
A
lla fine del micro-tour dedicato alla Brescia veneta è stato brevemente nominato un pittore veneziano, Antonio Vivarini, quale autore del Trittico di Sant’Orsola (se non sapete di cosa stia parlando, aggiornatevi qui).
Se vi chiedete chi fosse, dove abbia vissuto, quali altre opere abbia realizzato, …siete nel posto giusto!
Tutto cominciò a Murano, l’isola del vetro
situata a nord-est di Venezia. Il padre di Antonio era un vetraio e per questo le radici di questa stirpe sono su quell’isola.
Il nostro artista, però, si sentiva più affine al pennello che al crogiolo[1] e noi possiamo esserne contenti, poiché ha dato inizio a produzione fertile e di qualità, di cui sono partecipi anche il fratello Bartolomeo e il figlio Alvise.
Non conosciamo il maestro di Antonio, ma sappiamo nomi e opere dei pittori che andavano maggiormente in voga negli anni in cui lui studiava pittura, quindi possiamo ricostruire il suo background culturale. Michele Giambono, ad esempio, si accaparrava un gran numero di committenze e le sue opere, dalle figure eleganti e dai raffinati accostamenti di colore, sembravano manufatti di oreficeria più che di pittura (guardate qui e qui). Anche Jacopo Bellini aveva il suo bel daffare a gestire la bottega di famiglia, che si imporrà nel panorama veneto perché ha saputo sapientemente mediare tra il linguaggio tradizionale e un più “moderno” uso dello spazio (guardate la Madonna con Bambino dell’Accademia Carrara o l’Annunciazione di Brescia).
In questo panorama, Antonio si forma come pittore e attorno al 1440, una volta raggiunta l’autonomia, si costruisce una rete di committenti, che perlopiù sono gli ordini religiosi della Serenissima.
Proprio questo determinerà il linguaggio
della bottega dei Vivarini, che resteranno legati alle pale con scomparti multipli e ai fondi oro fino all’ultimo (cioè finché questi caratteri non saranno out, vergognosamente fuori moda).
Intendo dire che gli ordini religiosi e le parrocchie tendevano a un gusto più tradizionale, non spronavano i propri artisti ad attuare rivoluzioni concettuali vertiginose – al contrario, ad esempio, dei cardinali colti o delle famiglie con interessi umanistici.
Insomma, ho capito che siamo a Venezia, cuore dei commerci del Mediterraneo, ma immaginatevi il parroco di San Pantalón così:
«Ostregheta che barba, sempre tre pezzi di legno con sopra dipinti i Anzoli e i Santi!
Sarebbe possibile, Messer Pittore, dare una visione più unitaria alle schiere angeliche e ai beati?»
Offrendo deliziosi datteri e invitando il suo ospite artista a sedere sul canapé.
No, non ce lo vedo. E non sono l’unica.
Antonio non dipinge sempre da solo
Per i primi dieci anni, lavora con suo cognato Giovanni d’Alemagna, un pittore di cui si conosce con certezza ben poco (praticamente, si sa solo che viene dalla Germania)[2]. In questo periodo realizza perlopiù grandi pale d’altare a scomparti multipli. Un esempio è il trittico raffigurante la Madonna con il Bambino tra i Santi Pietro, Girolamo, Francesco e Marco, databile attorno al 1443.
Guardate le figure dei pannelli laterali, regali ma monolitiche, raffinatissime ma statiche; poi guardate il piedistallo, la balaustra, il grandioso trono. Non vi sembra che lo sfondo sia stato reso in prospettiva (probabilmente perché oramai ci si era abituati a vederlo così), ma le figure siano un po’ “incollate” sopra questo sfondo?
Alla fine, ai nostri piacevano i fondi oro e le sfarzose figure di sapore gotico.

Nei primi anni Cinquanta del Quattrocento, Antonio dipinge con il fratello Bartolomeo: un esempio della loro collaborazione è il Polittico realizzato nel 1450 per la Certosa di Bologna. In alcune figure, qui sotto, si vede che non c’è più quella la stessa difficoltà nel rendere delle figure plastiche, che vivono uno spazio reale, segno dello sguardo più giovane di Bartolomeo; rimane comunque il gusto tutto veneziano delle ancone giganti e super lavorate.

L’intesa tra i fratelli porta meno frutti di quella tra i cognati e nel corso degli anni Cinquanta, fino alla metà degli anni Sessanta del Quattrocento, Antonio e Bartolomeo lavorano ognuno per sé.
L’ultima opera di Antonio è il Polittico di Pesaro del 1464, realizzato per la Confraternita di Sant’Antonio abate della città marchigiana (lo trovate qui).[3] Muore a Venezia tra il 1476 e il 1484, lasciando a Bartolomeo le redini della bottega, dove da poco lavora anche il figlio Alvise.
Cosa ne dite di questa piccola monografia? Scrivete i vostri suggerimenti a echoraffiche@gmail.com !
A presto, ci leggiamo al prossimo articolo!