giovani etichettati come bamboccioni choosy o devianti da media e politici
Bamboccioni, choosy, devianti. Negli ultimi anni, media e politici hanno parlato dei giovani solo per schernirli o rimproverarli. Ma quale è la condizione dei giovani in Italia?

A meno di un mese dalle elezioni, la politica italiana torna a parlare di “giovani” e lo fa, come da copione ormai consolidato, in modo decisamente non lusinghiero. Il casus belli è stato un post di Fratelli d’Italia in cui si elencavano le “devianze” giovanili da combattere. Nell’elenco, poi rimosso, venivano elencate patologie e dipendenze gravi, dall’anoressia alla ludopatia, dimostrando una disarmante incapacità di distinguere problematiche estremamente diverse, attribuendole per altro solamente ad un generico universo giovanile da redimere. Non è d’altronde la prima volta che la politica italiana si esprime in modo critico nei confronti dei giovani, basti ricordare i celebri “bamboccioni” o “choosy”, per citare gli ex ministri Padoa-Schioppa e Fornero. Proviamo a spiegare come si arriva a queste dichiarazioni.

Il primo passo è capire come viene definita la categoria “giovani” da media, sondaggisti e politici, principali costruttori dell’immaginario del giovane “deviante”. L’Istat, il più autorevole istituto di statistica del nostro paese, e dunque punto di riferimento per le tre categorie sopra citate, nei propri sondaggi identifica la categoria dei giovani come coloro che si trovano nella fascia d’età che va dai 15 ai 34 anni, “Salvo eccezioni opportunamente segnalate” (http://dati-giovani.istat.it/). Si capisce dunque da subito che la platea a cui si fa riferimento quando si parla di giovani è estremamente complessa ed eterogenea, comprendendo persone in fasi della vita, e dunque con aspettative e bisogni, completamente diverse tra loro. Nonostante questo però, c’è però qualcosa che accomuna  quindicenni e  trentenni, soprattutto rispetto alla politica e ai problemi che dovrebbe affrontare.

Striscione con la scritta : giovani specializzati … per essere disoccupati
Uno striscione eloquente.

La condizione giovanile in Italia dopo due anni di pandemia è del resto sconfortante. Il tasso di disoccupazione giovanile è intorno al 20%, contro un 13% medio registrato nell’Eurozona, peggio di noi solo la Spagna e la Grecia. Non a caso, secondo un recente sondaggio Quorum/Youtrend commissionato da SKY, il tema più caro per i giovani in questa campagna elettorale è il lavoro, che in Italia per noi è poco, di scarsa qualità e mal retribuito. Bastino i dati: da gennaio ad oggi i contratti più in crescita sono stati quelli stagionali e a chiamata (Inps), contemporaneamente gli stipendi sono tra i più bassi d’Europa se confrontati con paesi che hanno un costo della vita simile al nostro. Non stupisce dunque che il 18% dei giovani si trovi in una situazione di povertà assoluta, né che il 68% viva ancora in casa dei genitori (Istat).

Inoltre, l’età a cui si lascia la casa dei genitori in Italia è sensibilmente più alta del resto dell’UE, ma anche in questo caso, come per la disoccupazione e i lunghi tempi di uscita dalla casa di famiglia, la narrazione mainstream attribuisce tutta la colpa di questa situazione ai giovani stessi, colpevoli di mettersi poco in gioco e di crogiolarsi nel benessere garantito dalle famiglie. La verità è che questa retorica è pensata e divulgata per i principali clienti dei mass media, cioè la popolazione con più di 50 anni, che in maggioranza accoglie di buon grado l’idea che le generazioni successive alle loro siano composte da smidollati che gravano sul bilancio del paese. Una visione del genere è ovviamente becera, ma diventa assolutamente inaccettabile se pensiamo che l’Italia è penultima nell’Unione in quanto a investimenti nell’istruzione e che sono i giovani stessi a farsi carico di una sempre crescente popolazione anziana da accudire e a cui pagare le pensioni (Istat).

Eppure oltre ai media anche i partiti faticano a parlare non solo dei ma anche ai giovani, considerati sempre dalle stesse fonti disinteressati o sognatori idealisti. Inevitabilmente, anche i politici dedicano relativamente poco spazio alle problematiche giovanili,, nel migliore dei casi, promettendo investimenti nel campo dell’istruzione e delle politiche di sostegno all’acquisizione della prima casa, e nel peggiore arrivando a paventare il ritorno alla leva obbligatoria: ovvia soluzione per riportare sulla retta via le suddette generazioni di smidollati e infatti molto apprezzata nei sondaggi. (approfondimento).

Ragazza solleva un cartello con la scritta non è un paese per giovani
Un cartello a volte dice più di mille discorsi.

A fronte di questa situazione non deve stupire se solo il 48% dei giovani si è detto sicuro di votare alle prossime elezioni. Eppure, nonostante la narrazione dei “bamboccioni”, i giovani under35 sono impegnati attivamente nella società e nelle loro comunità di appartenenza, tramite volontariato e partecipazione ad associazioni giovanili. L’astensionismo under 35, senza contare i fuori sede –  in Italia impossibilitati a votare come non accade in nessun altro paese europeo –  si può spiegare come conseguenza tangibile (?) di un’altissima sfiducia nel sistema partitico: per l’84% degli intervistati nel sondaggio Quorum/Youtrend, la classe politica italiana non si sta occupando abbastanza dei giovani. Similmente, la fiducia nella classe politica è ai minimi storici: il 78% si fida poco o nulla dei propri politici. A meno di un mese dalle elezioni lo scenario è sconfortante: generazioni di italiani sembrano divise da un fossato profondissimo e per ora ciò che resta è solo la rabbia. Questa è infatti l’emozione principale suscitata dall’operato della classe politica italiana nel 55% dei giovani intervistati. Potete biasimarli?

Immagine di copertina: Illustrazione di Orsola Sartori

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