
La psicoanalisi nasce proponendosi come metodo scientifico di indagine, paradossalmente volto alla conoscenza di ciò che sfugge alla diretta osservazione: l’inconscio.
L’inconscio, ci dice Freud, è conoscibile solo attraverso i suoi derivati quali il sogno, i lapsus, gli atti mancati, i sintomi: tutti eventi non producibili coscientemente. Per questo, per la sua talking cure, come viene chiamata la psicoanalisi, Freud ha inventato il metodo delle libere associazioni, da subito innalzato a regola fondamentale della psicoanalisi: istruendo il paziente a parlare liberamente, senza tacere né omettere nulla e senza preoccuparsi di seguire un filo logico o cronologico in ciò che dice, è possibile eludere la censura della coscienza, e far emergere contenuti rimossi dell’inconscio.
Il proposito è quello di smarcarsi dalla censura e dalle difese psichiche che, ponendosi a salvaguardia dei contenuti inconsci, contribuiscono ad erigere la personalità del soggetto. Più le difese sono solide, rigide e inflessibili, più il desiderio inconscio ne è soffocato; dall’altro lato, più la pulsione inconscia preme e si discosta dalle richieste dell’ambiente, della cultura e dell’educazione, più le difese si erigono a contrasto della pulsione stessa.
Ogni soggetto presenta dei meccanismi di difesa psichici, che contribuiscono a renderlo più o meno “adatto” alle richieste della realtà in cui è inserito; l’analisi delle specifiche difese utilizzate, nonché la loro variabilità o rigidità, fornisce al clinico un’importante bussola per comprendere la struttura di personalità e la patologia del paziente.
Per la psicoanalisi, inoltre, la Verità del paziente è la verità psichica e non quella fattuale e logica che si racconta parlando di sé e di ciò che ci circonda. Ogni narrazione viene dunque accolta a partire dal suo estremo conscio, ciò che viene raccontato, per poi diventare funzionale a leggervi cosa si nasconde aldilà di esso, e cogliervi tracce di inconscio.
Freud si occupa anche della fantasia, domandandosi che origini abbiano quelle fantasie comuni a tutti ma così difficilmente svelate al di fuori del contesto psicoanalitico. Ipotizza che l’origine del fantasticare sia ravvisabile nel bambino che gioca e che, attingendo dalla sua particolare esperienza del mondo, esso la reinventi secondo il suo desiderio.
Elemento tipico e comune della maggior parte dei giochi liberi, non strutturati, dei bambini consiste nel “fare finta di” essere qualcuno o fare qualcosa (di solito proprio quello che nella realtà gli è impedito essere o fare). Il bambino agisce e mette in scena il proprio desiderio, ponendosi al tempo stesso come regista e attore della trama in atto.
L’adulto, pur smettendo di giocare, continua a “fare finta di”: non esterna più la scena immaginata appoggiandosi alla realtà, ma la tiene dentro, la “gioca” nel pensiero, fantasticando. In una certa misura, dunque, il piacere del gioco si riattualizza in una forma più socialmente accettabile. Freud ci dice che il bambino prende sul serio la sua attività di gioco, così come l’adulto la fantasia. In ogni caso, gioco o fantasia che sia, esso si contrappone al reale.
La fantasia si lega così al gioco e al sogno, sottintendendo i desideri insoddisfatti come motori dell’attività fantastica, ma anche come mezzo per arrivare ad un loro soddisfacimento. Se il sogno è la via regia per l’inconscio nell’adulto, il gioco lo è per il bambino.
La fantasia è inoltre materiale importante per lo psicoanalista perché lega e collega il passato, il presente e il futuro: un’occasione attuale risveglia un desiderio insoddisfatto del soggetto, richiamando alla mente un’esperienza precedente in cui quello stesso desiderio era stato appagato. A questo punto, il soggetto immagina, proiettando in un futuro la situazione desiderata.

Proprio come l’eccesso di uso di difese, anche l’eccesso di fantasia può finire per configurare una situazione psicopatologica, di tipo nevrotico o psicotico. In questi casi, la fantasia può soppiantare una realtà troppo distante dal desiderio del soggetto, finendo per diventare essa stessa la realtà personale in cui rifugiarsi per sfuggire a quella condivisa con le altre persone. In un certo senso, possiamo inscrivere in questo discorso alcune dinamiche elicitate dai social network, o alcuni video games online, in quanto permettono all’utente di riportare fuori – come da bambini – la fantasia del “fare finta di”, mettendola in atto sotto forma di gioco. Nei casi più estremi, il gioco assume i caratteri della realtà per cui gioco e reale non sono più l’uno in contrapposizione dell’altro, ma i loro confini sfumano fino a sovrapporsi. Oggi ci troviamo tutti a destreggiarci a cavallo tra realtà fattuale e realtà virtuale, con quest’ultima innalzata al rango di realtà, in cui l’aggettivo “virtuale” toglie ben poco alla sua portata e impatto.
I social network diventano luogo reale, di scambio e di appagamento dei desideri insoddisfatti, una terra di nessuno, in cui tutti siamo al contempo detentori e prigionieri.
Abbiamo detto che per lo psicoanalista la realtà psichica è quella che detiene, a livello inconscio, la Verità del soggetto; poniamo poi la realtà fattuale, oggetto di narrazione ed esperienza cosciente. All’estremo opposto collochiamo infine la realtà virtuale, in cui l’individuo si perde nell’immagine di sé che vuole dare, o meglio che vuole essere, e che di fatto finisce per diventare. Nei social network il vero viene svuotato di significato, lasciando il posto alla “persona”, da intendersi – come nell’antica Roma – come una maschera teatrale volta a connotare lo specifico personaggio messo in scena. In un certo senso, possiamo pensare ai social come a un grande palcoscenico in cui ognuno recita una parte, indossando delle maschere, interagendo, o semplicemente ascoltando gli altri attori. Il verbo inglese to play indica tanto l’attività del gioco quanto lo spettacolo teatrale, che qui accostiamo all’attività che svolgiamo in rete.

Andare controcorrente oggi significa depotenziare l’impatto che la realtà virtuale ha su di noi, per ritrovare una dimensione di maggior aderenza al proprio Io, smarcato dalle richieste sottilmente imposte dall’esterno. Riportare il gioco su un piano intrapsichico, fantasticato, che non necessiti necessariamente dell’appoggio al reale (fattuale o virtuale) per appagare i desideri insoddisfatti, è forse una delle maggiori sfide della psicoanalisi odierna.
Freud, S., Il poeta e la fantasia. OSF vol 5
Immagine di copertina: Marc Chagall e “OVER THE TOWN”.