Caravaggio e la Cappella del Santissimo Sacramento in San Giovanni a Brescia

Qual è il collegamento tra una sconosciuta cappella nel centro della città di Brescia e Caravaggio? C’entrano forse le influenze di Moretto e del Romanino?

In contrada San Giovanni, nel cuore del quartiere del Carmine, sorge l’omonima chiesa, poco conosciuta, ma estremamente importante per la storia della nostra città. Nella navata sinistra, scarsamente illuminata e spesso chiusa da una cancellata, c’è la cappella del Santissimo Sacramento. La sua decorazione venne commissionata il 21 marzo 1521 dalla Scuola del Corpo di Cristo, una delle più importanti congregazioni laiche della città e rilevante centro della riforma cattolica, a Gerolamo di Romano detto Romanino e Alessandro Bonvicino detto il Moretto, ovvero i due principali pittori bresciani del Rinascimento.
Considerato il motivo dell’istituzione della confraternita nel 1493, di ovviare alla trascuratezza in cui era tenuta l’Eucarestia nelle chiese, il tema del ciclo pittorico si lega, appunto, al sacramento della comunione: sulla parete sinistra della cappella sono posizionate le grandi tele di Romanino con la Resurrezione di Lazzaro, la Cena in casa del fariseo con ai lati l’Evangelista Matteo e l’Evangelista Giovanni, mentre la lunetta in alto rappresenta la Disputa del Sacramento attorniata nell’arcata da Isaia, Ezechiele, Zaccaria, Malachia, Mosé e Abacuc.

Il lato sinistro della cappella del Santissimo sacramento affrescato da Romanino
nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Brescia

Di fronte, nella parete destra, le opere maggiori del Moretto sono il Sonno di Elia e la Raccolta della manna con ai lati i più piccoli Evangelista Marco ed Evangelista Luca, sormontati dalla lunetta con l’Ultima cena e David, Geremia, Daniele, Aggeo, Michea e Osea nell’arcata (si veda l’immagine di copertina). Al centro della cappella, sull’altare, è invece posizionata una pala di Zenale e un lunotto di un Moretto appena anteriore.
Dunque, dal 1521 al 1524, secondo gli unici documenti noti datati, o forse fino agli anni quaranta del Cinquecento, se si considerano gli elementi di divario stilistico, si affrontarono un pittore avviato alla maturità e con già importanti esperienze artistiche alle spalle, Romanino (1485-1566), e un giovanissimo artista alla sua prima rilevante opportunità, Moretto (1498-1554).

Se la critica ha spesso giudicato gli sforzi congiunti dei due pittori come troppo provinciali o frutto di meri influssi esteriori, segnatamente della pittura veneta, vi stupirà scoprire che uno dei più grandi e originali storici dell’arte italiani, ovvero Roberto Longhi (1890-1970), a cui si deve, tra le altre cose, il merito di aver riconosciuto l’importanza e l’apporto rivoluzionario di un grande e oggi famosissimo artista, quale Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, abbia visto proprio nei pittori bresciani i precursori di quello stile luministico e naturalistico tipicamente caravaggesco. A questa scuola bresciana dei primi decenni del Cinquecento – esaltata dallo stesso critico come «forse la più ricca d’intelligenze e ricerche quasi secrete che vanti in quel tempo l’Italia settentrionale»[1] e invece considerata da tanta letteratura anteriore, e ancora attuale, come meramente appartenenti allo “stuolo dei Tizianeschi” anziché degna di una propria peculiarità locale che fonda le sue radici in Vincenzo Foppa (1430-1515) – va ricondotta l’origine dell’imprinting culturale che segnerà Caravaggio lungo tutta la sua carriera pittorica.

Per capire tutto questo è importante osservare degli esempi reali, che abbiamo la fortuna di trovare proprio nella cappella del Santissimo Sacramento in San Giovanni Evangelista. Non è difficile credere che Michelangelo Merisi, lombardo, abbia ammirato con grande attenzione le tele qui presenti, per esempio l’Ultima cena del Moretto, in cui alcuni atteggiamenti dei personaggi, come il gesto meditativo dell’apostolo in preoccupata osservazione con la fronte corrucciata e la testa appoggiata alla mano, o i numerosi dettagli della tavola imbandita sono «vero e proprio esempio di quel naturalismo profondo ma accostante che sarà all’origine, con una carica senz’altro più sovversiva, della rivoluzione pittorica di Caravaggio»[2], così bene descritta nella grande mostra curata da Longhi a Milano nel 1953 dal titolo I pittori della realtà in Lombardia (qui un bel video d’epoca). O ancora, la scena della Cena in casa del Fariseo di Romanino, illuminata da luce laterale proveniente da una finestra è quasi la prefigurazione della caravaggesca Vocazione di San Matteo.

Sopra la Cena in casa del Fariseo di Romanino nella cappella del Santissimo sacramento nella chiesa di San Giovanni a Brescia e sotto la Vocazione di San Matteo di Caravaggio nella chiesa di San Luigi dei Francesi di Roma

Da ultimo, possiamo confrontare i forti contrasti luministici del San Matteo e l’Angelo di Caravaggio con l’accentuato chiaroscuro o “finto di notte” reso nell’Evangelista Luca ed Evangelista Matteo rispettivamente di mano di Moretto e Romanino.

Da sinistra l’Evangelista Matteo di Romanino nella Cappella del Santissimo Sacramento a Brescia, il San Matteo e l’Angelo di Caravaggio in San Luigi dei Francesi a Roma e l’Evangelista Luca di Moretto nella medesima cappella bresciana

Quest’ultimo artista è stato, per altro, tanto ammirato dal regista e scrittore Pier Paolo Pasolini, che il 7 settembre 1965, in occasione di un dibattito su Romanino tenutosi a Brescia per la mostra monografica che la città dedicava al suo pittore, con interventi di Ernesto Balducci, Gian Alberto Dell’Acqua, Renato Guttuso, Guido Piovene, Franco Russoli, pronunciò queste parole: «L’eclettismo non è mai drammatico, non è mai profondamente contraddittorio e invece il Romanino è continuamente drammatico e soffre continuamente la contraddizione ed ha continuamente coscienza degli abbandoni e delle riprese di motivi stilistici diversi. Inoltre l’eclettismo si svolge sempre dentro un ambito culturale preciso ed è l’imitazione di quelle che Barthes chiama le varie scritture di un contesto culturale, mentre l’eclettismo del Romanino è infinitamente più complesso, cioè non si svolge dentro un ambito culturale, ma va o prima o dopo questo ambito culturale cioè o è ritardatario o è anticipatore, come dicevano prima sia Piovene che Guttuso, cioè il suo eclettismo si svolge nel tempo fino a dei momenti arcaici gotici, nel futuro fino addirittura a prevedere e a prefigurare il Caravaggio» (il discorso completo lo trovate qui).

Non a caso, Pasolini fu a sua volta allievo di Longhi a Bologna, imparando senz’altro ad apprezzare quel marcato naturalismo caravaggesco, la rappresentazione di semplici contadini o mendicanti come attori dei propri dipinti. Suggestione confermata dalla curiosa associazione attuata da Vittorio Sgarbi nella sua mostra Caravaggio. Il contemporaneo (MART di Rovereto, 9 ottobre-14 febbraio 2021) dove i Ragazzi di vita descritti dallo scrittore bolognese sono confrontanti con quelli dipinti dall’artista milanese: «A Roma, lo scrittore praticava la sua omosessualità nel completo anonimato, nelle borgate, con uomini identici a quelli ritratti da Caravaggio secoli prima, nella stessa città. L’Amore vincitore di Caravaggio assomiglia in modo impressionante a Pino Pelosi, l’assassino di Pasolini»[3].

[1] Roberto Longhi, Cose bresciane del cinquecento, 1917, p. 99.
[2] Mauro Pavesi, La cappella del Sacramento a San Giovanni: Romanino e Moretto a confronto, in Duemila anni di pittura a Brescia, 2007, p. 288.
[3] https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/caravaggio-incontra-pasolini-storia-due-ragazzi-vita-1895174.html
 
Immagine di copertina: Il lato destro della cappella del Santissimo sacramento affrescato da Moretto nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Brescia

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