
Essere umano: da homo, da humus.
Riaffiora alla mente qualche ricordo, ormai romanticamente vintage, degli studi di scienze naturali della scuola elementare. L’humus era, pressappoco, quel terriccio buono, fertile e nutriente, ricco di residui organici, che fa crescere così bene le piante; ma per i latini era semplicemente terra, nel senso di suolo, terreno.
Nell’antichità, l’atto del nominare era una cosa seria, sacra in certi casi; nel nome era infatti racchiusa l’essenza e l’essenza aveva spesso a che fare con l’origine. Così i Mirmidoni guidati da Achille erano una volta delle grosse formiche, trasmutate poi in ferocissimi soldati. Ed era difficile fare la conoscenza di qualcuno che, presentandosi, non dichiarasse la propria parentela e la propria provenienza.
Di fatto se ci chiamiamo esseri umani è perché, molto semplicemente, i nostri antenati ci pensavano venuti dalla terra – «come se tutti gli esseri animati non avessero la stessa origine o i primi mortali avessero dato un nome prima alla terra che a sé stessi», commenta ironicamente Quintiliano.
Ma veniamo a noi. Perché intitolare Humus una rubrica filosofica?
Qualcuno tra i più malevoli potrebbe pensare si tratti di una frecciata gratuita a Platone e ai suoi figli, tra antichi e moderni, ma non si tratta (esclusivamente) di questo. È, più che altro, una questione di storia. Quando si ha a che fare con discipline scientifiche, in generale poco conta l’autore di questa o quella scoperta. Che quel modello atomico sia stato teorizzato proprio da Bohr o che ci sia il monaco Mendel dietro agli incroci genetici dei piselli è rilevante fino a un certo punto.
In filosofia, invece, la paternità delle idee sembra dirci sin da subito qualcosa di importante. Non a caso viene formulata, quasi parallelamente, una storia della filosofia, che quando è scritta dai filosofi stessi è ricca di dibattiti e glosse ai margini. Tutto fuorché compilazioni alessandrine. Insomma: il maestro ha sempre un nome e un volto, ma, ancora più importante, un’eredità per i suoi discepoli. Così da Talete fino a oggi rimane aperta la domanda radicale sull’origine, sull’arché. Un vero e proprio cold case. «Non scoperte, ma inchieste ci lasciarono gli antichi», affermava d’altra parte Seneca. E quaestiones dopo quaestiones, il nostro humus occidentale è andato arricchendosi e stratificandosi sempre di più, tanto che in filosofia non si ha mai a che fare con teorie superate, ma con domande e problemi vivi che ancora oggi, a ben guardare, dimorano dentro di noi. Non si leggono Platone e Aristotele per commiserarne le morte spoglie con l’occhio rugoso dell’archeologo, ma per farli rivivere eternamente nell’agorà ateniese. E con loro tutti gli altri che hanno contribuito a popolare l’allargata famiglia (o l’allegra brigata?) dei filosofi.
Quindi humus è senz’altro origine, storia e permanenza, ma è anche concretezza. Quando si dice di una persona che è «terra, terra» se ne vuole sottolineare, seppur volgarmente, la pragmaticità. E la filosofia, a discapito dell’immaginario comune che al solo sentirla nominare si figura ircocervi volanti per ogni dove, nasce da esigenze e problemi estremamente concreti. Così concreti da riguardare l’esistenza di ogni singolo essere umano. Siamo tutti filosofi in potenza; lo siamo in atto quando decidiamo che è arrivata l’ora di sporcarci le mani – ed ecco che torniamo a inciampare in questo humus. È inevitabile, proprio come la filosofia. Basti pensare che ogni ragionare sulle cose ha in sé una matrice filosofica per capire quanto sia difficile sfuggirle. Non per nulla troviamo gli scaffali delle librerie infarciti di ogni genere di filosofia: dal calcio, ai Peanuts, alla crostata della nonna. Non si salva nemmeno Peppa Pig. Ma possiamo garantirvi che non è (solo) marketing, bensì una tragica condanna – soprattutto per chi, di filosofia, cerca in qualche modo di farne un mestiere. Non ci sono né libri, né film innocenti; né tantomeno correnti di pensiero politico o sociale. Le nostre idee vengono irrimediabilmente da qualche parte, solo che non sempre sappiamo da dove. C’è una massa di pre-giudizi e di credenze che fanno parte del nostro humus culturale occidentale ed è un’eredità che abbiamo ricevuto, ma che riusciamo a maneggiare con difficoltà. Ci sfugge.
Platone, e chi la pensava come lui, se la prendeva tanto con la materia, con l’humus, proprio perché è informe. È quanto di più imperfetto vi possa essere sulla faccia della terra. E così vuole essere questa rubrica: un’umile accozzaglia proteiforme di cose filosofiche.