
L’11 marzo 2021 il collage digitale di cinquemila immagini create da Beeple (pseudonimo del graphic designer e artista Mike Winkelmann) con il titolo Everydays: the first 5000 days, è stato venduto al proprietario del fondo specializzato in arte digitale Metapurse, l’indiano Vignesh Sundaresan. In seguito a due settimane di offerte a Christie’s, a partire da una base d’asta di 100 dollari, l’opera è stata battuta per 69.346.250 dollari (pagati con la crypto moneta di Ethereum), sotto gli occhi attenti di 22 milioni di persone.
Non è la prima volta che un’opera digitale viene venduta a caro prezzo, e per di più affidandosi ad una criptovaluta: un altro famoso precedente è l’iconica GIF animata del Nyan Cat con la sua scia arcobaleno, creata nel 2011 da Chris Torres, a cui è stato associato un NFT, battuto all’asta nel febbraio scorso per 300 Ether, equivalenti a circa 590.000 dollari. Tuttavia, è la prima volta che una casa d’asta, e quindi il sistema d’arte tradizionale, si affida ad una nuova modalità di fruizione e soprattutto di vendita dell’arte stessa.

La modalità di vendita dell’opera di Beeple, che gli ha permesso, tra l’altro, di diventare il terzo artista vivente più quotato dopo Jeff Koons e David Hockney, ha una portata rivoluzionaria e ha aperto un acceso dibattito sulla Crypto art.
Ma che cos’è un NFT? Per NFT art o Crypto art s’intende tutta quell’arte digitale venduta e acquistata tramite gli NFT. L’acronimo che sta per non fungible token indica, appunto, la non fungibilità di quest’arte e si distingue da altre risorse crittografiche interscambiabili come Bitcoin ed Ethereum. Più semplicemente, l’NFT è un certificato elettronico con un codice criptato e la firma dell’artista che prova l’unicità, l’autenticità e la non riproducibilità dell’opera. Esso può essere scambiato ma non riprodotto perché, appunto, criptato su una blockchain (“catena di blocchi” o struttura di dati condivisa e immutabile), rendendo le opere d’arte digitale uniche, seppur per loro natura riproducibili all’infinito.
Attraverso i token, i “gettoni” o informazioni digitali registrate univocamente associate ad uno specifico utente su una blockchain, avvengono tali transazioni: gli artisti intenzionati a vendere opere in NFT devono registrarsi su un mercato o piattaforma apposita e “coniare” (minting) i token inserendo le loro informazioni su una blockchain, che solitamente è di Ethereum, rivale di Bitcoin.
Tale “tokenizzazione” può avvenire in due modalità principali. La più utilizzata è chiamata LRC721 e crea opere uniche perché ad un contratto equivale un solo token (tra gli esempi i Cryptopunks, pupazzetti creati nel 2017 da Larva Labs con l’ausilio di algoritmi, primo progetto di opere in NFT della storia). Se ad un contratto equivalgono più token, la proprietà dell’opera è divisa tra più persone e lo standard di NFT utilizzato è chiamato LRC1155 (come nel caso della serie di Andy Warhol 14 Small Electric Chairs (1980), venduta all’asta dalla piattaforma Maecenas e la crypto art gallery Dadiani Syndicate nel 2018).

Sempre più piattaforme online di vendita stanno nascendo per cavalcare l’onda della Cripto arte, rappresentando un’opportunità per gli artisti indipendenti di ottenere un ricavo maggiore su ogni transazione. Tra le più famose vi sono SuperRare, Rarible, OpenSea, MakersPlace, Snark.art, Nifty Gateway, o blank.art.
È importante specificare che Cripto arte non è sinonimo di arte digitale, poiché quest’ultima esiste già dagli anni Cinquanta con i primi esperimenti di Arte elettronica, seguiti dalla Computer art, New Media art, Pixel art e altre, e non rappresenta nemmeno un movimento artistico, poiché racchiude tutto ciò che in formato digitale può essere scambiato ma non riprodotto perché criptato, compresi video, clip musicali e immagini 2D e 3D. Interessante, per esempio, il caso del dipinto di Banksy Morons, bruciato in diretta YouTube e contemporaneamente venduto sotto forma di NFT dalla società americana di blockchain Injective Protocol a 382.000 dollari. Persino il fondatore di Twitter Jack Dorsey ha convertito il suo primo tweet in un NFT, venduto all’asta per 2,9 milioni di dollari.

La vera novità della Crypto art, quindi, sta nella creazione di uno spazio nuovo di finanziamento degli artisti, libero dal sistema dell’arte tradizionale e capace di auto sostentarsi, senza per questo rappresentare un movimento artistico.
Non è da ignorare il forte impatto ecologico che questo tipo di transazioni crea: la produzione e il consumo sempre più smodati di “beni” attraverso le criptovalute sono alimentati da combustibili fossili che contribuiscono all’emissione di tonnellate di CO2, come denunciato da un articolo dell’artista Joanie Lemercier e dalla ricerca del londinese Memo Atken. I dati affermano che un’unica transazione produce 27,7 Kg di CO2, ovvero la medesima quantità di energia che una famiglia media statunitense produce in due giorni.
Insieme alla questione ecologica ed etica nasce spontanea anche quella estetica, ovvero viene da domandarsi che cosa sia oggi l’Arte: esiste un reale e profondo contenuto culturale o si tratta di mera speculazione finanziaria sotto le vesti di gattini e sgradevoli immagini 3D? Certo è che l’arte è lo specchio della nostra società.