impianti in aree già degradate da fattori di pressione che, combinati insieme, moltiplicano l’effetto di rischio di ciascuno singolarmente considerato».

In sintesi, (ri)assegnare ai rifiuti il significato di risorsa e non più di scarto all’interno del ciclo produttivo è il presupposto per un’inversione di tendenza. Ma, per non lasciare l’economia circolare in balia di discorsi naif o, peggio inconsistenti, il contributo deve essere generale, dalla pianificazione strategica a livello statale fino ad arrivare ad una partecipazione locale dinamica.

[1] Pergolizzi A., Dalla parte dei rifiuti. La governance, l’economia, la società, lo storytelling e i trafficanti, Andrea Pacilli Editore, 2020.

 

Immagine di copertina: Illustrazione di Marco Sabbia

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