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Envietable: la tua Bibbia sul music business

Una chiacchierata con i ragazzi di Envietable a proposito di cosa significhi lavorare nella mitica filiera musicale, come sia possibile prepararsi ad essa e, soprattutto, quali siano i problemi che la riguardano.

C’è una gradazione cromatica particolare, prodotta da Clash Paint, marchio storico di bombolette spray per graffiti, codice 03-5, che risponde al suggestivo nome di “Grigio Milano”. 
È un colore abbastanza neutro e, come accade spesso con ciò che consideriamo ordinario, risulta talvolta più presente e caratteristico di quanto non sembri a un primo sguardo.

Questo è il Grigio Milano: un colore semplice, basico, che se non viene colto come tinta fondante della città italiana dalle mille possibilità, ti fagocita, senza alcuna possibilità di scampo. 

Ci sono persone che, inconsapevolmente, scelgono la seconda visione, altre la prima, altre ancora si alternano tra le due fazioni in un valzer infinito, un po’ come la spirale dell’umore, nel grigio mese di Gennaio.

Ho deciso di incominciare un nuovo format qui su EchoTapes, la mia piccola rubrica all’interno di Echo Raffiche interamente dedicata alla musica: una serie di chiacchierate in forma scritta con persone che hanno deciso di volerle non solo vedere, queste utopiche possibilità, ma di coglierle e di afferrarle al fine di farle proprie.
Le tematiche saranno le più disparate, da semplici osservazioni sul proprio ambito lavorativo, al racconto di percorsi personalissimi e originali, con al centro sempre e comunque il mondo artistico e musicale.

Sono, quindi, molto felice e, allo stesso tempo, orgoglioso di presentare questo nuovo spazio, con lo stesso nome di sempre, ma con uno spirito e una sostanza totalmente differenti dal passato. 

Signori e signore, vorrei quindi annunciare i primi ospiti di questo salotto narrativo: i ragazzi di Envietable.

Envietable è una realtà nata durante il 2020 da un’idea originale: creare una pagina, uno spazio, dove raccontare il dietro le quinte del mondo dell’intrattenimento musicale. Da questo piccolo progetto sono nate più collaborazioni, come ad esempio quella con strutture ampie e organizzate come Linecheck, e un team di lavoro sempre più vasto: dalle sole due persone iniziali la squadra è arrivata alla decina, e i due fondatori sono stati scelti da Undamento, ormai famosa etichetta milanese, per entrare a far parte dello staff.

origine del nome Envietable
origine del nome Envietable

Vi lascio quindi alla conversazione che abbiamo avuto nell’unico locale di mia conoscenza nel quale fanno i Gin Tonic alla spina (giuro), dove abbiamo parlato di cosa significhi lavorare nella filiera musicale, come sia possibile prepararsi ad essa e, soprattutto, quali siano i problemi che la riguardano.

I ragazzi in questione sono Bianca Bevione e Marco Cantarella, fondatori del progetto, e Roberta De Rossi, loro collaboratrice.

Iniziamo!

Partirei con un tiro libero ragazzi: presentatevi e raccontatemi un po’ del progetto. Che cos’è Envietable?

B: Envietable nasce nel 2020, dopo che un amico comune ci ha presentato perché sia io che Marco eravamo interessati a corsi di formazione riguardanti il settore discografico. Dopo esserci confrontati, e aver notato che c’erano certamente pagine musicali ma mai attinenti al settore del “dietro le quinte” ci siamo detti: perché non aprire una pagina dedicata? 

Inizialmente eravamo solo noi due, poi hanno iniziato a scriverci dei ragazzi per entrare in redazione, ora nel complesso siamo circa una decina.

Considerando i numeri raccolti e l’ampliamento del team, mi sembra che l’idea stia funzionando.

M: Si, poi, tornando alla nascita del progetto, ad accomunarci è stato anche il fatto di essere entrambi studenti di economia, cosa che ci ha permesso di vedere un buco dal punto di vista manageriale, soprattutto per quanto riguarda l’informazione. 

Ci sembrava che, vedendolo da fuori, il settore sembrasse un ambito professionale poco gestito, che non si percepisse la managerialità che ci sta dietro. Quindi abbiamo pensato: intanto parliamone, così continuiamo ad informarci noi, e facciamo pure informazione per gli altri.

B: Esatto, e anche per dare un riconoscimento a chi lavora dietro le quinte: parlando con persone appassionate di musica ci siamo resi conto che non tutti hanno ben chiaro quanto impegno ci sia dietro.

M: tutto questo secondo noi non avviene per mancanza di interesse, ma proprio per assenza di informazione e comunicazione. Per esempio, se consideriamo il marketing di Sfera, che per anni è stato molto chiacchierato, l’attenzione c’era, e in maniera quasi virale. Forse è sufficiente generare interesse nelle persone, che ancora non fanno ricerca attiva in questo senso.

R: È una cosa che in realtà manca principalmente nel nostro paese, perché ad esempio in UK esistono già numerose riviste interamente dedicate all’industria musicale; in Italia tutto questo non c’è ancora.

È molto interessante tutto ciò, anche perché personalmente ho notato, rispetto a ciò che succedeva magari 5/10 anni fa, che l’interesse rispetto a questo mondo, forse grazie ad una comunicazione più presente, come quella di Machete o BHMG, stia in qualche modo emergendo.

M: Quando noi abbiamo iniziato a pensare alla nostra pagina la sensazione era che non ci fosse praticamente nulla, ad eccezione della figura di Paola Zukar, che ci ha dato effettivamente la sensazione che qualcosa si stesse muovendo.

Ad esempio un personaggio come Marco Montemagno che decide di intervistarla, fa capire che in un certo senso è entrata nel mainstream, poi bisogna anche considerare che lei si occupa principalmente di rap che, in particolare 2 anni fa, era il genere musicale per eccellenza.

B: Io penso che la cosa sia scoppiata principalmente quest’anno, ma siamo ancora lontani, è necessario spiegare come funzionano le cose, soprattutto per chi vuole lavorare in questo settore. 

Quindi secondo voi è proprio necessario anche un processo di alfabetizzazione?

M: Soprattutto di alfabetizzazione. Una delle nostre mission iniziali, e lo è ancora, è proprio quella, anche perché ci siamo resi conto di quante persone siano al vertice dell’industria senza avere una formazione manageriale, e questo, spesso, trasmette l’idea che non sia necessaria una preparazione nell’ambito, o comunque classica. Pensa se tutte queste persone, che sono riuscite ad emergere senza una vera preparazione in materia di business, l’avessero avuta. Cosa sarebbero riuscite a fare? E soprattutto, quanto più velocemente avrebbero risolto tutti i problemi iniziali, scaturiti dal dover imparare le cose strada facendo? 

B: Se sei competente alla fine si vede, ma la nostra idea è che avere questa formazione sia un plus.

Ci sono corsi universitari che stanno emergendo in questo momento riguardo il mondo della discografia. Siete favorevoli o li trovate troppo verticali?

M: Io sono favorevole, ma solo se visti come il completamento di un percorso precedente più classico, che differisce a seconda del ruolo che si vuole avere, ad esempio può essere economico, giuridico ma anche musicale, come il conservatorio. Il settore musicale è certamente singolare perché si occupa di musica, quindi riguarda aspetti specifici della materia, ma non è totalmente diverso da altri settori manageriali come competenze richieste. Essendo un settore complesso, che vede più fattori ai quali prestare attenzione, penso che più studi, meglio è.

R: In questo momento, grazie ai social e al Web in generale, è possibile affiancare allo studio universitario la creazione di una propria realtà per farsi conoscere, mentre prima le opzioni erano soltanto due: o interrompi la formazione per iniziare a lavorare direttamente nel settore o frequenti i corsi specializzanti. È importante considerare che adesso è presente anche questa terza via.

Spesso si dice che, a parità di livello o qualifica, lavorare in campo artistico/musicale richieda necessariamente una certa dose di passione che per altri settori manageriali può non essere così essenziale, è davvero così?

M: Parlando di lavoro, il lato economico è un fattore molto importante. Nel momento in cui ti impegni in un determinato percorso universitario, la speranza è che il salario sia in un certo modo proporzionale al percorso di studi intrapreso. La musica, come sappiamo, non è tra i settori più redditizi che ci siano, perciò se scegli di lavorare in questo mondo non è di certo per il guadagno. Spesso infatti c’è carenza di persone formate in ambito musicale proprio perché, con una formazione di alto livello, ad un certo punto un professionista sceglie qualche garanzia in più. Per me è al 90% una scelta di passione, considerando anche l’impatto che ha questo settore sulla società; ci sono canzoni e album che hanno cambiato la vita e influenzato i sentimenti delle persone, non è una cosa che accade spesso in altri lavori.

B: È un problema che c’è un po’ in tutti settori creativi, ma per quanto riguarda la musica è importante considerare anche il discorso del “commerciale”. Come il resto, anche le canzoni sono un prodotto che deve essere venduto, ma per esempio nella moda, che è un altro settore artistico, l’obiettivo è la commercializzazione del prodotto, quindi tutti gli sforzi sono orientati a quello, e quando riesce non ci sono ulteriori impedimenti. Per quanto riguarda la musica invece, la vendita viene vista appunto come commercializzazione, quindi bisogna sempre trovare un equilibrio tra ciò che l’artista si sente di fare, la risposta del mercato e così via.

R: La passione è essenziale anche perché non ti capita di lavorare nel mercato musicale. Se tu hai fatto medicina, ad esempio, il percorso ti porta naturalmente a diventare medico. Ma se tu hai una laurea in marketing o altro, non sei portato ad entrare in un’etichetta; questo da un lato perché è un settore che non si conosce, a meno che non ci entri in contatto direttamente, dall’altro perché non esiste un percorso propedeutico classico. Se entri in facoltà di economia perché sei appassionato della materia, ci sono tante strade che sei portato ad intraprendere, e senza una passione specifica. La musica non è tra queste.

M: Le riviste economiche in questo momento affermano che il mercato più in crescita è quello della produzione di contenuti, i famosi creator, o influencer. Spesso di parla quindi anche delle agenzie o dei management che li gestiscono. Perché non parlare delle etichette musicali come delle agenzie che gestiscono creators, cosa che effettivamente sono?

E questo secondo voi perché accade?

M: Perché la musica è un mercato complesso, che commercializza arte, molto influenzato sia nella vendita che nell’opinione pubblica da idee, valori, estetica e altro che contano tanto per l’artista quanto per il pubblico di riferimento. Avendo questo grado di complessità si ritorna al discorso di partenza: per creare valore servono sempre più persone preparate e specializzate, che in questo modo andrebbero a creare un mercato più professionalizzato, permettendo alle etichette di essere un’alternativa plausibile per i neo laureati, che sono generalmente orientati verso settori più classici come banche, aziende o altro.

B: I problemi principali secondo me sono due: da un lato, se una persona non si informa da sé, non capisce quanto sia effettivamente un lavoro: vede il festival ma non le migliaia di persone che servono perché esista e funzioni, e lo stesso vale per gli album e tutti gli altri progetti. Dall’altro perché il settore stesso effettivamente non te lo permette. Se viene alzata l’asticella del professionismo anche chi non è per forza appassionato di musica, ma esperto rispetto al ruolo ricoperto, svolge comunque il compito al meglio.

R: Tornando al paragone tra influencer e artisti, un altro grande problema riguarda il fatto che i primi lavorano con i brand come prodotto principale, che è il fattore che rende effettivamente florida questo tipo di economia, mentre i secondi hanno dovuto adattarsi alla cosa dopo la crisi del mercato musicale.

M: La collaborazione con i brand infatti viene vista ingenuamente spesso e volentieri come marchetta, perciò c’è sempre molta diffidenza anche da parte degli artisti a riguardo.

Ma è davvero sempre così? Se un artista ad esempio ha a cuore la questione ambientale, non potrebbe ricavarne in immagine collaborando con brand fortemente orientati verso la sostenibilità?

M: Esatto, infatti io sono convinto che qualunque artista potrebbe essere in grado di trovare decine di brand, cause o progetti in linea con la propria etica o immagine. Se questa pratica fosse più condivisa, ci sarebbe la grande opportunità di far crescere il valore in tutta la filiera, oltre che per l’artista stesso ovviamente.

B: Sono d’accordo, anche se è una cosa che deve arrivare sempre dall’artista. Un bravo manager è giusto che proponga diverse possibilità, spiegando vantaggi e svantaggi, ma se un musicista vuole pensare soltanto alla propria arte e disinteressarsi a tutto il resto, è giusto che lo faccia. L’ideale sarebbe trovare sempre un compromesso equilibrato, anche perché poi il pubblico si rende conto immediatamente se la collaborazione non è sentita, il progetto viene male e crea un danno piuttosto che un valore aggiunto.

Ringrazio i ragazzi di Envietable per la splendida chiacchierata e il tempo che mi hanno dedicato. Spero che questa discussione sia stata interessante e abbia risvegliato magari qualche curiosità in merito a questo mondo, pieno di sfumature, che è da sempre anche un po’ casa mia.

Per chi volesse approfondire il loro progetto a seguire i link dedicati:

Sito Web

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Canale YouTube

Immagine di copertina: logo di Envietable

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