
Sicuramente moltissimi di voi avranno già sentito parlare di carne sintetica, ma è molto probabile che la stragrande maggioranza di chi sta leggendo quest’articolo non abbia capito di che cosa si tratti, o che l’abbia capito piuttosto male.
Infatti nel Belpaese del buon cibo, qualsiasi questione che riguardi la nostra alimentazione crea dibattiti che definire incendiari è un eufemismo. E le polemiche di questi mesi ricordano molto quelle ormai ventennali sulla coltivazione di OGM – sia per il livello dello scontro, sia per la pochezza argomentativa.
Per prima cosa, quando parliamo di carne sintetica dobbiamo fare una distinzione tra carne coltivata e carne artificiale. La prima viene prodotta appunto coltivando delle cellule animali in modo tale da ricreare le fibre muscolari di una determinata struttura corporea; la seconda invece è prodotta a partire da una base vegetale, lavorata in modo da avere una consistenza e un sapore assimilabile a quello della carne. Perciò la carne coltivata non è vegana né vegetariana, mentre quella artificiale sì. Discorso più complesso riguarda il fatto se la carne coltivata possa essere considerata halal o kosher.
Prima di intraprendere discussioni di carattere bioetico o politico, è necessario comprendere meglio i possibili vantaggi di questa nuova produzione. Certo, per il nostro pianeta sarebbe mille volte meglio se tutti noi diventassimo vegani o almeno vegetariani, ma dobbiamo partire da una base realistica per la quale convincere miliardi di persone a cambiare la loro dieta è impossibile nel concreto, e soprattutto nel breve termine.

Come viene prodotta?
Le cellule vengono coltivate in un terreno liquido che contiene nutrienti, alla temperatura e concentrazione di CO2 costanti. Le cellule utilizzate sono delle cellule staminali pluripotenti indotte: con dei fattori di crescita si induce la trasformazione di queste cellule in fibre muscolari.

Per la coltivazione di cellule è necessario che il terreno venga arricchito con degli antibiotici: l’ambiente deve rimanere sterile, e una minima contaminazione può portare alla morte di un’intera coltura cellulare. Tuttavia, la quantità di antibiotico da somministrare a migliaia di cellule è minima rispetto al dosaggio di cui necessita un animale che pesa diversi quintali.
Sembra che la carne sintetica così prodotta non sia allettante quanto le bistecche prodotte in maniera tradizionale. Ma, sebbene sia vietato utilizzare antibiotici in allevamento al puro scopo di aumentarne la produttività, ogni qual volta che si presenta un caso di un animale infetto in un allevamento, a scopo di profilassi viene somministrato il farmaco a tutta la stalla.
Qual è l’impronta ecologica della carne sintetica?
La carne coltivata richiede comunque energia per la sua produzione, ma confrontando l’impronta complessiva di un chilo di carne prodotta in modo tradizionale con la stessa quantità di carne coltivata, ne risulterebbe un consumo energetico ridotto quasi della metà, circa un quarto delle emissioni di gas serra, e meno di un quinto del consumo di acqua. Inoltre, va da sé che la carne coltivata non necessita di ettari di terreno: servirebbe soltanto il 2% della superficie utilizzata oggi per l’allevamento.
Una riduzione del numero di allevamenti, oltre a portare benefici per l’ambiente, può giovare alla nostra salute: sappiamo purtroppo bene che questi sono un ottimo incubatore per specie di batteri e virus, che possono così facilmente saltare da una specie all’altra e dar vita a potenziali epidemie. E la carne coltivata in un ambiente sterile potrebbe avere anche un livello praticamente nullo di contaminazione microbiologica da batteri, funghi, virus o prioni.
Che cosa dice Coldiretti?
Il primo modello ufficiale di carne sintetica è stato presentato nel 2013 all’università di Maastricht, sotto forma di hamburger. La sua produzione però è costata circa diverse centinaia di migliaia di euro al chilo; oggi giorno invece si aggirerebbe tra i 10-20 €/kg; per il pollo addirittura 6 €/kg. E’ evidente che negli ultimi due anni la carne coltivata è diventata una valida concorrente della carne prodotta da allevamenti tradizionali; secondo gli esperti del settore, entro il 2030 il prezzo sarà sostanzialmente lo stesso.
La reazione di Coldiretti non si è fatta attendere: è nata così un’intensa campagna volta a screditare questo nuovo prodotto, con l’obiettivo finale di vietarne la produzione, l’uso e la commercializzazione in Italia. Campagna grottesca e priva di considerazioni tecniche, anzi, fa soltanto uso di banali luoghi comuni.

Quel che viene proposto è il binomio agricoltura tradizionale – mondo idilliaco, mentre per la carne sintetica è proposta la stessa narrazione utilizzata in passato per screditare le colture OGM.
Sulla base di questi contenuti, Coldiretti ha lanciato nel novembre 2022 una raccolta firme contro questo prodotto (ad oggi sarebbero circa 500 mila).
In ogni caso, non ci sono ancora documenti ufficiali approvati dall’EFSA (Autorità per la sicurezza alimentare europea), per cui la strada per la commercializzazione di questi prodotti potrebbe essere ancora lunga.
Che cosa dice il governo?
Il governo Meloni non si è fatto attendere, e da subito il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida ha dichiarato la sua ferma opposizione dichiarando che «finché saremo al governo sulle tavole degli italiani non arriveranno cibi creati in laboratorio»; è intervenuto poi anche al convegno “Frankenstein nel piatto” tenutosi a Lonato (BS) lo scorso 13 gennaio, chiedendo che la carne sintetica venisse regolamentata alla stregua di un farmaco.

Anche la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha manifestato la sua solidarietà a Coldiretti durante il flash-mob tenutosi il 28 marzo davanti a palazzo Chigi.
Attenzione però: nella bozza del disegno di legge presentata dal ministro Lollobrigida, si parla solamente di divieto di produzione, e non di importazione.
Tirando un po’ le somme, sembrerebbe che ci possano essere degli oggettivi vantaggi in questo nuovo tipo di produzione alimentare. Certo, non è tutto oro quello che luccica e per questo motivo è necessario riflettere, discutere e lavorare approfonditamente su questo tema sia dal punto di vista giuridico, che da quello bioetico ed ecologico.