
Attrazione magnetica, a ridosso del nero sipario collinare: la Tomba del cane si erge come una marmorea sentinella sui tetti bresciani. Un incantevole monumento neogotico, lungo la via Panoramica, che accalappia gli sguardi rampicanti di chi varca la città.
Adriano Bottarelli, poeta, insegnante e pittore, nato a Bedizzole nel 1924, ci restituisce nella sua raccolta In silenzio un’inedita veduta cittadina. Alla “Tomba del cane” è una poesia che attraversa scorci bresciani pendenti, uno «stelo di richiami» tra i tanti steli verdi in cima ai Ronchi, le colline a nord-est di Brescia:
“quasi fulgido baldacchino
proteso verso l’alto
altare dei Ronchi[1]”
Lì dove il bosco si precipita nell’immediato comune cittadino, a partire da Viale della Bornata, l’antica via di collegamento con il Lago di Garda e il Veneto, la Tomba del cane diviene indiscussa icona panoramica. Le sue guglie bianche, illuminate dai fari notturni, si stagliano tra le sagome nere della Maddalena, risaltando anche nel pieno della notte; da piazzale Arnaldo fino alle torri del Castello, lo spettatore può godere della sua intramontabile luce, solitaria e inespugnabile.

Ma cosa si cela dietro il mistero della Tomba del cane? Perché si chiama così?
Innanzitutto, è interessante notare come anche Adriano Bottarelli, nel suo componimento poetico, si sia attenuto alla vera storia di questo mausoleo, citando i cognomi dei reali committenti:
“s’erge benigna,
per la vita che ferve operosa
ad opera dei signori
Bonomini e Simoni”
La Tomba del cane, infatti, fu edificata nel 1860, su progetto di Rodolfo Vantini, per ospitare le spoglie di Angelo Bonomini e di Giuseppe Simoni, benefattori degli Spedali Civili di Brescia. Proprio Angelo Bonomini, ricco commerciante, titolare di un negozio di seterie, aveva lasciato in eredità l’intero patrimonio all’ospedale bresciano, con un’unica clausola testamentaria. Questa prevedeva l’edificazione di un monumento marmoreo in suo onore, nei pressi della sua proprietà sui Ronchi, in cui egli sarebbe stato seppellito insieme al socio d’affari Giuseppe Simoni, morto qualche anno prima.

La poesia di Adriano Bottarelli, tuttavia, si apre con un indizio inaspettato:
“Torna a fiorir l’altera
tomba senza morti”
L’ «altera tomba senza morti» sarebbe rimasta vuota? Parrebbe proprio di sì. A causa di nuove ordinanze comunali sulle norme di seppellimento, vincolanti ai soli cimiteri pubblici, il mausoleo infatti non accolse mai le due salme. Nel vano centrale sono comunque posti i due sarcofagi vuoti e inutilizzati, con le rispettive iscrizioni dedicatorie. La tradizione popolare vuole che vi sia stato deposto un cane, da cui deriverebbe proprio il nome di “Tomba del cane”. Denominazione che ha quindi dato adito alle più svariate teorie e leggende metropolitane, tutt’ora in voga, anche al di fuori di Brescia.
Per alcuni si tratterebbe dell’animale dello stesso Bonomini, per altri, invece, del cane di una giovane di nome Talita, la quale, insidiata da un ufficiale austriaco, sarebbe stata difesa dal suo fido compagno, ucciso insieme a lei dai colpi di pistola dell’ufficiale. Infine, secondo altre voci, il nome si dovrebbe semplicemente al fatto che, essendo la tomba vuota, non vi sarebbe sepolto “nemmeno un cane”. Soluzione più che ragionevole, per quanto poco avvincente.

«Adriano Bottarelli sembra quasi dipingere quadretti con l’amore di un poeta naïf. Poche pennellate semplici, una tavolozza non vasta, ma colori ben assortiti» queste le parole di Otmaro Maestrini, nella prefazione della raccolta In silenzio, del 1998. Un omaggio al pittore impressionista, ancor prima che poeta, autore di ben diciotto libri di poesia, cultore dell’amata Bedizzole e dei suoi pioppi in fiore. Deceduto il 3 marzo 2008, Bottarelli ci ha restituito un «autentico florilegio» di Brescia e del suo mosaico provinciale.
Un connubio tra poesia e territorio che, oggi più che mai, andrebbe intrapreso e incoraggiato, per un’identità bresciana sempre più consapevole. Rintracciare nella poesia i fondamenti di una civiltà, radicata nei paesaggi e nelle sue architetture, diventa quindi la sfida del lettore che rinuncia ai pregiudizi. Solo così la poesia locale può diventare pretesto di riflessione spontanea, oltre che occasione privilegiata di scoperta, individuale e collettiva.