
Per vincere nel gioco del poker, serve una buona porzione di talento nel saper bluffare in maniera intelligente: indurre gli altr* a credere ciò che si vuole che loro credano, permette di anticiparne le mosse e provocare negli avversari quelle esatte reazioni che si desidera ottenere.
Nel poker come nella politica, la componente psicologica gioca un ruolo di primo piano. A maggior ragione, se in un contesto come l’attuale campagna elettorale, in cui l’isteria da coalizione ha sostituito l’attenzione per i programmi elettorali. Per esempio, l’impulsività e il protagonismo del centro-sinistra, con la separazione tra Partito Democratico ed Azione in corso d’opera, non hanno di certo giovato all’immagine di baluardo anti-Meloniano, cui la sinistra – quale partito esso sia – si rifà in continuazione.
È all’interno di questo contesto elettorale rumoroso e instabile che Giorgia Meloni sembra essersi applicata abbastanza nel bluff al punto da diventarne un master. Sul tavolo, al posto delle fiches, si gioca con punteggi elettorali ed opinion polls. Ma in che misura parliamo del bluff come arma psicologica nella guerra delle parti politiche?
Nel corso di queste settimane, abbiamo assistito a una serie di scivoloni politici da parte di Fratelli d’Italia; scivoloni che hanno infiammato il dibattito politico nazionale e polarizzato l’attenzione mediatica. Pensiamo al video dello stupro di Piacenza repostato da Giorgia Meloni, o al programma per combattere le ‘devianze giovanili’ – di cui più sotto –. Episodi gravissimi, che hanno suscitato forti reazioni di sdegno da parte dei competitors di sinistra e della società civile.

Credits: Twitter.
Sarebbe ingenuo, però, ascrivere alla semplice miopia politica o insensibilità umana le ragioni di gaffes del genere. Non dimentichiamoci, le campagne politiche sono coordinate da espert* di comunicazione, il cui mestiere consiste esattamente nel prevedere la risonanza di un post e intercettarne le conseguenze, sia online che offline. Ben più realistico, anche se per nulla confortante, è considerare il tutto come un gran bluff orchestrato ad opera d’arte.
Così come il giocatore di poker scommette nella provocazione, sperando che l’avversario abbocchi, il presunto scivolone politico è stato il prezzo pagato da Fratelli d’Italia per provocare sdegno nella controparte. La reazione, prevista e ricercata, ha preso la forma della demonizzazione della figura di Meloni: risposta che, però, fa il gioco politico di Fratelli d’Italia, in quanto porta a una fidelizzazione del proprio elettorato, il quale si sente direttamente attaccato ed etichettato come ‘malvagio’ o ‘ignorante’. È una scissione psicologica tra ‘noi’ e ‘loro’, inconsapevolmente esacerbata dall’avversario, a nutrire le ambizioni elettorali di Fratelli d’Italia e a fare da cassa di risonanza mediatica per il partito.
Ripercorriamo le puntate vinte da Meloni, partendo dall’episodio dello stupro. Meloni pubblica su tutte le sue pagine social il video di una violenza sessuale subita ai danni di una donna lo scorso 21 agosto – complice l’etnia guineana del violentatore, funzionale alla sua politica delle differenze – senza curarsi della privacy della donna. Il video presenta il volto oscurato, ma la sua pubblicazione implica l’illecita e non-consensuale diffusione di materiale riproducente atti sessuali, la possibilità – poi verificatasi – di riconoscere l’identità della vittima, e l’esposizione mediatica che ne deriva. L’atto è gravissimo, in quanto mina la salute e la sicurezza della persona, della sua psiche e della sua privacy – come garantita da legge – e porta all’avvio di un’istruttoria da parte del Garante della privacy.
L’obiettivo di facciata è chiaro, ovverosia connettere il macro-tema della migrazione, essendo l’aggressore un richiedente asilo, a quello della sicurezza nelle strade, strumentalizzando la vicenda. E la sinistra abbocca: Letta definisce il video pubblicato come «indecente e indecoroso», Fratoianni come un «bieco sciacallaggio», Calenda «un atto immorale e irrispettoso». Ma la gaffe torna utile a Meloni, perché se lo sdegno è la reazione più naturale alle circostanze del caso, e quindi non desta scalpore, è la linea meloniana che attira l’attenzione per la sua anti-convenzionalità. La vera «bieca propaganda», così la definisce, è quella della sinistra, che ha consapevolmente scambiato la sua solidarietà per strumentalizzazione. Da donna-politico (vera arma in più di Meloni rispetto a Salvini), che difende un’altra donna, la leader rivendica fedeltà alla sua linea e non si scusa con la vittima, che anzi cessa di essere tale: la vera vittima della macchina del fango diventa l’autoproclamatasi sua protettrice. L’avversario demonizzato ne esce, agli occhi di coloro che non si sono scandalizzat* in prima battuta, rafforzato, coerente e anzi osteggiato.

Secondo bluff: il programma di FdI per combattere le ‘devianze giovanili’, tra cui ludopatia, obesità, anoressia, bulimia ed autolesionismo, attraverso l’educazione sportiva. Un vero e proprio attacco frontale, volutamente riduttivo e semplicistico, nei confronti delle nuove generazioni, dipinte come dipendenti dai social media, viziate, fragili e rammollite (ne abbiamo parlato recentemente in un altro articolo qui).
Un programma che, se apparentemente si rivolge ai giovani, in verità maschera il vero target a cui è diretto, ovverosia le generazioni più anziane, cui il programma di Meloni intende nutrire paternalismo e pregiudizi generazionali. Non è un caso che FdI sia dato dominante nella fascia d’età tra i 35 e i 64 anni: ancora una volta, inimicarsi l’elettorato giovane (che in Italia conta ben poco rispetto a quello anziano) è il pegno da pagare per bluffare: Meloni gioca una mano vuota e Letta ci casca, reagendo con l’infelice hashtag #vivaledevianze: basta un giro su Twitter per vedere come il motto sia stato adottato dai detrattori, più che dai difensori, del PD.
Allo stesso modo, non è casuale ma anzi provocatorio il flavour filofascista che fa dello sport una disciplina per «crescere nuove generazioni di italiani sani e determinati». In questo modo, Meloni gioca in uno spazio di azione grigio, che le permette di strizzare l’occhio alle frange più estreme della destra, pur mantenendo aperta la possibilità di gettare acqua sul fuoco e ridicolizzare la sinistra per le accuse di neo-fascismo, come in questo video-risposta prodotto per i media internazionali, preoccupati per un revival del nero.
Giorgia Meloni si prende i riflettori, marciando forte verso le elezioni del 25 settembre. Il merito va alla strategia comunicativa perseguita nel corso di questa campagna elettorale: cinica e strumentalizzante, ma allo stesso tempo prospettica e ben consapevole dei patterns comportamentali dell’avversario.
Per quanto riguarda la sinistra, nulla nel metodo comunicativo sembra essere cambiato rispetto alle elezioni del 2018: la retorica dell’anti-destra non ha mai particolarmente funzionato e sembra che queste elezioni ne siano l’ennesima riprova. Demonizzare e ghettizzare il competitor non è proficuo; riconoscere il bluff e metterne a nudo la natura fredda e calcolatrice, ignorando le provocazioni lanciate, potrebbe forse portare altri risultati. La speranza è che, in futuro, la sinistra si riscopra come forza costruttiva autonoma, indipendente e matura, in un contesto politico in cui invece il chiasso sembra fare da padrone.
Immagine di copertina: Illustrazione di @cia_rro