
Nella Grande Mela si sta giocando in questi giorni la sorte del polmone verde del pianeta, o meglio, di una porzione di esso: il tratto di foresta amazzonica della regione di Oriente, in Ecuador, ha urgente bisogno di procedure di risanamento, in seguito alla pluridecennale contaminazione da petrolio per mano di Chevron-Texaco, ma la multinazionale statunitense ha messo in campo ogni risorsa legale (e non solo) per ostacolare il processo, in corso dal 1993.
La catastrofe, già denunciata nel 1991 con la pubblicazione dell’inchiesta Amazon Crude di Judith Kimerling, non è solo ambientale: i pozzi petroliferi della Texaco (dal 2001 parte del gruppo Chevron), hanno contaminato, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, 4400 km² di foresta pluviale, riversando sul territorio 70 miliardi di litri di rifiuti tossici, tra petrolio grezzo e liquidi di scarto. L’impatto sulla salute degli abitanti di Oriente, dimora dei popoli indigeni Kofànes e Siona, continua ad essere devastante: la popolazione del cantone di Lago Agrio, al confine con la Colombia, per esempio, soffre di numerosi disturbi anomali, in particolare tumori, e diversi studi collegano direttamente le incidenze all’esposizione al petrolio.
Nonostante nel 2011 tre tribunali ecuadoriani, compresa la Corte Nazionale di giustizia, abbiano dichiarato Chevron colpevole dei danni, assegnando alle famiglie colpite un risarcimento di 9 miliardi di dollari, la compagnia si è rifiutata di pagare la cifra e ha ripiegato su attacchi individuali contro i singoli avvocati dell’opposizione. Tra questi, Steven Donziger.

Fonte: New Yorker
Donziger, nato in Florida e residente a New York con moglie e figlio, è agli arresti domiciliari da un anno e mezzo – dal 6 Agosto 2019; l’avvocato, la cui posizione è monitorata 24h al giorno da una cavigliera elettronica con GPS, è accusato da Chevron di corruzione e ‘mancata collaborazione’ nelle indagini sulla sua persona nel corso degli anni, a partire dal 2011. Dal 2018 non può più praticare la libera professione né a New York né a Washington DC; l’accusa di corruzione vedrebbe il coinvolgimento di Donziger nella stesura dei report scientifici che dimostrano la colpevolezza di Chevron, mentre i 6 capi d’accusa per oltraggio criminale si fondano sul suo rifiuto di rendere pubblico il contenuto del suo pc, del suo telefono e dell’intera documentazione sul caso.
Il 4 marzo di quest’anno, un tribunale federale di New York ha stabilito che le prove portate contro Donziger sono inconsistenti, pertanto le ha rifiutate; tuttavia, dovrà rimanere sotto arresto. La corte d’appello ha inoltre annullato la richiesta di Chevron per un risarcimento in danni di 4 milioni e una sanzione di 660.000 dollari da parte di Donziger. Il processo presieduto dal giudice distrettuale Preska, è ancora in corso e vedrà ulteriori aggiornamenti questa primavera.
Il 15 marzo, in un’intervista a Democracy Now!, Donziger ha confessato la sua amarezza per una pena che, a suo dire, “non riguarda la sua persona. Concentrando l’attenzione [mediatica e giuridica] su di me, Chevron sta ridicolizzando il caso. Piuttosto, è importante parlare di chi sta soffrendo davvero, laggiù in Ecuador.”

Background: Chevron vs FDA, UDAPT e Amazon Watch
Donziger iniziò a interessarsi allo scandalo Texaco nel 1993, quando, recatosi di persona sul posto, ebbe modo di osservare gli effetti delle trivellazioni sul suolo, sulle piante, sugli animali e sugli abitanti di Nueva Loja. La piccola cittadina al centro di Lago Agrio nacque negli anni Sessanta proprio come insediamento petrolifero.
Ben presto, Donziger decise di affiancare prima l’FDA (Fronte per la Difesa dell’Amazzonia), poi l’UDAPT (Unione delle Vittime di Texaco) nella causa legale contro Texaco; la causa fu vinta nel 1996, ma la bonifica dei terreni rimase incompleta.
Il documentario Crude di Joe Berlinger e la videoinchiesta di Empire Files, entrambi reperibili su YouTube, illustrano dettagliatamente le modalità di smaltimento di scorie impiegate da Texaco (344 pozzi, 1200 fosse riempite), antiquate e fuori norma nella maggior parte dei Paesi, eppure consentite dal governo ecuadoriano tra il 1965 e il 1990. A queste tecniche, c’è da aggiungere l’opera di ‘risanamento’, che si rivelò essere una semplice copertura delle fosse inquinate. I residenti, appartenenti a numerose etnie, tra cui Siona, Siekopai, Kofànes e Kichwas, vivono tuttora in case costruite sul suolo impregnato di petrolio; l’acqua dei fiumi circostanti, risorsa primaria per il loro sostentamento, è ricoperta da una patina oleosa e così lo è anche la pioggia.
Donziger e l’avvocato ecuadoriano Pablo Fajardo, in quanto rappresentanti di 30.000 abitanti indigeni, hanno lottato duramente per recuperare il territorio e garantire un risarcimento adeguato alle vittime del disastro, anche se gli effetti più gravi, come le malattie e i decessi per cancro provocati dal contatto prolungato con il greggio, non sono certo rimediabili nel breve termine, specialmente in assenza di infrastrutture sanitarie. A loro si è unito anche Paul Paz y Miño, direttore associato dell’organizzazione attivista Amazon Watch.

Fonte: sito del governo ecuadoriano.
Chevron continua a negare la correlazione cancro-petrolio, pur ammettendo la propria responsabilità per l’inquinamento dell’area. Tuttavia, non intende pagare il risarcimento imposto dall’Ecuador – inizialmente 18 miliardi – e ripiega su strategie legali di tipo diffamatorio, come quella di cui è vittima Steven Donziger. Le SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation), di cui si era parlato anche in riferimento al caso Assange, sono procedure volte appositamente a contrastare il potere di associazioni minori o singoli privati.
Ad oggi, in Ecuador le trivellazioni continuano; il caso Chevron ha ottenuto un verdetto in tribunale e ha ritirato le proprie azioni dal mercato ecuadoriano, ma le altre compagnie petrolifere continuano a disboscare e contaminare, anche nell’interesse della stessa Repubblica dell’Ecuador, le cui esportazioni sono costituite per il 40% proprio dal petrolio.
Nel mondo, Chevron è presente in più di 180 Paesi. In Italia, i 1.700 impianti di distribuzione di Chevron Oil confluirono nella Rete ERG nel 1986, ma attualmente rimangono attivi punti vendita di prodotti Chevron (lubrificanti, carburante per navi) in molti porti industriali della penisola – la mappa interattiva permette di vedere dove.
Non si tratta dell’unica multinazionale responsabile di violazione dei diritti umani e ambientali; Chevron è la punta di un iceberg immenso e ben solido, che può contare sull’appoggio politico dei governi e su quello giuridico dei tribunali, se manipolati nel modo giusto.
Sofia è mia amica e si è trasferita in Italia dall’Ecuador più di dieci anni fa: “i soldi si guadagnano, si perdono, si recuperano; l’Amazzonia e le sue 400 tribù autoctone, le loro lingue e le loro culture, no. Una volta estinte, non si potrà più tornare indietro. Quello di Lago Agrio non è stato un incidente, come nel caso della Exxon Valdez in Alaska: è distruzione puramente volontaria e sistematica di un habitat unico al mondo”.
