
Ne La grande cecità: il cambiamento climatico e l’impensabile, l’antropologo indiano Amitav Ghosh ha evidenziato lo sconcertante circolo vizioso relativo alla percezione di questo fenomeno globale, che colpisce tanto le persone quanto i governi. Il saggio, pubblicato nel 2017, si pone sulla scia di altre riflessioni precedenti. Già nel 2011, ne La politica del cambiamento climatico, il sociologo inglese Anthony Giddens aveva rilevato tale patologia ampiamente diffusa attraverso un paradosso, per cui la maggior parte della popolazione non considererebbe seriamente i pericoli prodotti dal riscaldamento globale dato che non si configurano come tangibili, immediati e visibili nel corso della vita quotidiana. Tuttavia, col passare del tempo, questi rischi stanno diventando sempre più palpabili. Dall’aumento della temperatura media dell’atmosfera terrestre alla manifestazione di fenomeni atmosferici estremi, dallo scioglimento dei ghiacciai all’innalzamento del livello del mare, il clima continua a mutare a causa dell’attività umana. Sottolinea Giddens:
Negli ultimi anni, è stata superata una soglia: la maggior parte dei leader politici è oggi consapevole dei rischi posti dal riscaldamento globale e dalla necessità di reagire. Questo però è solo il primo passo: l’inserimento della questione nell’agenda politica. Il secondo passo deve essere il suo radicamento nelle istituzioni e nelle preoccupazioni quotidiane dei cittadini, e qui, per le ragioni appena dette, c’è parecchio lavoro da fare.
Attraverso i contributi di scienziati, politici, attivisti, economisti, filosofi, giuristi e numerosi altri attori sociali, la consapevolezza attorno a questo tema sta aumentando progressivamente, anche a livello popolare. In un sondaggio, promosso dalla Commissione Europea e pubblicato nell’aprile 2019, il 93% degli intervistati considera il cambiamento climatico un problema serio. Il 79% pensa che sia una preoccupazione estremamente urgente, segnando un aumento di cinque punti percentuali dal resoconto del 2017. Ancora, il 60% lo considera una delle sfide prioritarie a livello globale, superiore alla lotta contro il terrorismo e seconda solamente alla povertà, alla fame e alla mancanza di acqua potabile, riscontrando un incremento del 17% rispetto al 2017. Tutti gli altri dati si pongono su questa lunghezza d’onda. Il confronto con lo studio del 2009, quando il cambiamento climatico era considerato il terzo problema più grave del mondo dal 50% degli intervistati, mostra una crescita dell’apprensione ancora maggiore.

Nei primi due articoli di questa rubrica abbiamo messo in luce la nozione di Antropocene, l’epoca storica attuale, caratterizzata dall’enorme impatto delle dinamiche umane sui processi naturali. Il cambiamento climatico può essere considerato l’emblema dell’Antropocene, in quanto fenomeno totalizzante e complesso, che richiede la cooperazione tra più campi disciplinari ed esperti di settori differenti per essere affrontato. Sul piano politico, Giddens parla della necessità di una governance multistratificata in cui integrare i numerosi piani locali a quello internazionale: un’azione portata avanti contemporaneamente da Stati, enti e persone, dall’alto così come dal basso. Evidentemente, affinché ciò avvenga, è indispensabile promuovere una corretta informazione attorno al tema.
Eppure, col moltiplicarsi dei dibattiti e delle iniziative, si ha l’impressione di essere entrati in un circolo vizioso, caratterizzato dalle solite questioni di ordine generale, in cui le discussioni restano intrappolate. In particolare, verso una tematica niente affatto ideologica ed estremamente concreta, c’è troppa ideologia e poca concretezza. Affrontare il cambiamento climatico presuppone una grande preparazione. Se da un lato è comprensibile che la maggior parte delle persone voglia avere un’opinione in merito a un problema così attuale, dall’altro è totalmente errato e dannoso per la società credere di potersi esprimere senza avere gli strumenti e le conoscenze per farlo. Piuttosto si dovrebbero sviluppare le proprie convinzioni partendo dalle analisi degli esperti, dei tecnici, di coloro che impiegano risorse di ogni tipo per analizzarne le caratteristiche. Questo non significa accettare passivamente le loro elaborazioni, ma richiede di sviluppare il proprio senso critico da qualcosa di fattuale. Nessuna tecnocrazia o complottismi vari, insomma.

Da dove incominciare dunque? Un ottimo punto di partenza per comprendere il cambiamento climatico è rappresentato dai rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il foro scientifico delle Nazioni Unite fondato nel 1988. Quest’ente si basa sulla partecipazione di scienziati da tutto il mondo e rappresenta l’organismo più autorevole impegnato nel monitoraggio del fenomeno. Di fatto, l’IPCC non conduce ricerche proprie, ma valuta le migliaia di studi scientifici pubblicati ogni anno, fornendo una sintesi complessiva delle cause, degli effetti e dei rischi futuri del cambiamento climatico, attraverso l’elaborazione di cospicui rapporti. Dal 1990 ne sono stati redatti cinque, mentre il sesto è in arrivo tra il 2021 e il 2022. Prossimamente ripercorreremo quello più recente.