Un secolo, quattro generazioni di donne: Le quattro ragazze Wieselberger di Fausta Cialente

Trieste, come luogo d’origine e di ritorno. Una memoria personale che si innesta con la storia d’Italia e diventa dunque memoria collettiva.

Lequilibrio è un elemento fondamentale in un libro: se, scorrendo tra le pagine, ci si sente immersi tra emozioni e fatti quasi tangibili, si può dire di aver trovato uno scrittore o una scrittrice. Fausta Cialente è una fra queste, seppur quasi sconosciuta alla maggior parte dei lettori e poco ricercata tra gli scaffali delle librerie. Nel 1976 vince il premio Strega per Le quattro ragazze Wieselberger, pubblicato da Mondadori e ristampato nel 2018 dall’editore La Tartaruga.

Fausta Cialente, al premio Strega 1961 (immagine tratta dall’archivio luce)

In questo romanzo è possibile non solo scoprire le origini della famiglia dell’autrice ma anche immergersi nella storia di un’Italia che cambia, in un arco di tempo molto ampio, tra la fine del IXX secolo e la fine del XX. È dunque una memoria personale che diventa memoria collettiva, capace di far immergere il lettore nelle dinamiche di una famiglia complessa, culturalmente e caratterialmente, in cui la genealogia femminile ha un ruolo fondamentale.

L’autrice sente di condensare in sé stessa due contesti e due luoghi estremamente differenti, che spesso sono posti in antitesi e accumunati solamente dal mar Adriatico: Trieste, città cosmopolita e culturalmente attraente e luogo d’origine della famiglia della madre, i Wieselberger, e l’Abruzzo, terra d’origine del padre, ufficiale del Regno d’Italia. Cialente mostra le contraddizioni di entrambi i contesti, focalizzandosi, nella prima parte del romanzo, sulle vicende delle quattro sorelle Wieselberger, tra cui vi è la stessa madre, Elsa, evidenziando spesso l’adesione acritica della famiglia materna all’irredentismo.

Veduta del Porto di Trieste (immagine da sito)

La seconda e la terza parte del romanzo si focalizzano sul cambiamento drastico di Elsa, da una vita borghese, agiata e libera, al matrimonio con Alfredo Cialente, ufficiale dell’esercito, uomo glaciale, fortemente antimonarchico e anti-italiano. Questa tensione familiare influenza la vita di Fausta e del fratello, costretti a viaggiare in continuazione, senza la possibilità di costruirsi radici profonde. Tra la dichiarazione della guerra in Libia e la prima guerra mondiale, dalle sensazioni del dopoguerra al secondo conflitto, l’analisi di Cialente continua in un equilibrio profondo che ripercorre quegli eventi, oltre agli strappi che la Storia ha provocato nella famiglia Cialente.

È una vita costituita dunque da un equilibrio precario, con una difficoltà di costruzione di una identità solida, come spesso accade per una donna nata a ridosso di un secolo così complesso. Ed è proprio sulla costruzione della propria identità che il romanzo si focalizza nella quarta e ultima parte. Quella di Fausta Cialente è una vita imprevedibile e avventurosa, agli occhi del lettore, e che, dopo il matrimonio con Enrico Terni, si trasferirà ad Alessandria d’Egitto, dove si occuperà di informazione antifascista per radio Cairo. Non si sentirà mai pienamente italiana, né pienamente emigrata, ma sentirà di non avere radici:

«La Resistenza era stata, certo, una bellissima pagina che qualche speranza aveva suscitato in tutti noi, e col nostro giornale l’avevamo esaltata il più possibile; ma era una pagina soltanto, e per di più era stata condotta da una minoranza, proprio come da una minoranza era stato fatto il nostro Risorgimento su cui ancora oggi si discute, illuminandone gli angolini. Le pagine che in seguito si sarebbero lentamente voltate sotto i miei occhi durante anni, non ebbero proprio nulla che potesse esaltarmi o confortarmi; così, a freddo, facevo del giornalismo con ben poco convincimento […]. Dovevo ogni tanto ripensare a mio padre quando aveva detto all’avvento del fascismo: «siamo un gran popolo di cialtroni», continuavo a non dargli ragione, ma il comportamento, o meglio il costume degl’italiani è quasi sempre tale che ho quasi sempre voglia di andarmene, e non perché “fuori” io trovi gran che di meglio, ma essendo fuori non vedo e non sento.»[1]

Fausta Cialente (Immagine tratta da sito)

Questo flusso di vite che si intrecciano non si ferma e coinvolge anche la quarta generazione femminile di questa storia, Lily, la figlia che Fausta raggiunge in Kuwait. Il romanzo si chiude con un’immagine che condensa i punti cardine dell’opera: il litorale, elemento geografico innestato nelle vite delle protagoniste, rimembra nella mente di Fausta il proprio passato e quello delle generazioni precedenti, travolto da errori ed amarezze, con la speranza che le donne del futuro possano avere maggiore consapevolezza ed aggrapparsi ad un costante presente:

 «Queste care figure che mi camminano davanti sono proprio mie, pensavo guardandole con tenerezza; erano un me stessa sdoppiato […]. Sapevo di amarle profondamente, e siccome il mio non era un sentimento nuovo, doveva essere dunque un risveglio. Ma perché un risveglio? E proprio allora? Ch’esse rappresentassero per me la continuità della vita poteva essere solo un severo richiamo alla realtà, una sensazione dovevo responsabilmente accettare, dopo averla riconosciuta; ma quasi non bastasse, e mentre così le seguivo amandole, mi venne improvvisamente un altro pensiero, o forse un presentimento, ch’era pure un angoscioso sospetto: se mi volto, non vedrò forse mia madre camminare dietro di noi, anche lei su questa spiaggia? È possibile che sia lì a seguirci e a volerci ancora bene? Non mi volto, naturalmente, non voglio vedere la spiaggia deserta alle mie spalle, né se l’ultima delle triestine Wieselberger ci sta davvero seguendo […]. Forse questo è il suo messaggio, ed è venuta fin sulle rive del Golfo Persico a portarcelo: vi voglio ancora bene, ma lasciatemi in pace, adesso, e pensate a vivere sbagliando il meno possibile. Noi abbiamo tanto sbagliato»[2].

[1] Fausta Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger, Milano, Mondadori, 1978, p. 240
[2] Fausta Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger, Milano, Mondadori, 1978, pp. 262-263.
 
Immagine di copertina: Fausta Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger, Milano, Mondadori, 1978.

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