
Nell’ultimo articolo (che trovate qui) abbiamo visto come si interveniva per restaurare le opere d’arte nell’Antichità e nel Medioevo: per dirla in due parole, “senza paura”. Facciamo ancora un passo avanti nella Storia e scopriamo come se la passavano i dipinti e gli altri manufatti artistici nell’Italia del Cinque-Seicento.
«Ricordami un po’ perché lo stiamo facendo»
Perché la Storia del restauro aiuta a chiarire gli atteggiamenti che l’uomo ha avuto nel rapporto con le opere d’arte. Conoscerla permette di avvicinarsi al patrimonio culturale da un punto di vista “pratico”, cosa che dovrebbe aiutare ad affezionarcisi e a provarne vero interesse.
Ma veniamo a noi.
Nel Cinquecento andava di moda segare le tavole dipinte.
Spiego. Gli altari, fino alla metà del ‘500 circa, erano solo dei tavoli; non c’erano cornici a sovrastarli, perché dovevano stare in piedi da soli (tipo i Polittici di San Tarasio nella chiesa di San Zaccaria a Venezia, opera della bottega del nostro Antonio Vivarini. Nota: i polittici sono pale d’altare composte da più scomparti). Succedeva, quindi, che i lavori di carpenteria sulle pale d’altare fossero talmente entusiastici che cercavano di emulare l’architettura delle chiese in cui erano esposti: terminavano con cuspidi, guglie e avevano anche un apparato di decorazioni scultoree (sparatevi anche quest’altra opera degli adorati Vivarini, il Polittico di Bologna nella Pinacoteca Nazionale della città). Questa scelta aveva sia una ragione strutturale – il dipinto era autoportante grazie all’architettura della sua cornice – sia concettuale: nel Medioevo, la pratica artistica era basata su una sostanziale unità tra le arti, non vedeva distinzioni tra arti “maggiori” e “minori”, ma permetteva di dare uguale spazio agli ideali artistici tramite qualunque tecnica o materiale.
Col Rinascimento vengono però riscritti i canoni su cui si basavano l’arte e l’architettura medievale. Ad esempio? Beh, personaggi come Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti cominciano a studiare la prospettiva, al fine di rappresentare lo spazio in un modo scientificamente rigoroso… Immaginate che effetto deflagrante può avere una visione del genere!

L’architettura del Rinascimento riprende gli ordini dell’Antichità Classica (un esempio su tutti: la chiesa di Santa Maria Novella a Firenze) e così devono fare anche i dipinti: cosa se ne facevano di ‘sti polittici giganteschi, con le cornici dorate che ricordavano la vecchia chiesa della nonna? Niente, infatti spesso sono stati buttati via.
Se però non c’erano abbastanza soldi per una commissione ex novo, bisognava trasformare i vecchi polittici, rivedendoli con un look più contemporaneo.
Questa trasformazione spesso consisteva in un’operazione di riquadratura: venivano cioè eliminate le ingombranti cornici antiche, si riaggiustava la struttura in modo che continuasse a essere autoportante e si faceva in modo di rendere l’opera finale di forma rettangolare. Dico “si faceva in modo” perché bisogna immaginare che l’area dipinta delle tavole medievali, una volta tolte dalla cornice originale, risultava cuspidata; si vede bene nel Polittico Baroncelli di Giotto, conservato nella chiesa di Santa Croce a Firenze, in cui la cornice cinquecentesca – di forma rettangolare – ospita le tavole medievali, che terminano chiaramente in una forma appuntita.
Controriforma: che è?
Nel secondo Cinquecento la Chiesa Cattolica sente la necessità di rispondere alla minaccia rappresentata dalla Riforma Protestante. Tale risposta parte ovviamente dalla teoria religiosa, ma si estende inevitabilmente anche alle pratiche di culto e – per estensione – al modo di concepire la conservazione delle opere d’arte sacra.
I ragazzi del Vaticano, quindi, giocano d’attacco d’attacco e riorganizzano praticamente tutto l’apparato di riti, celebrazioni, attività, preghiere, educazione che si era normalizzato nel corso dei secoli. È l’età della cosiddetta Controriforma.
In questo momento storico, l’Arte viene considerata uno strumento per spiegare quali caratteristiche doveva avere una “giusta devozione”, come una sorta di libro per chi non sapeva leggere. Dato che stiamo vedendo una storia del Restauro, vediamo un paio di casi di interventi su opere celebri.
Il Giudizio Universale di Michelangelo Buonarroti sulla controfacciata della Cappella Sistina nei Palazzi Vaticani è il primo.
Allora come oggi, questa cappella era destinata al conclave e alle cerimonie ufficiali del Papa, quindi dovete immaginarvela piena di devoti Vescovi. Dovete anche immaginarvi che tutte le figure del Giudizio, a esclusione della Maria Vergine e di Gesù Cristo, erano ignude. Accade quindi che, in un periodo di irrigidimento delle regole quale quello della Controriforma, si trovi assolutamente inappropriato che dei venerandi cardinali siedano al cospetto di zinne e battecchi, causa per loro di involontari pensieri licenziosi… e così nel 1565 viene chiamato un bravo pittore contemporaneo, Daniele da Volterra, per coprire le nudità delle figure michelangiolesche. È stata una vera e propria operazione di censura, che dimostra però un’attitudine alla conservazione già vista: se l’opera non risponde più al gusto contemporaneo, è giusto intervenire per ri-adeguarla.

Credits: Anna-Maria Stefini.
In conclusione
Nel ‘500 e agli inizi del secolo successivo, le opere d’arte sono considerate strumenti di comunicazione, così come accadeva nel Medioevo, e per questo non si esitava a intervenire pesantemente su di esse. La differenza rispetto al periodo precedente sta nel fatto che si tiene conto dell’autore dell’opera: se ci si trova tra le mani un dipinto di Giotto, ad esempio, gli si dava una certa importanza, proprio perché l’autore era noto e apprezzato! Si può dire, insomma, che in questo periodo storico nasca una critica d’Arte simile a quella che intendiamo noi oggi. In questo, il fiorentino Giorgio Vasari è stato maestro e precursore, dato che aveva sia la conoscenza degli artisti del passato, sia il potere di scegliere quali opere salvare dalla “modernizzazione” e quali trascurare.
Vedete quanti strati storici ci sono sopra un’opera d’arte? E siamo solo nel ‘500, chissà cosa succede dopo… Lo scopriremo nelle prossime puntate!