in una stanza senza colori, una figura umana siede accucciata, una vignetta riporta i suoi pensieri come tratti di colore.Da una porta aperta, entrano gli stessi tratti di colore, a rappresentare le influenze esterne.

La privacy online è violata: e la nostra autonomia?

Le Big Tech affinano i tentativi di manipolarci acquisendo i nostri dati personali. Quanto potenti sono queste influenze sulla nostra libertà di scelta?

Dovremmo preoccuparci di essere sorvegliati? Nel 2013, Edward Snowden ha rivelato alla stampa il programma di sorveglianza segreta che consente all’NSA di spiare le comunicazioni di chiunque in tutto il mondo, con la scusa dell’antiterrorismo. Nel 2016, è emerso il ruolo di Cambridge Analytica nell’elezione di Trump e nella vittoria del Leave al referendum sulla Brexit. Un whistleblower ha spiegato come CA raccogliesse i dati personali di ignari utenti Facebook per manipolare le loro preferenze di voto.

Siamo nell’era del capitalismo della sorveglianza, come scrive Shoshana Zuboff. Un’epoca in cui l’innovazione tecnologica e la sua crescente pervasività nella nostra vita sociale, ricreativa e lavorativa sono accompagnate da una costante, seppur impalpabile, violazione della nostra privacy

Se non hai fatto nulla di male, non hai nulla da nascondere – rassicurano i portavoce dell’NSA. Ma davvero le uniche cose che vogliamo nascondere sono eventuali misfatti? Non c’è dell’altro che avrei ragione di voler tenere per me? 

foto in bianco e nero di Edward Snowden e Christopher Wylie
Edward Snowden e Christopher Wylie, il whistleblower del caso Cambridge Analytica.

Partiamo dal concetto di privacy. Possiamo concepire la privacy come una sfera, uno spazio, ad accesso ristretto, previa autorizzazione. Nessuno può entrare in un luogo privato, fisico o virtuale che sia, senza il permesso del proprietario. Tale requisito serve da barriera, cinta muraria, per proteggere ciò che c’è all’interno: custodire informazioni preziose o compiere azioni di cui nessuno sia al corrente.

Il valore della privacy non dipende però soltanto da ciò che gli estranei possono fare con quel che vi è custodito, bensì anche dalla libertà possibile in un campo d’azione protetto dallo sguardo altrui.

Immaginate un adolescente che cerca di emanciparsi dalla presenza di genitori invadenti. Non può far nulla senza dover dare spiegazioni; anche nelle scelte più insignificanti è condizionato dalla consapevolezza di essere controllato. Per essere indipendente, avrebbe bisogno di privacy. Come scrive Kundera ne La vita è altrove: «veramente adulto è solo chi è libero padrone di uno spazio chiuso dove può fare tutto quello che vuole senza essere osservato né controllato da nessuno.»

La privacy consente l’autonomia. Autonomia significa, in greco, “essere regola a sé stessi”, autodeterminarsi; in altre parole, esercitare la propria libertà di scelta nel modo più pieno possibile, sbrigliare la propria personalità da qualsiasi condizionamento. E per questo serve avere a disposizione un luogo protetto dallo sguardo di chicchessia.

Illustrazione a colori: una figura umana siede sola al centro di una stanza
Nella privacy. Illustrazione di Giulia Cutrera @syndiicat

Anche Virginia Woolf riconosceva l’importanza di Una stanza tutta per sé. Sosteneva questa fosse indispensabile per un’aspirante scrittrice. Dolorosamente consapevole dell’interdipendenza di condizioni materiali e spirituali, la Woolf comprendeva che l’esercizio della libertà abbisogna di uno spazio privato tanto fisico quanto interiore, in cui ritirarsi per proteggersi dalle influenze esterne.

Il contesto sociale dell’epoca era sessista e patriarcale: insegnava alle donne a sentirsi e comportarsi come fossero inferiori, le voleva meri specchi per ingigantire l’autostima degli uomini. Costrette a scrivere i loro romanzi in salotto, le prime scrittici moderne faticavano a emanciparsi da tali condizionamenti. La privacy avrebbe consentito loro più libertà: «la serratura alla porta significa la possibilità di pensare senza l’aiuto di nessuno

in una stanza senza colori, una figura umana siede accucciata, una vignetta riporta i suoi pensieri come tratti di colore.Da una porta aperta, entrano gli stessi tratti di colore, a rappresentare le influenze esterne.
Influenze esterne. Illustrazione di Giulia Cutrera @syndiicat

Poter agire inosservati per eludere le influenze sulla propria libertà: questo è tanto più necessario nell’epoca del capitalismo della sorveglianza, che raccoglie i dati personali disseminati online per “profilarci” e personalizzare i tentativi di influenzare le nostre scelte.  

Ogni attività compiuta su internet lascia una traccia: dati anagrafici (età, genere, località, educazione) o informazioni sui contenuti cercati, condivisi, piaciuti. Le Big Tech sanno anche quanto in fretta scrolliamo la home, su cosa ci soffermiamo. Da queste informazioni è facile creare un profilo dei nostri gusti e interessi sulla cui base personalizzare le inserzioni pubblicitarie o propagandistiche – questo è precisamente il lavoro di agenzie di “consulenza politica” come CA. 

Adeguando i contenuti alle nostre preferenze, gli inserzionisti catturano più facilmente la nostra attenzione e ci invogliano più efficacemente a comprare o supportare una certa causa, perché gli esseri umani abbassano la guardia di fronte a ciò che è familiare e propendono per ciò che conferma le loro idee preesistenti. La personalizzazione riduce la dissonanza cognitiva che naturalmente proviamo nei confronti di ciò che è estraneo, mostrandoci contenuti confortanti, affini alle nostre inclinazioni.

Questa pratica è subdola perché cerca di influenzarci sfruttando le “debolezze” della nostra mente e i bias di ragionamento, aggirando le nostre difese, minando la nostra autonomia. È ciò che il marketing ha sempre fatto, ma ora questi tentativi di condizionarci sono assai più raffinati, poiché personalizzati grazie alle informazioni acquisite attraverso la violazione silenziosa della nostra privacy. 

Le pubblicità online sembrano prevedere i nostri desideri e fornire facili soluzioni a bisogni che non sapevamo di avere. Questo non lede forse la nostra libertà nella misura in cui riempie di suggerimenti esterni lo spazio mentale in cui potremmo invece nutrire desideri e progetti autonomi? Riusciamo a sfuggire al potere suggestivo di post creati ad arte per condizionarci?

Immagine di copertina: Illustrazione di Giulia Cutrera @syndiicat

condividi: