
La via migliore per conoscere un vino è, senza dubbio, quella di berlo. Ma nel caso in cui – per esempio durante la scelta di una bottiglia in enoteca – ciò non fosse possibile? Bè, possiamo sempre accontentarci di consultare la sua “carta d’identità”, l’etichetta, chiedere informazioni al venditore oppure accedere alle recensioni e alle schede tecniche facilmente reperibili online.
Se ci pensate un momento però, questi sono tutti espedienti che potremmo evitare se potessimo rivolgere le nostre domande direttamente a Lei, la Bottiglia! No? Ipotesi assurda, dite? Avete perfettamente ragione.
Eppure, io l’ho voluto immaginare lo stesso e, dopo un paio di bicchieri (giudicherete voi se “di troppo”), mi sono divertito ad intervistare, per gioco, un vino molto particolare, un Barolo, prodotto da uve Nebbiolo.
Ecco cosa ne è uscito.
Buongiorno signor Nebbiolo. Come sta?
Buongiorno a lei, diciamo che me la sto affinando piuttosto bene, grazie.
–
A proposito, va bene se la chiamo Nebbiolo o preferisce un altro dei suoi numerosissimi nomi?
(Ride) Effettivamente, tra Nebbiolo, Chiavennasca, Prunent, Spanna e altre infinite declinazioni dialettali ci sarebbe proprio da avere una crisi d’identità! Ma no, oggi mi va di essere chiamato Nebbiolo, anche perché nella mia zona mi chiamano proprio così.
–
Nebbiolo è un nome interessante… Sa qualcosa sulla sua origine?
In realtà non c’è niente di certo, solo alcune leggende che si tramandano di generazione in generazione. Una delle mie preferite, e forse la più romantica, afferma che il mio nome derivi da una peculiarità atmosferica tipica della terra in cui sono nato, la nebbia appunto. Probabilmente, i contadini di una volta, vedendomi crescere tra questa bianca e umida coltre, hanno iniziato a chiamarmi così. Un’altra teoria vuole che il nome abbia invece avuto origine dalla polverina biancastra che si trova sulla mia buccia, detta pruina, che mi dona un aspetto nebbioso. Insomma, possiamo dire che la nebbia c’entra in ogni caso!
–
Visto che ha parlato di territorio, la domanda sul dove e quando è nato, mi scusi il gioco di parole, nasce spontanea.
Io sono nato nelle Langhe piemontesi, un territorio in provincia di Cuneo. Più precisamente all’interno della zona di produzione del Barolo. La mia data di nascita esatta non la so, direi però che le mie radici hanno almeno una cinquantina d’anni. Non li porto male, vero?
–
No anzi, li porta benissimo! E quindi lei è nato proprio a Barolo?
No no, non a Barolo ma a Serralunga d’Alba, che è sempre uno degli 11 comuni della DOCG (denominazione di origine controllata e garantita), il marchio italiano che indica al consumatore l’esatta provenienza geografica di un vino.
–
È importante sapere il comune di provenienza per voi Nebbioli da Barolo?
Si, assolutamente! Per via della composizione terrena, dell’esposizione, dell’altitudine e della vicinanza al fiume Tanaro ogni piccolo lotto di terra comporta delle caratteristiche diverse che influenzeranno il prodotto finale. Per esempio, il terreno su cui sono cresciuto è prevalentemente calcareo con presenza di marne bianche e sabbia. Questo, insieme ad un’esposizione ottimale a sud-ovest, mi permetterà di sviluppare un carattere fresco e strutturato.
Inoltre, io appartengo pure ad un Cru: il Cascina Francia! E, non per tirarmela, ma di questo ne vado un molto fiero. (arrossisce)
–
Un Cru? E che cosa sarebbe?
Come spiegare… in poche parole è una sottozona, può essere anche solo una collina di pochi ettari, molto votata alla viticoltura, che ha caratteristiche inedite che le permettono di produrre vini di alta qualità e, soprattutto, unici nel loro genere. A differenza della Francia, l’Italia non ha una legislazione in merito, ma qua nelle Langhe ci teniamo particolarmente ad indicare il Cru di provenienza sull’etichetta. Vede qua? (indica sulla pancia) c’è proprio scritto “Cascina Francia”.
Ma questo non è l’unico, ce ne sono molti altri: Cannubi, Cerequio, Bussia, Lazzarito… un’infinità!

Molto interessante! Ha voglia ora di raccontarci un po’ della sua vita personale?
Certamente. Sarò breve però perché altrimenti le ruberei parecchie ore. Come le ho detto le mie radici sono piuttosto antiche ma gli acini che oggi mi compongono sono molto più giovani: io sto ancora maturando in bottiglia per cui sicuramente non hanno più di tre anni. Quando ero un grappolo verde, ancora acerbo, ne ho combinate delle belle insieme ai miei compagni di tralcio (ride). A parte gli scherzi, i mesi della giovinezza sono stati molto intensi, ma ne conservo un ricordo piacevole. Quando ha iniziato a fare più caldo, verso luglio, sono cresciuto e oltre a diventare un po’ più dolce ho anche cambiato colore; insomma, sono maturato. È stato un attimo ed è arrivato ottobre, tempo di vendemmia. Sono stato raccolto rigorosamente a mano, ora non ricordo da chi, forse da mani sorelle di nascita delle mie radici, mani anziane e con una certa esperienza.
–
E una volta arrivato in cantina com’è stato il trattamento?
Ottimo! Ottimo come sempre, a dir la verità. In cantina sono stato trattato come un vero re, ed è lì che inizia la parte migliore. Prima di tutto, dopo avermi diraspato e liberato dalle parti legnose, sono stato sottoposto ad un delicato massaggio di leggera pigiatura e sa, dopo tutti quei mesi passati fermi nella stessa posizione non c’è niente di più salutare che una bella sgranchita. Mi hanno fatto poi riposare per alcuni giorni a contatto con le mie bucce a freddo e successivamente mi hanno spremuto sofficemente. A questo punto sono stato svuotato in grossi tini di legno austriaco ad una temperatura veramente piacevole, tra i 25 e i 30 gradi, per 30 giorni. Questo processo, che i nostri cantinieri ed enologi chiamano fermentazione alcolica, è veramente qualcosa di inesprimibile! Ti senti tutto inebriato, sarà merito dell’alcol o della compagnia di lieviti e zuccheri, chi lo sa? Quello che so è che mi sono divertito molto (ride), e che è stata una tappa fondamentale per la mia vita: da quel momento non ero più mosto ma, finalmente, vino.
–
Deve essere emozionante venire chiamati per la prima volta vino, no?
Lo è, lo è!
–
E a proposito di re… Lo sa che lei viene chiamato “Il vino dei re e il re dei vini”?
Sì, ho sentito parlare di questo detto (arrossisce). Non spetta a me dire se sia veramente così. Lascio il verdetto a chi mi berrà!
–
Vedo che l’umiltà non le manca! Ma torniamo al discorso di prima: dopo la fermentazione cosa è successo?
È avvenuta la svinatura, ho dovuto dire addio alle mie care bucce e sono andato incontro ad una seconda fermentazione, quella malolattica, ottima per attenuare la mia acidità. Non male neanche questa ma, personalmente, ho preferito quella alcolica. Poi è finalmente arrivato il momento del riposo, in botti grandi di rovere … Sono della vecchia scuola io. Nelle botti sono rimasto per ben 48 mesi, un relax assoluto. Il legno è così saggio, ti ammorbidisce il tannino che è un piacere e allo stesso tempo ti permette di ossigenare senza ossidare.
–
E dopo quattro anni eccoci qua…
Esatto, ora mi hanno trasferito a contatto con un altro materiale, il vetro, e mi hanno messo un bel cappello di sughero. Il vetro è un po’ freddo e neutrale ma mi ci trovo bene. Dovrò starci ad affinare almeno per un altro anno, e poi finalmente potrò andare in commercio, anche se spero di non venir bevuto subito.
–
Perché?
Perché come tutti i Nebbioli da Barolo posso invecchiare per parecchio tempo, dai 10 ai 25 anni, ma anche fino ai 50 o 60 anni se conservato bene. Insomma, ho ancora del potenziale da esprimere e non mi sento ancora abbastanza maturo per essere bevuto. Meglio riparlarne tra un po’.

Onesto da parte sua. Ha voglia infine di parlarci delle caratteristiche che un potenziale bevitore potrebbe trovare in lei?
Certo, non mi conosco ancora così bene ma penso innanzitutto di poter offrire un ottimo corpo e una struttura complessa. Anche tanto alcol ma sempre bilanciato da tanta eleganza e persistenza. All’olfatto e al gusto sento profumo di frutti di bosco maturi, liquirizia e anche un po’ di rosa. E poi un elemento tipizzante della mia famiglia: l’inconfondibile odore di sottobosco che ti riempie le narici di fresche mattine in montagna, composto da resina e terra bagnata. Riesco a sentire anche una leggera nota balsamica. Invece per i sentori terziari, come tabacco e cuoio forse è ancora troppo presto.
–
E il colore?
Rosso rubino con sfumature granate.
–
Bè, mi sembra una carta d’identità bella ricca e dettagliata! Non voglio disturbarla oltre. Grazie mille per il suo tempo signor Nebbiolo, le auguro un buon riposo!
Grazie mille a lei e a tutti i suoi lettori. Ci vediamo nel bicchiere! (fa l’occhiolino)
Immagine di copertina: Illustrazione di Beatrice Perego.