Uno Non Basta: questo appello ci riguarda tutti

Può la generazione cresciuta a stage non retribuiti ed incertezza occupazionale rivendicare maggiore attenzione dalla classe politica? Angelo Tarditi, responsabile della comunicazione di Visionary Days, ci introduce alla petizione online di Uno Non Basta che chiede al Governo di destinare 20 miliardi del Recovery Fund ai giovani.

Premessa necessaria: la Commissione Europea, preso atto della preoccupante crisi economica e sociale provocata dall’emergenza sanitaria, con comunicazione del 27 maggio 2020, è intervenuta presentando un progetto di ripresa economica europea. Dopo aver sottolineato la necessità di un’azione tempestiva e coordinata, ha sviluppato due proposte.

Da un lato, un quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027, orientato verso una transizione verde e digitale ed un riassetto del mercato del lavoro e, dall’altro lato, uno strumento europeo di emergenza per la ripresa, denominato “Next Generation EU”. L’interesse, ai nostri fini, deve concentrarsi su quest’ultima misura, di natura straordinaria e dalle tempistiche più accelerate. Infatti, per accedere a questi fondi, che per l’Italia sarebbero di 196 miliardi, gli Stati Membri devono presentare all’Europa il proprio Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) entro il 30 aprile 2021.

La Commissione, mater dulcissima, fin dalle prime righe della comunicazione di maggio, ha specificato che «l’UE deve progredire collettivamente per riparare i danni causati dalla crisi e per preparare un futuro migliore per la prossima generazione». Ad una prima lettura delle bozze del PNRR, predisposte dal Governo italiano, la nozione di “Next Generation”, tanto cara all’Europa, è diventata di rilevanza pressoché marginale. L’importo corrente, destinato alle politiche giovanili, è di circa l’1,1% delle risorse, cifra che tradisce l’intento comunitario di allargare le opportunità occupazionali dei giovani.

A fronte di questo magro investimento, c’è chi non ha voluto opporre il nudo silenzio di una generazione che, in Italia, ha una disoccupazione giovanile pari al doppio rispetto alla media europea. Visionary days e Officine Italia, due realtà giovanili non-profit e apartitiche, ne sono un esempio inequivocabile. Ricorrendo ai piani di rilancio di Stati come la Francia, che con il suo France Relance, ha stanziato circa 15 miliardi – dei 100 miliardi del piano nazionale – a sostegno della popolazione giovane, hanno promosso online la petizione #UnoNonBasta per ovviare alle discutibili scelte governative sulla suddivisione dei fondi del Recovery Plan.

Le richieste di Uno Non Basta all’interno della petizione su Change.org

Nonostante l’impossibilità delle tradizionali manifestazioni di piazza, Uno Non Basta il 14 gennaio ha proiettato sui muri cinquecenteschi di Palazzo Chigi un avvertimento mirato “chi non investe nei suoi giovani non ha futuro”, risvegliando il sopito dialogo con la classe politica. L’azione ha avuto gli esiti sperati: Vincenzo Amendola, Ministro degli Affari europei, ha incontrato i ragazzi di Uno Non Basta per esaminare le loro proposte di investimento dei fondi europei e – notizia delle ultime ore – Uno Non Basta è stato chiamato in audizione in Commissione Bilancio e Commissione Cultura (è possibile consultare il loro Position Paper, documento dettagliato dove sono descritte misure concrete per definire un assetto idoneo ad occuparsi della questione giovanile).

L’azione di Uno Non Basta proiettata su Palazzo Chigi

Troppo giovani per strutturare delle richieste valide? Non sufficientemente qualificati per poter rivedere un progetto governativo? Queste le prevedibili obiezioni che possono venir mosse ad un movimento di giovani neolaureati. Obiezioni che devono essere immediatamente smentite attraverso un’agevole riflessione sulla generazione di Uno non basta.

Anzitutto siamo la generazione, nata fra gli anni ’80 e ’00, che più ha investito – dilapidato sarebbe un’espressione troppo brutale – per assicurarsi uno spiraglio occupazionale attraverso master a prezzi inaccessibili, tirocini non retribuiti, sovvenzionati de facto dalle famiglie d’origine, e corsi iper-specializzanti difficilmente spendibili. Uno non basta ne è ben consapevole: manca coordinamento concreto fra formazione universitaria e tessuto produttivo e, proprio per questo, uno dei capisaldi delle loro richieste è proprio quello di strutturare un dialogo permanente con il mercato del lavoro. Per esempio impiegando 210 milioni di euro in veri e propri uffici di collocamento universitario, creando percorsi di formazione in ambito di transizione energetico-ambientale e innovando Garanzia Giovani per migliorare qualitativamente apprendistato, servizio civile e tirocini.

Una lettura approssimativa di queste misure potrebbe interpretarle come tentativo di sostituire, al processo di formazione individuale, una formazione vincolata alla sola morsa del mercato. Ma, a ben vedere, la questione si declina in altri termini. A questa critica soccorre uno dei principi base – assieme a sostenibilità ambientale, produttività e stabilità macroeconomica – che Uno non basta ha fissato con lucidità nel Position Plan: equità. Parametro che rivendica giustizia distributiva e che allontana la distribuzione schizofrenica – fino ad oggi ammessa – delle risorse, attraverso strumenti ad hoc che tengano assieme un solido sistema formativo e una costante attenzione al mercato del lavoro. Altrimenti, l’asimmetria fra sistema educativo ed economico rimarrà un problema inevaso, di natura strutturale, che continuerà ad incidere sul 40% della disoccupazione giovanile in Italia.

Carmelo Traina, presidente di Visionary Days, durante l’azione di gennaio

Altra questione drammatica, che trova riscontro concreto nei dati, è che, purtroppo, la ricerca del lavoro per i giovani in Italia avviene nei circuiti familiari. L’80% dei giovani disoccupati sotto i 30 anni, per trovare un’occupazione lavorativa, si rivolge a parenti e conoscenti, mentre soltanto un esiguo 1% si avvale dei canali istituzionali. Queste percentuali sono tutt’altro che incoraggianti. Un’introduzione privilegiata, ma comunque “forzata”, nel mondo del lavoro, nella maggior parte dei casi, genera sfiducia nell’efficienza statale ed insoddisfazione personale. Come già nel 1835 scriveva un giovane studente «dignità può conferircela solo quella professione nella quale non abbiamo funzione di strumenti servili, ma dove, nel nostro ambito, possiamo creare autonomamente»[1].

E’ accettabile che, dopo anni di super-specializzazione, di accumulazione di conoscenze più che altro teoriche, il tutto si esaurisca in stagnanti compromessi che escludono del tutto un margine di gratificazione individuale? I ragazzi di Uno Non Basta, proprio perché cresciuti da un sistema universitario poco professionalizzante e molto teorico, sono qualificati a sufficienza per avanzare pretese attraverso lo studio comparato di più fonti e documenti. E non solo. Hanno il dovere di avvalersi della propria qualificazione per interrompere la retorica che condanna la nostra generazione ad un tramonto prematuro.

Sebbene contrariati rispetto alle politiche giovanili attuali, i ragazzi di Uno Non Basta hanno voluto incoraggiare un dialogo con gli esponenti politici, senza riguardo a schieramento politico o sociale. Del resto, la loro battaglia non è politica, è generazionale.  Gli venga riconosciuto: la snowflake generation ha saputo accogliere il proprio diffuso sentimento di disappunto e, da questo, ha strutturato, in tempi di emergenza sanitaria e di crisi di governo, un movimento coordinato per chiedere di destinare alle fasce giovanili non l’1% ma piuttosto il 10% delle risorse totali.

Sia ben chiaro: l’impulso dato da Uno Non Basta non deve circoscrivere il suo raggio d’azione ad una petizione di giovani per i giovani. Facilitare l’ingresso dei ragazzi nel mondo del lavoro deve essere terreno d’intervento sinergico di giovani ed adulti e, proprio per questo, Uno Non Basta è un’iniziativa che pretende di essere inclusiva. «Anche se alcuni vorrebbero guadagnarsi la comoda posizione di chi giudica senza intervenire, il non intervento è oggi impossibile. Non potete dire: «questa cosa non mi riguarda». La cosa vi riguarda eccome»[2].

Per firmare e sostenere la petizione di Uno Non Basta clicca qui mentre, per avere maggiori informazioni, consultare il loro sito e la loro pagina instagram.

 

[1] Karl Marx, Considerazioni di un giovane in occasione della scelta di una professione, a cura di Marco Cingoli, Unicopli, Milano, 2018.
[2] Albert Camus, Questa lotta vi riguarda, corrispondenze per Combat 1944-1947, Bompiani, Milano, 2018.
 
Immagini presenti nell’articolo: fotografie di Sara Sabatino 

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