
Nell’ultimo anno e mezzo, la rilevanza politica di Aleksei Navalny è andata di pari passo alle disgrazie che lo hanno colpito: dopo essere stato avvelenato con un agente nervino durante un volo per Mosca nell’agosto del 2020, l’oppositore di Putin è stato dapprima ricoverato in un ospedale a Berlino e, una volta tornato in Russia a gennaio, è stato immediatamente arrestato con l’accusa di violazione della libertà vigilata e organizzazione di gruppi ‘estremisti’. Rinchiuso nella colonia penale di Pokrov, ha intrapreso uno sciopero della fame durato 24 giorni come forma di protesta alle mancate cure mediche ricevute; infine, è stato con ogni probabilità vittima di torture fisiche e psicologiche all’interno del centro detentivo.
Oggi, Navalny è riconosciuto come un politico-attivista di rilevanza globale, impegnato ormai da un decennio nella lotta contro la corruzione russa e nella protezione dello stato di diritto. L’insperata guarigione, unita alla stoica decisione di rimpatriare nonostante la certezza dell’arresto, hanno contribuito alla sua martirizzazione politica, ulteriormente rafforzata dai sospetti di una probabile direzione russa dietro il suo avvelenamento. È per questo che, lo scorso 15 dicembre, il Parlamento Europeo ha insignito Navalny del premio Sakharov per la libertà di pensiero.
Il Riconoscimento, che annovera tra i suoi vincitori Nelson Mandela (1988), Malala Yousafzai (2013) e Nadia Murad (2016), intende premiare individui o collettivi che si siano distinti nella protezione dei diritti dell’uomo e delle sue libertà fondamentali. Al contempo, il premio diventa anche un dispositivo di polarizzazione politica, volto ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica europea su tematiche cruciali quali violazioni dei diritti umani o forme di disobbedienze civili. In altre parole, il Premio Sakharov appartiene alla serie di strumenti che costituiscono la cosiddetta soft power europea, ovverosia il potere di perseguire obiettivi strategici senza fare ricorso alla forza, ma alla persuasione e all’influenza politica indiretta.

Credits: Julien Warnand via Globe Media/Reuters.
In un momento storico come quello attuale, in cui la tensione militare tra Russia e Ucraina ritorna a fare paura e l’Europa deve mostrare (a sé stessa, prima che agli altri) di sapere incalzare Putin, non sorprende quindi che il premio sia andato a Navalny, invece che a un collettivo di donne afghane attiviste, impegnate nella difesa dell’uguaglianza di genere.
Tuttavia, il punto critico è che Aleksei Navalny non è solo (o soltanto) il candido personaggio del 2020; è la stessa persona che, nel 2006, ha partecipato alla annuale Russian March, un corteo ultra-nazionalista e con derive neo-naziste, difendendolo come forma di espressione collettiva e libertà di assemblea; è la stessa persona che, nel 2008, ha supportato la guerra tra Georgia e Russia, causa di episodi di pulizia etnica georgiana nelle regioni indipendenti dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia; è, infine, la stessa persona che, in un video su youtube, si presenta nelle vesti di un dentista e raccomanda alla politica russa una sanificazione completa, paragonando gli immigrati a delle carie da otturare.
Navalny è un ultra-nazionalista, un politico ostile all’immigrazione e un etno-razzista, come confermato da Engelina Tareyeva, sua ex-collaboratrice presso il partito liberale Yabloko da cui il politico – all’epoca capo di gabinetto della sezione di Mosca – venne espulso nel 2007. Pur non essendo necessariamente correlato all’estrema destra russa, Navalny ci strizza l’occhio, in un’ottica puramente anti-Putiniana. In più, oltre ad avere espresso posizioni Islamofobe, ha definito i georgiani come ‘roditori’ ed ha partecipato alla campagna Stop Feeding The Caucasus, contro i sussidi russi alle regioni caucasiche.
Impossibile pensare che queste informazioni non siano note alle autorità europee. Tanto più che, a febbraio del 2021, Amnesty International ha rimosso Aleksei Navalny dall’elenco delle persone considerate come prigionieri di coscienza, in ragione dell’incompatibilità dello status con le sue posizioni incitanti all’odio e al razzismo. Ne segue che soltanto una parte di Navalny, quella che si presenta nelle vesti di strenuo oppositore al potere di Putin, sia una figura funzionale agli interessi geopolitici europei, mentre il lato etno-razzista venga silenziato, per le ragioni opposte.
Da un lato – e ce ne rendiamo immediatamente conto – la discussione sulla reale natura politica di Navalny è funzionale agli interessi di Putin, in quanto diverge l’attenzione da sé e al contempo ne distrugge la retorica di eroe incorruttibile. Dall’altro lato, però, essa rappresenta per noi Europei un tema impossibile da evitare (nonostante sia accaduto). Così come, nell’articolo del mese scorso, si parlava del fatto che un’Europa che voglia essere giovane debba ben guardarsi dall’essere giovanilista, qui vale lo stesso: un’Europa che voglia influenzare il mondo deve stare attenta ad essere, in primis, coerente con sé stessa.

Credits: EPA-EFE/YURI KOCHETKOV.
Purtroppo, la coerenza è una carta che l’Europa sembra non voler giocare: lo storico recente dei candidati al premio Sakharov è tutt’altro che limpido, Navalny a parte. Nel 2020 figurava tra i candidati l’oppositore bielorusso Paval Sieviaryniec, giornalista, prigioniero politico e – peccato per i 50.000 euro di premio – convinto omofobo. Quest’anno, invece, in lizza per il riconoscimento c’era Jeanine Áñez, ex-Presidente della Bolivia ingiustamente trattenuta in carcere, ma che due anni prima si era resa responsabile di un decreto di immunità per le forze militari, risultato nei massacri di Sacaba e Senkata del 15 e 19 Novembre 2019.
Quanto detto non intende certo ledere alla personale battaglia di Navalny nei confronti della dilagante corruzione degli alti ufficiali russi – come testimoniato da questa magnifica toilette dorata di un colonnello corrotto – né tantomeno giustifica il suo illegittimo incarceramento e la condanna a due anni e mezzo. Se però il riconoscimento premia l’onestà intellettuale e la coincidenza tra gli ideali da difendere e i valori in cui l’Europa si identifica, la scelta di assegnare il premio a Navalny rimane incomprensibile.
Il risultato conclusivo è paradossale: mentre l’Europa pensa di utilizzare il personaggio di Navalny come strumento di influenza politica in ottica anti-russa, è di fatto Navalny a sfruttare appieno l’enorme opportunità mediatica, con l’obiettivo di mondare le scomode azioni del passato e mostrarsi ai media in vesti riabilitate e pulite.
Immagine di copertina: Illustratore @cia_rro